MAJORANO, Niccolò
Nacque a Melpignano, presso Otranto, intorno al 1491-92 da famiglia nobile originaria di Reggio Calabria.
È probabile che abbia appreso presto la lingua greca seguendo la tradizione familiare, visto che almeno un suo parente, Roberto, prete, fu copista greco in Abruzzo al servizio del duca d'Atri Andrea Matteo (III) Acquaviva d'Aragona, collezionista di codici. È possibile che il M. sia stato allievo del maggiore grecista salentino, Sergio Stiso di Zollino, precettore di Acquaviva d'Aragona; Stiso, comunque, doveva conoscerlo bene: infatti, quando la Biblioteca Vaticana gli propose di collaborare per i manoscritti greci, rinunciò per l'età avanzata segnalando il Majorano.
Si ignora la data del trasferimento a Roma, ma numerose tracce risalgono agli anni Venti del Cinquecento. Nella dedica al cardinale Niccolò Ridolfi della sua edizione dei sermoni De providentia di Teodoreto di Ciro, datata 1545, il M. accenna a rapporti ventennali con Ridolfi, che potrebbero far pensare a una presenza a Roma già nel 1525. Ma la notizia dell'acquisto di una casa situata in piazza S. Pietro da parte di un Niccolò Majorano da Taranto il 18 dic. 1520 potrebbe riferirsi a lui e anticipare il suo arrivo a Roma. Neppure è noto quando abbia preso gli ordini, ma era prete, come risulta da varie attestazioni.
L'impiego del M. nella Biblioteca Vaticana dovrebbe risalire al 1528, subito dopo il sacco. Tra il 1531 e il 1532 Clemente VII lo nominò custode della Biblioteca: succedette a Romolo Mammacino e prestò giuramento il 17 maggio 1532, rimanendo in carica fino al 1553. Con il bresciano Fausto Sabeo intraprese subito la compilazione dell'inventario generale (Vat. lat., 3951, datato 15 ag. 1533), resasi particolarmente necessaria dopo il sacco. Il M. si occupò dei manoscritti greci, cosicché Sabeo si limitò a controfirmare la compilazione di ogni sezione. L'inventario, fornito di un indice (Vat. lat., 3946), costituisce un importante mezzo di identificazione dei volumi vaticani. Si ha anche notizia di registrazioni di manoscritti greci presi in prestito dal M.: il 15 sett. 1534, chiese l'Almagesto di Tolomeo ed Euclide. Evidentemente, accanto al lavoro di inventariazione, egli coltivava studi eruditi.
Nel 1535 era lettore di greco alla Sapienza, con compenso di 100 ducati. Risulta ancora lettore negli anni 1539, 1542 e 1548, ma un accenno di G. Sirleto, in una lettera a Marcello Cervini del 1548 (cfr. Paschini, 1927, p. 48), a un insegnamento venticinquennale di lettere greche tenuto dal M. nell'ateneo romano contemporaneamente al servizio della Vaticana sembra ampliare e completare l'arco cronologico della docenza del Majorano.
Da una lettera del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti a Bernardino Rutilio del 27 luglio 1536 si ricava che il M. si trovava allora a Verona presso Giberti, che doveva aver conosciuto a Roma in qualche occasione accademica, dato che Giberti, accanto alla sua intensa attività curiale e politica, coltivava la passione per le lettere. D'altro canto, la dedica da parte del M. nel 1553 della sua edizione delle tre orazioni di s. Giovanni Damasceno in favore delle immagini sacre a Gian Pietro Carafa, al quale Giberti era legato negli anni Venti in un programma di opere di carità e assistenza, può anche accostare il M. a questo filone romano, improntato a uno spirito riformatore e rigoristico, che Giberti trasferì nella sua diocesi circondandosi di personaggi di elevata moralità e di salda cultura. A Roma il M. frequentava il circolo che si raccoglieva in casa del cardinale Niccolò Ridolfi, a cui appartenevano eruditi greci (Costantino Rhalli, Nicolò Sofiano, Cristoforo Condoleo, Matteo Devarìs) e italiani (Francesco Priscianese, Donato Giannotti, Leonardo Malaspina, Matteo Ercolano, Pietro Crasso). Allo stesso tempo faceva parte anche del gruppo che si riuniva intorno a Cervini. Era inoltre amico di Fulvio Orsini, al quale donò volumi già appartenuti al Carteromaco (Scipione Forteguerri) e da lui annotati.
