MARTELLI, Niccolò
– Nacque a Firenze, nel quartiere di S. Giovanni, il 1° febbr. 1498 da Giovanni di Niccolò e da Fioretta di Lorenzo di Buonaccorso Pitti.
I genitori, che si erano sposati il 7 luglio 1492, ebbero altri cinque figli: Agostino, Carlo, Giovanni (morto in tenera età), Antonio e Angiola. Il padre del M. era un affermato mercante; ricoprì anche diverse cariche politiche, fra cui quella di priore, nel 1510.
Per volere paterno il M., all’età di circa 14 anni, fu mandato a Roma per far pratica di mercatura. La decisione gli impedì di ricevere quell’istruzione umanistica approfondita che avrebbe desiderato, come egli stesso ebbe a dichiarare (Il primo libro delle lettere, c. 44v), anche se probabilmente poté apprendere i primi elementi della lingua latina. In occasione di uno dei suoi soggiorni romani, fra il 1520 e il 1521, conobbe Pietro Aretino e per suo tramite cominciò a frequentare gli ambienti letterari della corte del papa Leone X. Per incoraggiamento di Pietro Aretino, al quale egli si riconobbe per questo debitore, cominciò a comporre versi, ispirandosi principalmente all’opera dello stesso Aretino e di Luigi Alamanni.
Benassai, confondendo il M. con un omonimo Martelli, di Lorenzo di Niccolò, ha erroneamente sostenuto che egli fu coinvolto nella congiura ordita nel 1522 contro il cardinale Giulio de’ Medici e in seguito condannato. In realtà, una volta rientrato a Firenze, il M. si divise serenamente tra gli affari, che lo costringevano a viaggi in tutta Italia, e la passione per le lettere. Nell’ottobre 1533 fu confinato, comunque, per sei mesi a Prato «per haver dato una ceffata a Carlo suo fratello carnale, e dettoli parole iniuriose» (Arch. di Stato di Firenze, Otto di guardia e balia della Repubblica, 231, c. 135v). Il confino non si rivelò troppo amaro, dato che a Prato i Martelli possedevano proprietà fondiarie e, soprattutto, il M. vi intrattenne per qualche tempo una relazione con Maria, moglie di Tommaso Minerbetti, commissario ducale nella città (il fitto carteggio della coppia è conservato a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss. Martelli, 6). A Prato il M. strinse inoltre amicizia con altri due letterati lì confinati, Baldinaccio Martellini e Pandolfo Martelli (ibid., rime a lui dirette; alcune sono edite in Bogani, pp. 66, 172-174, 198), e con A. Firenzuola, in quegli anni amministratore dell’abbazia di S. Salvatore di Vaiano. Traccia del legame con la città di Prato emerge in una lettera che il M. indirizzò nel settembre 1546 a un Sallustio, prete al servizio di Giovanni Della Casa, sulla fiera annuale che vi si svolgeva nella ricorrenza della natività della Vergine (Dal primo e dal secondo libro delle lettere, p. 90; Bogani, pp. 211-214).
A Maria Minerbetti il M. dedicò rime amorose in quantità, ma ai soggiorni pratesi e alla frequentazione della donna sono da ricondurre anche altri componimenti di genere comico. Al 1532 risale un capitolo in terza rima da recitarsi come intermezzo di una non meglio precisata commedia composta dallo stesso M. e recitata probabilmente per il carnevale (Mss. Martelli, 6, cc. 56r-58r). La poesia, che racconta il diverbio tra un lenone e una delle sue prostitute, mette in scena uno spaccato della città di Prato, nella quale, secondo le cronache coeve, numerosa e chiassosa era la presenza di meretrici. In occasione dei festeggiamenti per l’insediamento del nuovo podestà Andrea Minerbetti, suocero di Maria – tra il novembre 1534 e la Pasqua del 1535 – il M. compose una serie di rime e prose che poi raccolse nel Giardino di Prato (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.1079, ora edito in Bogani, pp. 127-191). Ne fanno parte i Trionfi del passo, in terza rima, allestiti nella primavera 1535, che celebrano le 24 più belle donne pratesi, e le Stanze, dedicate solo alle prime undici di loro e ispirate particolarmente da Maria. Messe in scena in occasione di una festa organizzata dal nobile fiorentino Lorenzo Segni, le Stanze esaltano le qualità delle donne anche attraverso riferimenti mitologici e astrologici e invitano a cedere alle lusinghe amorose, secondo il modello letterario della poesia di Lorenzo de’ Medici e di Angelo Ambrogini detto il Poliziano.
