MAURUZZI, Niccolo
MAURUZZI (Mauruzi), Niccolò (Niccolò da Tolentino, il Tolentino). – Figlio di Giovanni, condottiero, nacque con ogni probabilità a Tolentino nell’ultimo quarto del secolo XIV.
Si dedicò giovanissimo all’arte della guerra. Fuggì da casa a vent’anni a causa dei contrasti con la seconda moglie del padre, Francesca. Nel 1406 era al servizio di Cabrino Fondulo, che, volendo insignorirsi di Cremona, uccise a Maccastorna i Cavalcabò. Il Fondulo entrò in città la notte del 25 luglio e istituì un consiglio militare di cui entrò a far parte anche il M., che ricevette l’ordine di distruggere tutti i possedimenti dei Cavalcabò. L’anno successivo gli affidò 2000 fanti per la spedizione contro Soncino, che alla fine non si realizzò a causa di un tradimento. Nel 1413 il M., caduto prigioniero di Pandolfo (III) Malatesta – vicario di Fano, signore di Cesena e, dal 1404, di Brescia – passò ai suoi servizi e per i suoi meriti ricevette in feudo il castello della Stacciola e molte terre del circondario di Chieri.
Nel 1417 fu per qualche mese al soldo di Filippo Maria Visconti, ma tornò ben presto con il Malatesta, che lo inviò in aiuto del Fondulo a difesa del Cremonese contro i Viscontei capeggiati dal Carmagnola (Francesco Bussone). Tra il 7 e il 10 novembre si dedicò all’espugnazione di Pumenengo. Quando il Carmagnola nel 1418 invase alcuni possedimenti del Malatesta nel Bresciano, il M. riuscì a salvare la Rocca d’Iseo e Chiari, dove si stabilì e da dove condusse missioni in difesa di Brescia nel 1420.
Nel 1423 i Fiorentini si assicurarono la collaborazione del M. contro le mire espansionistiche di Filippo Maria Visconti e lo assoldarono con una condotta di 400 cavalli; subito il M. fu impiegato nell’esercito guidato da Pandolfo Malatesta alla riconquista di Forlì che, ribellatasi nel maggio alla signoria di Lucrezia Ordelaffi, era passata sotto il controllo di Luigi Crotto, commissario visconteo, e delle truppe di Angelo Della Pergola e Sicco da Montagnana. All’inizio di settembre il M. alloggiava a Bertinoro, da dove si mosse per ricongiungersi il 6 settembre con tutte le genti d’arme fiorentine.
Partecipò a una spedizione per intercettare Fabrizio da Capua, condottiero visconteo a capo di 1000 cavalieri, che faceva da scorta a Carpena e Magliana ai forlivesi che erano andati a vendemmiare. Infine la scorta, messa in fuga fino al ponte a Ronco, si ricongiunse con le altre truppe viscontee e con i fanti provenienti da Forlì e si scontrò con i Fiorentini. Una squadra del M. di circa 100 cavalli che aveva tentato di oltrepassare il ponte fu sbaragliata e subì gravi perdite: ventidue uomini d’arme furono catturati e condotti a Forlì, mentre i fanti si ritirarono a Bertinoro.
Qui agli inizi di ottobre il M. partecipò al consiglio di guerra con i capi militari e Rinaldo degli Albizzi, commissario fiorentino, per decidere i piani futuri. Il 9 ottobre alla testa di 700 cavalli cavalcò verso Fiumana e si scontrò con le truppe viscontee. Il giorno successivo con Rinaldo degli Albizzi e il capitano dell’esercito fiorentino si recò a Forlimpopoli per parlare con Lucrezia Ordelaffi e stabilire una strategia per prendere Forlì e Fiumana. Il 21 ottobre con altre truppe fiorentine per un totale di 500 cavalli e 150 fanti diede battaglia a Gaggiuolo al conte Ramberto da Gaggiuolo. Restò a campo a Gaggiuolo fino alla fine di ottobre quando, dopo aver lasciato lì la fanteria, fece ritorno al quartier generale dell’esercito fiorentino a Bertinoro. Il 20 novembre si scontrò con i nemici presso Forlimpopoli. Si trattenne a Fiorenzuola fino al febbraio 1424 con 200 lance, per poi dirigersi a Bologna.
Agli stipendi di papa Martino V partecipò, nell’esercito guidato da Giacomo Caldora, con Francesco Sforza, Micheletto Attendolo, Bartolomeo Colleoni e Luigi da Sanseverino alla battaglia presso L’Aquila il 2 giugno 1424 per liberarla dall’assedio postole da Braccio da Montone (Andrea Fortebracci).
Nel luglio dello stesso anno, di nuovo con i Fiorentini, corse in aiuto di Zagonara assediata da Angelo Della Pergola, ma il 28 dello stesso mese il campo fiorentino fu rotto, Carlo Malatesta fu fatto prigioniero, Pandolfo Malatesta fuggì a Cesena con 25 cavalli, mentre il M. con 40 cavalli riparò a Oriolo e il 28 luglio si acquartierò a Cesena.