Nel 1545, per i tipi di A. Blado, il M. pubblicò i dieci sermoni De providentia di Teodoreto di Ciro.
Nella dedicatoria a Ridolfi il M. riferisce come, lavorando ai cataloghi della Vaticana, si fosse imbattuto nel codice contenente l'opera di Teodoreto, autore che confessa essergli stato a quel tempo sconosciuto, e di averlo letto scoprendone la facondia, l'eleganza del discorso, la sottigliezza dell'argomentazione, tanto da sembrargli un delitto nasconderlo alla conoscenza degli studiosi, soprattutto della letteratura cristiana antica, nonostante qualcuno gli avesse insinuato il dubbio sull'opportunità di dare alle stampe un codice molto vecchio e leggibile con grande difficoltà. Quale fosse il codice molto antico e rovinato edito dal M. non è dato sapere: i cataloghi della Vaticana non offrono tale indicazione. La fatica del M. prese strade insospettate. L'opera, con la stessa dedica, fu ristampata l'anno dopo a Zurigo da Christoph Froschover: forse l'edizione romana era stata tirata in un numero ridotto di esemplari, quasi per circolazione interna, e si era creata un'intensa domanda nel centro Europa, dove i libri stampati a Roma arrivavano con difficoltà, e l'interesse per Teodoreto doveva essere molto alto. Rudolph Gwalter (Rodulphus Gualtherus, 1519-86) ne curò immediatamente la traduzione latina, pubblicata anch'essa a Zurigo da Froschover nel 1546 con dedica a Joachim von Watt (Vadianus). Singolare appare che di un'impresa editoriale nata all'interno del palazzo vaticano, il traduttore latino fosse un noto esponente dell'evangelismo, educato nella casa di Heinrich Bullinger e marito di Regula Zwingli, figlia del riformatore, oltre che futuro capo della Chiesa riformata zurighese. La traduzione italiana dell'opera, di Lucio Paolo Rosello (Venezia, B. Cesano, 1551) non menziona affatto il Majorano.
Il 20 febbr. 1545 Cervini, che aveva impiantato una tipografia per stampare i manoscritti più preziosi della Vaticana, stipulò un contratto con il M. per la parte scientifica e con i tipografi Benedetto Giunti e Antonio Blado per quella tecnica, con l'intento di proseguire la stampa del commento greco di Eustazio su Omero, di cui era uscito il primo volume nel 1542. Il 22 giugno 1545 uscì il secondo volume e il 13 nov. 1546 il M. aveva terminato la sua opera di trascrittore e correttore del testo originale. Ma l'impresa tipografica s'interruppe nello stesso mese, come si ricava da una lettera di Sirleto a Cervini (Vat. lat., 6177, c. 14), a causa del fallimento di Giunti. Il terzo volume uscì nel 1549, il quarto e ultimo, che conteneva gli indici compilati da Devarìs - dal 1541 correttore di manoscritti greci alla Vaticana - solo nel 1550, con una dedica del M. a Giulio III e un suo trattato latino su Omero e Eustazio. Il colophon del terzo volume porta la scritta "Typis Ioannis Honorii Manliensis Salentini Bibliothecae Palatinae Instaurator[is]", che testimonia la partecipazione di Giovanni Onorio da Maglie in qualità di disegnatore dei caratteri greci. Il quarto volume uscì con i privilegi di Giulio III, Carlo V ed Enrico II re di Francia: i primi due concessi a Benedetto Giunta e soci, il terzo, decennale e datato 22 marzo 1548, al Majorano.