Al 1536 risalgono i versi sulle nozze del primo duca di Firenze Alessandro de’ Medici con la figlia dell’imperatore Carlo V, Margherita d’Austria, che seguivano la lunga serie di sonetti laudativi già prodotti all’indirizzo di Alessandro (Mss. Martelli, 6, cc. 73r-98r, 101v ss.). Sull’avvenimento il M. tornò nelle Stanze sopra il Poggio del duca di Fiorenza (ibid., cc. 160v-167v, e in Magl., VII.245; edite in Bogani, pp. 229-249), in cui descrive i festeggiamenti e i sontuosi addobbi preparati per l’arrivo a Poggio a Caiano della sposa, che egli aveva avuto occasione di incontrare durante un soggiorno a Napoli, come testimoniano alcuni suoi versi (Mss. Martelli, 6, c. 95r). Per lei il M. compose alcune Stanze (ibid., cc. 149v-154r), nelle quali celebra le sue doti singolari: l’opera, presentata alla duchessa subito dopo l’assassinio del marito (5-6 genn. 1537), è preceduta da un’affettuosa lettera consolatoria. Successivamente il M. elogiò in un sonetto la forza d’animo dimostrata da Margherita nell’affrontare il nuovo matrimonio con Ottavio Farnese (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccard., 2862, c. 70v).
La vocazione letteraria del M. nonché il suo forte desiderio di affermazione si realizzarono pienamente il 1° nov. 1540, quando, con Giovanni Mazzuoli, A. Grazzini e altri, dette vita all’Accademia degli Umidi, il cenacolo che raccolse un piccolo gruppo di letterati dilettanti, per lo più provenienti dal ceto mercantile, desiderosi di leggere e commentare i grandi autori toscani e comporre versi in un clima di libero esercizio letterario, affrancato da obblighi cortigiani. L’Accademia ebbe vita breve, perché dopo soli tre mesi, l’11 febbr. 1541, il duca Cosimo I ne assunse il controllo trasformandola in un’istituzione, l’Accademia Fiorentina, allineata alle direttive culturali del Principato. Con il nome accademico di Gelato, il M. ne rimase uno dei membri più attivi e autorevoli anche dopo tale riforma.
Al duca egli dedicò numerosi sonetti con i quali sperava di «impetrar favore» (Plaisance, p. 71) per il gruppo dei vecchi Umidi, ma forse, più ancora, di rendersi gradito a Cosimo nel tentativo di farsi prosciogliere da una condanna al confino in cui sembra fosse incorso nel 1541 (secondo Plaisance, p. 77, per aver corrisposto con il fuoriuscito Guglielmo Martelli). Nel giugno 1543 le difficili condizioni economiche spinsero il M. a tentare la fortuna in Francia alla corte di Francesco I, seguendo le orme dell’amico Alamanni, lì stabilitosi dal 1530. L’accoglienza della nobiltà transalpina non fu tuttavia quella sperata e il soggiorno francese si rivelò un insuccesso. Durante la sua assenza Cosimo lo nominò podestà dell’Impruneta e il M., timoroso di suscitare sospetti, in una lettera al sovrano si affrettò a giustificare la sua assenza con ragioni economiche (Dal primo e dal secondo libro delle lettere, pp. 27 s.). Dopo la breve parentesi francese, il 30 sett. 1543 assunse la carica, che ricoprì per sei mesi e poi, tra il 1544 e il 1545, il M. si dedicò con grande impegno all’Accademia, tanto da succedere nel consolato al cugino Ugolino.
