MALPIGLI, Niccolò
Figlio di Bichino di Niccolò, morto prima del 1400, e di Fiore di Giovanni Dal Verme, nacque probabilmente a Bologna al più tardi sulla fine degli anni Settanta del Trecento, come si può dedurre dalla data dell'ingresso nell'arte notarile, il 3 giugno 1394.
Il M. apparteneva a un'antica famiglia bolognese dedita alla professione notarile; è stato confuso col nonno (Fantuzzi), creato notaio nel 1323: spetta a Frati (1893) il merito di aver distinto i due personaggi.
Il M. ebbe il primo incarico pubblico presso la Camera degli atti nel 1398, dietro pressioni di Giacomo Bianchetti, che ne era sovrastante; tuttavia, prima dello scadere del quinquennio previsto per l'incarico, risulta nel secondo semestre del 1400 nell'ufficio di notaio delle Riformagioni, ricoperto anche nel 1406; nel terzo quadrimestre del 1406 e nel secondo del 1408 fu correttore della società dei notai.
Nell'agosto 1406 accompagnò a Firenze, insieme con altri cittadini illustri, il legato papale in Romagna, cardinale Baldassarre Cossa, "causa tollendi sisma et fatiendi unionem Ecclesiae", come annota Matteo Griffoni (Memoriale historicum); altra missione al seguito di Cossa, questa volta a Roma, nel novembre dello stesso anno. Di poco precedente un suo viaggio a Ferrara di cui si trova traccia nei libri di entrata e spesa del Comune.
Nel 1409 vendette a Bernardino di Carlo Zambeccari una casa destinata a uso di scuole di diritto nella parrocchia di S. Giacomo de' Carbonesi.
Almeno dal 1411 fu a Roma, dove ricoprì l'incarico di segretario e familiare di Cossa, divenuto papa d'obbedienza pisana con il nome di Giovanni XXIII, che ricambiò i suoi servigi prima con l'attribuzione delle proprietà confiscate a Giuseppe Testi, colpevole di lesa maestà (bolla del 10 dic. 1411), poi con la concessione in perpetuo possesso al M. e ai suoi eredi dei beni del Collegio avignonese, con bolla del 22 sett. 1414. La deposizione di Cossa, sancita dal concilio di Costanza il 29 maggio 1415, consentì agli scolari avignonesi di rientrare in possesso dei beni loro sottratti.
Ne sorse una causa che vide contrapposti da una parte il M. e il notaio Guglielmo Lamola che ne rappresentava i diritti, e dall'altra "Enrico de Captaneis de Monteleone" (Piana, p. 411) che difendeva il Collegio. Nel memoriale presentato da Lamola sono ricordate le condizioni di abbandono dello stesso Collegio e lo scarso numero di studenti tra la fine del Trecento e gli inizi del secolo successivo. Sembra che la vicenda abbia avuto esito positivo per gli avignonesi, poiché si ha notizia che nel 1418 giunsero tre nuovi studenti e Antonio Malvasia fu nominato amministratore dal vescovo Niccolò Albergati. Sembra tuttavia che il M. abbia mantenuto il possesso di almeno una parte dei beni contestati, come dimostra un pagamento di Malvasia alla madre del M. il 13 genn. 1419.
D'altra parte, la caduta di Cossa non coincise con la fine della carriera in Curia del M., che continuò durante il pontificato di Martino V, anche se non è noto con quali incarichi. Da Roma continuò a gestire le sue proprietà bolognesi, come si evince da un atto del marzo 1420 secondo cui il notaio Giacomo Zanellini pagava a un procuratore del M. la prima rata di un debito di 60 ducati. Del 1424 è invece la vendita tramite un procuratore a Matteo Griffoni (che annotò l'acquisto nel suo Registro) di una casa rurale e appezzamenti di terreno agricolo a Sant'Agata Bolognese. Due lettere inviate al M. quando si trovava a Roma, databili tra il 1425 e il 1426, rappresentano l'ultima testimonianza a lui relativa; sono incerte, quindi, sia la data di morte, sia il luogo (probabilmente Roma).