Nella dedica a Enrico di Valois il M. accenna ai vari impedimenti che avevano ritardato il completamento dell'edizione e all'importanza del commento di Eustazio. Cita poi Devarìs e il cardinale Ridolfi, che avrebbe avuto una parte notevole nel mettergli a disposizione un codice dei commenti presente nella sua biblioteca, e i cardinali Cervini e Bernardino Maffei, il cui aiuto finanziario aveva reso possibile l'edizione. Per se stesso il M. afferma di avere lavorato intensamente su questa opera, sia pubblicamente "in Romano Gymnasio" - il che fa pensare che l'abbia inserita nei suoi corsi - sia in privato. Tra i codici adoperati dal M., oltre a quello di Ridolfi e a uno della Medicea Laurenziana di Firenze, dovrebbe essere compreso il Vat. gr., 1905, mutilo della prima parte, che Canart pensa sia servito per la stampa ed è corretto da un erudito che lo stesso Canart identifica in forma dubitativa con il Majorano.
Nel 1548 Sirleto scrisse a Cervini di avere iniziato, insieme con il M., un nuovo indice dei codici greci della Vaticana, che li portò a numerare di nuovo, con una numerazione continua, i 512 volumi (Vat. lat., 13236, cc. 25-104v). Nello stesso anno il M. fu compreso nella rosa dei possibili successori del bibliotecario Agostino Steuco, che aveva lasciato Roma nel settembre 1547, ma Paolo III attribuì l'incarico a Marcello Cervini, creando di fatto la figura del cardinale bibliotecario. Dal Fondo Ruoli della Vaticana risulta che, per la prima volta in quegli anni, nel 1550 fu fatto un organigramma completo dei nomi dei funzionari della biblioteca (Ruoli, 11, c. 29). Secondo il ruolo, i due custodi erano Fausto Sabeo e il M., "cum" Andrea Machin e un Francesco Majorano, altrimenti ignoto, forse un parente; tra gli scrittori figura Giovanni Onorio da Maglie.
Nel 1553 il M. pubblicò, per i tipi dello stampatore camerale S. Nicolini da Sabbio, le tre orazioni greche di s. Giovanni Damasceno. Nella dedica il M. restituisce a Sirleto, cui era evidentemente legato da vera e profonda amicizia, il merito di aver scoperto le orazioni in un codice vaticano e narra come il cardinale, troppo preso da altri impegni, lo avesse esortato a pubblicarle. Alle tre orazioni del Damasceno il M. ne aggiunse un'altra, di Teodoro Studita, sul medesimo argomento e la vita greca del Damasceno scritta da Giovanni patriarca di Gerusalemme.
Il 1 febbr. 1553 il M. donò alla Vaticana un manoscritto da Euclide (Vat. gr., 1043). Alla fine dell'anno, il 15 dicembre, la nomina a vescovo di Molfetta concluse il suo servizio nella biblioteca. Non si recò subito nella diocesi, ma lasciò vacante il suo ufficio di custode alla Vaticana, che fu assunto il 3 genn. 1554 da Sirleto. Continuò a frequentare la Vaticana e rimase legato ai suoi antichi colleghi e superiori: nel gennaio 1554 donò a Cervini il Vat. gr., 1453, "Proclus in quadripartitum Ptholomaei" (secc. IX-X); il 24 apr. 1554 offrì in dono 18 manoscritti greci alla Vaticana (Vat. lat., 3963, cc. 10v-11). Devreesse (1965, p. 427) ne ha identificati con sicurezza quattro, di altri quattro propone un'identificazione dubitativa mentre i restanti restano sconosciuti.
Dalla corrispondenza di due eruditi contemporanei, l'orientalista belga André Maes (Masio) e Latino Latini, risulta che negli anni 1554-57 il M. stava lavorando sulla Sacra Scrittura, in particolare sul Vat. gr. 1209. Maes scrisse a Latini il 25 febbr. 1554 di sperare che il M. pubblicasse le sue annotazioni e di aver anche sollecitato il cardinale Cervini a tale proposito. Poche settimane dopo, il 17 apr. 1554, Latini replicava a Maes che il M. aveva finito le sue annotazioni e aveva intenzione di pubblicarle, anche a proprie spese, e nel 1557 ancora Latini confermò al Maes che il progetto era in vita. Ma il commento non raggiunse mai la stampa. Al principio del 1556 Paolo IV, intento a promuovere la riforma della Chiesa, costituì a questo scopo una congregazione di 62 prelati, tra cui il M.: il clima rigoristico instauratosi in Curia consigliò di accantonare l'idea della pubblicazione, come nel 1559 Latini scrisse a Maes.