Si adoperò con grande zelo per rilanciare la produzione letteraria dell’istituzione, che stava attraversando molte difficoltà dovute a contrasti interni. Sotto il suo consolato riprese l’attività teatrale, con la commedia di Francesco D’Ambra Il furto, rappresentata la prima volta, con successo, l’8 nov. 1544. Si impegnò inoltre a garantire il regolare svolgimento delle lezioni pubbliche, trascurate da molti membri: lui stesso lesse con gran favore del pubblico quattro discorsi sopra Dante Alighieri e Francesco Petrarca. In tali iniziative gli fu vicino Benedetto Varchi, che ricoprì la carica dopo di lui. Durante il consolato del M. entrarono in Accademia intellettuali di spicco e personaggi legati al potere mediceo, come Tanai de’ Medici e Bernardo Segni; cercò di coinvolgere anche personalità di rilievo del mondo politico, come il viceré di Napoli Pedro di Toledo, suocero di Cosimo I, Tullia d’Aragona e Silvia di Somma, contessa di Bagno e cugina di Marzio Colonna. A ricordo del suo consolato lo scultore Francesco da Sangallo incise una medaglia, una «piccola testolina», con la sua effigie coronata di alloro (un esemplare a Firenze, Museo del Bargello; cfr. Dal primo e dal secondo libro delle lettere, pp. 49 s., 94-96).
Terminato il suo mandato, negli anni successivi limitò gli impegni letterari per privilegiare l’attività mercantile, come lui stesso spiega nella lettera del 7 ag. 1545 all’amico Selvaggio Ghettini, dove definisce la poesia «professione derisa et uccellata dai più» e il mestiere di scrittore uno stato «simile alla rosa: oggi è fresco et domani è passo: et le persone si risolvano più tosto all’utile e al guadagno che ad altro» (ibid., p. 123). Uscito dalla vita pubblica fiorentina, mancano notizie sull’ultimo decennio della sua vita.
Il M. morì a Firenze nel 1555; lasciò la moglie Lucrezia di Francesco Ciampelli, sposata nel 1536, con la quale non aveva avuto figli.
L’opera letteraria del M. è composta dal folto epistolario e dalle rime indirizzate a letterati e personaggi illustri fiorentini e italiani, con i quali aveva mantenuto rapporti di amicizia o solo di natura formale. Tra i corrispondenti, P. Bembo, Francesco Maria Molza, Della Casa, Alamanni, Aretino, Firenzuola, Luca Martini, Vittoria Colonna, Tullia d’Aragona, Varchi, A.F. Doni; tra gli artisti, oltre a Michelangelo, destinatario sia di epistole sia di sonetti, Niccolò Pericoli detto il Tribolo, Giovanni Battista di Iacopo detto il Rosso Fiorentino, B. Cellini e Gian Battista Tasso. Gran parte delle rime è dedicata a personaggi della famiglia de’ Medici e ad altri potenti (le rime sono trascritte in diversi codici fiorentini: un’ampia silloge nel Riccard. 2862, cc. 171r-225r: Sonetti di N. Martelli a donne illustri, signori e gentiluomini amici suoi); oltre ad Alessandro de’ Medici, Margherita d’Austria, Cosimo I (al quale nel 1542 indirizzò ben 100 sonetti, nel Riccard. 2862, e le Stanze sopra le nozze del duca Cosimo de Medici, nel Magl. VII.245), sua madre Maria Salviati, Caterina de’ Medici (alla quale è dedicato il ms. II.X.191 della Biblioteca nazionale di Firenze, contenente più di 100 sonetti sulle principali figure politiche dell’epoca), Margherita di Francia regina di Navarra (anche lei omaggiata di un centinaio di sonetti, nel Riccard. 2862), il duca Enrico d’Orléans (Spassi et rime d’amore di Niccolò Martelli al gran duca d’Orliens, in Riccard. 2972/2), il cardinale Giovanni di Lorena, il segretario granducale Pier Francesco Ricci. Il Riccard. 2862 raccoglie anche Fervori al Redentore; otto sonetti del M. sono in Firenze Biblioteca nazionale, Magl., VII.360; rime del M. o a lui inviate sono in Lucca, Biblioteca governativa, 1495 (Moücke, 10): Raccolta di poeti del sec. XVI, cc. 183v, 184r, 216r, 223r-242v.