L'attività letteraria del M. è testimoniata da una raccolta di rime in volgare la cui tradizione è affidata soprattutto al codice Isoldiano (Bologna, Biblioteca universitaria, 1739), di epoca bentivolesca, purtroppo inattendibile nelle attribuzioni. Fra le rime amorose, spesso improntate a un petrarchismo "morale", spicca, anche per la sua ampia diffusione, la canzone Spirto gentile da quel gremio sciolto indirizzata al marchese di Ferrara Niccolò (III) d'Este e commentata da Pier Andrea de' Bassi. Di notevole interesse - anche per le particolari circostanze relative alla loro conservazione - sono i sonetti di ambiente notarile, di argomento satirico-burlesco e politico. In parte giunti a noi perché inseriti in registri pubblici del Comune, questi sonetti fanno riferimento a una situazione ben precisa, un momento difficile nella storia di Bologna, a ridosso della peste del 1399 e subito prima che la città si desse a un signore, in cui la società dei notai prende coscienza della propria incapacità di incidere sulle scelte politiche cittadine. È difficile stabilire quali siano i componimenti da ascrivere al M. tra quelli presenti in questo corpus caratterizzato dall'essere creazione collettiva dei membri della cerchia di notai cui apparteneva il M.: Guglielmo Stupa, Bazalerio Tebaldi, Petronio Sassoni, Bartolomeo Tamarazzi, Antonio Fagnani. Se questa rimeria, strettamente legata a vicende non solo bolognesi ma anche interne alla professione notarile, raramente varcò i confini cittadini ma rimase confinata alla Camera actorum, qualche luce ulteriore sulla figura intellettuale del M. portano due lettere a lui indirizzate, tradite dal manoscritto Lat. oct., 136 conservato a Francoforte sul Meno, Stadt-und Universitäts-Bibliothek (c. 18; il codice è noto anche come manoscritto Bollea). La prima missiva, scritta da Antonio Beccadelli detto il Panormita quando era studente a Bologna, quindi nel biennio 1425-26, è datata 2 maggio. Il testo appare scritto in risposta all'invio da parte del M. di una raccolta poetica ("sonitus et cantiones") e testimonia quindi della volontà del M. di costituire un corpus delle sue rime. Dopo i complimenti di rito, il Panormita incita il M. a dedicarsi agli studi classici e ad abbandonare il volgare per dedicarsi al latino, unica lingua letteraria che può rendere immortali. Subito dopo nel codice si trova una lettera dell'umanista bolognese Giovanni Lamola, da datare allo stesso periodo della precedente. Lamola informava della ricerca svolta per conto del M. di un codice dell'Opus ruralium commodorum di Pietro de' Crescenzi: dice di averne reperito uno membranaceo, ma a parer suo e del comune amico Alberto Enoch Zancari - non nuovo a simili expertises - corrotto, scritto in gotica ("teotonicis litteris") e di prezzo sproporzionato al valore; in più Lamola chiedeva notizie sulla trascrizione, affidata a un familiare del M., della raccolta di lettere di Poggio Bracciolini, dato interessante a quest'altezza cronologica poiché rivela un interesse precocissimo per l'epistolario poggiano.
Curiosa infine la falsa attribuzione al M. del Quadriregio di Federico Frezzi, contenuto nel codice 989 della Biblioteca universitaria di Bologna, a cui il copista Giacomo di Tommaso Leoni, nel 1430, appose la nota "Qui finisse i libro chiamato malpiglio composto per lo valente poeta meser Nicholò Malpiglio citadino di Bolognia". Tale attribuzione dette origine a una polemica sul vero autore del poema, risolta da Pietro Canneti nella sua Dissertazione apologetica intorno al Quadriregio e al vero autore di esso, Foligno 1723.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune-Governo, IV, 7; Elezioni "ad brevia" di ufficiali del Comune, b. 80, reg. per gli anni 1394-95, cc. 64v-65v; Filippo Formaglini, prot. 7, cc. 5v-6v; Fantuzzi-Ceretoli, b. 160 bis, cc. 138v-139r: M. Griffoni, Registro; Giorgio Gioannetti, filza unica, n. 58; Lorenzo Pini, prot. 2, cc. 22v-23v; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVIII, 2, p. 96; Riformagioni e provvigioni del Comune di Bologna dal 1248 al 1400. Inventario, Roma 1961, pp. 266, 340; C. Piana, Nuove ricerche su le università di Bologna e di Parma nel secolo XV, Florentiae Quaracchi 1966, pp. 411-413; G.M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, II, 2, Venezia 1730, pp. 215-221; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 145-147; E. Costa, Il codice parmense 1081, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XIV (1889), pp. 31-33; L. Frati, N. M. e le sue rime, ibid., XXII (1893), pp. 305-334; Id., N. M., in Rimatori bolognesi del Quattrocento, Bologna 1908, pp. 1-73; Le rime del codice Isoldiano (Bologn. Univ. 1739), a cura di L. Frati, I-II, Bologna 1913, ad ind.; B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933, pp. 221 s.; G. Zaccagnini, Rime inedite o disperse in carte bolognesi dei secoli XIII-XIV, in L'Archiginnasio, XXXII (1937), pp. 11-13; V. Cian, La satira, I, Milano 1943, pp. 308-310; G. Resta, L'epistolario del Panormita. Studi per una edizione critica, Messina 1954, pp. 43 s., 208; Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall'VIII al XX secolo, Milano 1961, pp. 352-354; B. Bentivogli, La tradizione delle rime di N. M., in Atti dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, classe di scienze morali, LXXIII, Rendiconti, LXVII (1978-79), pp. 119-142; Id., La poesia in volgare, in Storia di Ferrara, VII, Il Rinascimento. La letteratura, Ferrara 1994, pp. 178-182; C. Montagnani, L'eclissi del codice lirico: una canzone di N. M. nel commento di Pier Andrea de' Bassi, in Schifanoia, XV-XVI (1995), pp. 82-90 (poi in Id., "Andando con lor dame in aventura": percorsi estensi, Galatina 2004, pp. 51-64); G. Marcon - G. Tamba, Sonetti inediti e rari tra notai e Camera degli atti, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, LVI (2006), in corso di stampa.