Il 4 marzo 1560, sempre dalla corrispondenza tra Maes e Latini, risulta che il M., forse costretto dalla volontà del nuovo papa, Pio IV, era finalmente partito per Molfetta. Rimase in carica fino al 13 marzo 1566, quando rinunciò per malattie e vecchiaia, rimpiazzato dal nipote, Majorano Majorani.
Una lettera del M. a Fulvio Orsini del 16 ag. 1568 testimonia la sua presenza a Roma; vi si trovava il 30 nov. 1569 (Roma, Biblioteca Angelica, Mss., 119, c. 342) e vi rimase almeno fino al 1572, ma forse anche oltre. Nel 1571 Sirleto scriveva al cardinale A. de Perrenot de Granvelle, viceré di Napoli, che il M. era stato molto malato a Molfetta a causa dell'aria malsana, ma evidentemente ora era in migliore salute, perché ambiva al vescovato di Giovinazzo.
Il M. trascorse gli ultimi anni in famiglia, a Melpignano, dove morì alla fine del 1584 o all'inizio del 1585. Nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio si trovano un dipinto e una statua che lo raffigurano.
Nella biblioteca di Sirleto si conservava, manoscritta del M., una Disquisitio de libri Targum Aegydiani auctore, antiquitate, interprete Latino et utilitate su un codice del Targum proveniente dalla biblioteca del cardinale Egidio da Viterbo, per la quale egli lavorò a lungo a partire dal 12 giugno 1550 su richiesta di Cervini. Il 19 agosto inviò a Cervini una trascrizione e traduzione latina delle omelie di Giovanni Crisostomo, da un codice posseduto dal cardinale Domenico Capranica. Studiò e annotò inoltre gli Idilli di Teocrito tradotti in latino, di cui possedeva un codice, il Vat. gr., 1948, con le annotazioni del Carteromaco e che poi cedette a Fulvio Orsini.
Majorano Majorani fu vescovo molto attivo e impegnato, anche nel combattere la povertà: l'11 apr. 1568 scriveva a Sirleto, con cui evidentemente condivideva la confidenza dello zio, che aveva proibito i prestiti con interessi superiori al 10% come pratica di usura; nel 1572 esortò i fedeli per ottenere contribuzioni volontarie per costruire un nuovo convento per i padri cappuccini; nel 1581 concesse la nuova sede, a fianco della chiesa di S. Pietro, alle religiose benedettine con l'obbligo della clausura; nel 1582 fece restaurare il palazzo vescovile in parte diroccato dai Francesi durante il sacco del 1529. Rimase in carica fino alla morte, il 31 luglio 1597.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia virorum literis illustrium, Basileae 1577, p. 44; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studj di Roma, II, Roma 1830, p. 248; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 189; A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d'Otranto, Lecce 1927, p. 189; P. Paschini, Un ellenista del Cinquecento, N. M., in Atti dell'Accademia degli Arcadi, n.s., I (1927) pp. 47-62; G. Mercati, Codici latini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, p. 121; R. Devreesse, Introduction à l'étude des manuscrits grecs, Paris 1954, pp. 35 ss.; P. Paschini, Cinquecento romano e riforma cattolica, Roma 1958, pp. 199, 201 s., 213, 221-236; R. De Maio, La Biblioteca apostolica Vaticana sotto Paolo IV e Pio IV (1555-1565), in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda, I, Città del Vaticano 1962, pp. 280, 282; R. Devreesse, Pour l'histoire des manuscrits du Fonds Vatican grec, I, ibid., pp. 327, 329 s., 332; Id., Le Fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano 1965, pp. 265, 381, 422 s., 426, 427; P. Canart, Bibliothecae apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti. Codices Vaticani Graeci [(] 1745-1962, Città del Vaticano 1970, pp. 510, 632, 734; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, pp. 31, 43, 46 s., 288, 349; P. de Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Genève-Paris 1976, pp. 82, 176, 181; Codici greci dell'Italia meridionale (catal.), a cura di P. Canart - S. Luca, Roma 2000, pp. 32, 151; M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical dictionary of the Italian humanists, III, Boston 1968, col. 2083.