Sia le lettere sia le rime del M. non sono mai state pubblicate integralmente con l’autore in vita, ma solo in edizioni parziali, spesso miscellanee. Nel 1546, a Firenze, A.F. Doni impresse il Libro primo delle lettere, il cui valore consiste principalmente nella ricchezza di notizie sulla società dell’epoca, gli umori e le bizzarrie delle brigate fiorentine, non possedendo il M. stoffa di grande prosatore. Un Secondo libro delle lettere, con le stesse caratteristiche, si conserva manoscritto a Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.1447. Altre lettere a stampa sono nella Lettere scritte al signor Pietro Aretino (Venezia, F. Marcolini, 1551-52). Un madrigale è edito in Rime diverse di molti eccellentissimi auttori nuovamente raccolte, Libro primo, (Venezia, G. Giolito, 1545, p. 351), e uno in Libro quarto delle rime di diversi eccellentissimi autori nella lingua volgare (Bologna, A. Giaccarello, 1551, p. 236).
Oltre ai testi pubblicati in Il giardino di Prato: lieti convegni e molli amori del ’500 pratese e fiorentino nelle testimonianze poetiche di N. M. e Bindaccio Guizzelmi, a cura di E. Bogani, Prato 1992, del M. si leggono in edizioni moderne un’antologia Dal primo e dal secondo libro delle lettere, a cura di C. Marconcini, Lanciano 1916 (a pp. 121-123 l’orazione recitata di fronte ai membri dell’Accademia per la fine del suo mandato); la Canzona degli acconciatori di fanti (Canti carnascialeschi del Rinascimento), a cura di Ch.S. Singleton, Bari 1936, pp. 362 s.; Il Canzoniere per Maddalena Salterelli, in Letteratura italiana antica, VIII, a cura di R. Rabboni, Roma 2007, pp. 37-116.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Cittadinario fiorentino, 1, c. 7; Tratte, 989, c. 49; Archivio Martelli, 1, ins. 17: Memorie della famiglia Martelli; ins. 34: C. Benassai, Origine e storia della famiglia Martelli; cc. 92-94; ibid., Inventario Martelli, tomo I, tav. 6; A.F. Doni, I Marmi, a cura di E. Chiorboli, Bari 1928, ad ind.; Il carteggio di Michelangelo, a cura di P. Barocchi - R. Ristori, IV, Firenze 1979, pp. 119, 125 s.; P. Aretino, Lettere. Libro secondo, a cura di F. Erspamer, Parma 1998, pp. XIII, XXV, XXX, 131, 188 s.; Id., Lettere, II-III, a cura di P. Procaccioli, Roma 1998-99, ad indices; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, I-II, Roma 2003-04, ad indices; Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina, I, a cura di J. Rilli, Firenze 1700, pp. 71 s.; S. Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 38-41; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 428; F. Flamini, Le lettere italiane alla corte di Francesco I re di Francia, in Studi di storia letteraria italiana e straniera, Livorno 1895, pp. 285-294; D. Heikamp, Rapporti fra accademici ed artisti nella Firenze del ’500, da memorie e rime dell’epoca, in Il Vasari, 1957, vol. 15, pp. 139-163; U. Pirotti, Benedetto Varchi e la cultura del suo tempo, Firenze 1971, pp. 113 s.; G. Masson, Cortigiane italiane del Rinascimento, Roma 1981, pp. 105, 155-157, 159, 162; L. Perini, La cultura, in Prato storia di una città, a cura di F. Braudel, II, Un microcosmo in movimento (1494-1815), a cura di E. Fasano Guarini, Prato 1986, pp. 627, 674, 676, 684; D. Romei, Scritti su Pietro Aretino nel codice Marciano It. XI 66, Firenze 1987, pp. 96 s.; A. Civai, Dipinti e sculture in casa Martelli. Storia di una collezione patrizia fiorentina dal Quattrocento all’Ottocento, Firenze 1990, pp. 38 s., 45 s.; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a s. Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino 1997, ad ind.; M. Belardini, Margherita d’Austria, sposa e vedova del duca Alessandro de’ Medici, in Margherita d’Austria. Costruzioni politiche e diplomazia, tra corte Farnese e monarchia spagnola. Atti del Convegno, Parma-Piacenza… 2001, a cura di S. Mantini, Roma 2003, pp. 26, 31-33, 38-40, 44; M. Plaisance, L’Accademia e il suo principe: cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004, ad ind.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Martelli di Firenze, tav. III.