Incerto sul suo futuro, non avendo ancora una condotta con i Fiorentini, si sparsero voci di un suo ingaggio prima con Venezia e poi con il duca; alla fine di novembre si diceva che si fosse accordato col Visconti per una condotta di 1200 cavalli. Ma si trattava di notizie false, perché in realtà il M. continuò a militare con i Fiorentini e nel febbraio 1425 fu sconfitto in Val di Lamone presso Brisighella dalle truppe di Guido Antonio Manfredi, signore di Faenza e alleato del Visconti. Oddo Fortebracci morì, il M. fu fatto prigioniero insieme con Niccolò e Francesco Piccinino, il conte Nicola Orsini fu condotto a Faenza. Quando Guido Antonio Manfredi con il fratello Gian Galeazzo ruppe l’accordo con il duca di Milano e si alleò con Firenze, il M. fu liberato e l’8 ottobre combatté senza successo presso Anghiari con Bernardino Ubaldini (Bernardino della Carda), Niccolò Piccinino e i Manfredi contro i Viscontei guidati da Guido Torello, succeduto ad Angelo Della Pergola.
Quando il Piccinino passò nell’esercito visconteo, Firenze fece dipingere in piazza il condottiero impiccato per un piede, com’era consuetudine per i traditori. Il M. restò fedele alla Repubblica e, in risposta al guasto che il Piccinino aveva portato fin sotto la città di Firenze, andò ad assediarlo nella dimora in cui si era stabilito, a Lugnano. Di notte lasciò il campo di Cortona e assediò la casa dandole fuoco, ma il Piccinino riuscì a mettersi in salvo.
Al termine della guerra di Toscana e di Romagna fu inviato dai Fiorentini in soccorso di Venezia con 4000 cavalli e 3000 fanti. Il Carmagnola, capo dell’esercito veneziano, dal 17 marzo 1426 aveva cinto d’assedio Brescia con 8000 uomini; era riuscito a penetrare nella città, ma non nella cittadella e nei luoghi fortificati.
Per impedire la comunicazione tra i presidi della città il M. suggerì al Carmagnola la costruzione di un doppio fossato lungo 5 miglia, largo e alto 12 braccia, munito di argine, steccati, bastie. Tra l’uno e l’altro alloggiava la fanteria così da bloccare qualsiasi tentativo di comunicazione con l’interno della città. Con questo espediente si riuscì a conquistare le fortificazioni della città e, a novembre, il castello.
Dopo le stanze invernali, il 9 maggio 1427 il M. scese in campo a Castenedolo con 1200 cavalli e, nella lega capitanata dal Carmagnola, a Ottolengo, castello nei pressi di Brescia, respinse l’attacco del Piccinino, del Torelli, del Della Pergola e dello Sforza grazie all’aiuto di Gian Francesco Gonzaga. Partecipò alla battaglia di Maclodio il 12 ottobre; con Bernardino Ubaldini tese un agguato ai Viscontei in un bosco attaccandoli alle spalle con 2000 uomini e impedì loro la ritirata. Il doge di Venezia, Francesco Foscari, per ricompensarlo del valido aiuto prestato alla causa veneziana, in una lettera datata 27 nov. 1427 promise di restituirgli, in sostituzione di Chiari che andava al Carmagnola, le terre che possedeva nel Bresciano quando era al servizio di Pandolfo Malatesta.
Nell’agosto 1428, passato al soldo di Martino V, il M. lasciò la Lombardia per correre in soccorso della Chiesa e dei Bentivoglio contro i Canetoli che avevano fatto sollevare la città di Bologna. Si stanziò con 400 lance e 200 fanti nei pressi di Medicina, con Antonio Bentivoglio e Micheletto Attendolo. Indifferente alle richieste del Senato bolognese di lasciare il territorio, il 6 agosto subì una pesante sconfitta a opera di Luigi da Sanseverino, perse cavalli e carriaggi e si rifugiò nel Fiorentino a Piancaldoli.
Il 4 settembre, mentre l’esercito dei Bolognesi era sull’Idice, occupò con l’Attendolo e il Bentivoglio la bastia di Castel San Pietro, imprigionando e mandando a Imola tutte le persone che vi erano dentro. Il 17 settembre si impossessò di Castelguelfo e poi della Riccardina e di Budrio; la Pieve di Cento si arrese. Mentre era a campo a Imola, lo raggiunse Giovanni di Lorenzo di Lotto per persuaderlo a tornare a Firenze, cui era obbligato per patto. Nel febbraio 1429 saccheggiò il territorio bolognese per vendicare i gravi danni subiti a Medicina e occupò Castelfranco Emilia, penetrandovi con l’inganno, visto che era un luogo ben fortificato.
Nel 1430 militò nell’esercito pontificio guidato da Giacomo Caldora contro i Bolognesi; l’anno successivo si accordò con il duca di Milano e si pose ai suoi servizi con 400 lance, 200 fanti e 10 balestrieri. A Milano, insieme con Francesco Sforza, ricevette il supremo comando delle milizie e si acquartierò alla Ghiara d’Adda. Il 16 marzo 1431 riportò un’importante vittoria contro i Veneziani guidati dal Carmagnola a Soncino, dove furono catturati più di 1000 uomini.
Quando Niccolò Piccinino giunse in Lombardia, Filippo Maria Visconti gli diede l’incarico di capitano generale delle milizie, mentre il M. diventò luogotenente delle città e dei castelli ducali. Irritato dal comportamento del duca, il M. partì dalla Lombardia e prese servizio nuovamente con i Fiorentini, insieme con Micheletto Attendolo, con 2000 cavalli.
Quando nell’agosto 1431 alcuni ribelli capeggiati da Antonio Colonna di Lorenzo occuparono la porta Appia ed entrarono in Roma, il M. fu inviato dai Fiorentini in soccorso di papa Eugenio IV che lo nominò capo delle milizie pontificie. Nell’aprile 1432 lasciò Roma, perché nominato capitano generale dell’esercito fiorentino; raggiunse Firenze attraverso il contado di Perugia, giunse ad Arezzo e andò in Valdelsa, dove si impegnò per impedire che le truppe viscontee si stanziassero in Toscana. Riacquistò Linari e altri castelli, occupati da Bernardino Ugolini per conto del duca di Milano. Con Bernardino, a capo delle truppe senesi, il M. si scontrò il 1° giugno presso Montopoli, nella battaglia di San Romano, immortalata nei dipinti di Paolo Uccello. Con il soccorso di Micheletto Attendolo sconfisse i nemici, che persero 1000 cavalli e 120 uomini d’arme. Dopo aver tentato inutilmente di impossessarsi di Pontedera, andò a porre il campo presso Lucca, alla cui difesa era l’esercito di Sigismondo, sceso in Italia per essere incoronato imperatore a Roma. Cercò di impedire che questi, amico di Visconti, passasse l’Arno e si unisse ai Senesi. Si stanziò poi in Valdichiana fino alla fine dell’estate e costrinse alla resa il castello di Caposelvi. Intanto Sigismondo aveva raggiunto Siena da dove con 600 cavalli e 2000 fanti giunse in soccorso di Caposelvi.
Il 24 giugno 1433, festa di S. Giovanni Battista santo patrono di Firenze, il M. ricevette solennemente il bastone e le insegne del comando come capitano generale della Repubblica che, in riconoscenza dell’impegno profuso, gli donò un elmetto ricoperto di rose d’oro sopra un giglio d’oro, un cavallo coperto di cremisi, broccato e le bandiere quadre del Comune per un valore di 2000 fiorini. In quella occasione Leonardo Bruni recitò un’orazione in onore del Mauruzzi.
Il M. si spostò quindi a Pisa, minacciata dal Piccinino. Quando fu informato della cacciata di Cosimo de’ Medici da Firenze, tentò di andare in suo aiuto, ma alla Lastra i partigiani dei Medici gli consigliarono di desistere dal proposito e fece ritorno a Pisa. Dal novembre 1433 fu impegnato nella guerra della Marca contro Francesco Sforza, inviato dal duca di Milano contro le terre della Chiesa. Fu in Romagna per impedire che lo Sforza entrasse in territorio toscano. Quando lo Sforza giunse nei territori della Marca, molte terre si ribellarono; Tolentino chiese l’aiuto del M., che non poté soccorrere la città perché impedito dalla Repubblica fiorentina tramite Luca di Maso degli Albizzi. Solo nell’aprile 1434 ottenne dalla Repubblica l’autorizzazione a inviare il figlio Cristoforo a capo di alcune milizie. Nel giugno a Orvieto difese il confine della Chiesa e il papa emise una bolla per nominare il fratello e i figli del M. vicari di Caldarola.
Capo dell’esercito fiorentino alleato di Venezia e della Chiesa contro i Ducali guidati dal Piccinino, il M. si recò in Romagna per recuperare i territori ribellatisi alla Chiesa, tra cui Imola e Bologna. L’esercito alleato si era accampato presso Castelbolognese, luogo secondo il M. poco adatto a uno scontro frontale. A causa di divisioni interne, tuttavia, il suo consiglio non fu accettato e il 28 ag. 1434 l’esercito ducale, accampato presso San Lazzaro, catturò in un’imboscata 3500 cavalli e 1000 fanti. Il M. fu fatto prigioniero e condotto a Milano. Inutilmente Fiorentini, Veneziani e pontifici chiesero il riscatto.
Il M. morì nel marzo 1435, gettato in un burrone della Val di Taro. La tesi ufficiale fu quella di una caduta fortuita. Secondo altre fonti fu avvelenato a Milano.
I Fiorentini ne avevano richiesto il cadavere e celebrarono solenni funerali il 14 apr. 1435 per un costo complessivo di 13.000 ducati. Vi parteciparono gli ambasciatori di tutti gli Stati italiani e il papa Eugenio IV. Il M. fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Fiore, dove i Fiorentini fecero eseguire da Andrea del Castagno (Andrea di Bartolo) il monumentale ritratto equestre del M. affrescato nella seconda campata sinistra.
Ebbe tre figli illegittimi, Cristoforo, Giovanni e Baldovino, che Martino V legittimò con un breve nel 1430.
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