ODDI, Niccolo
ODDI, Niccolò. – Nacque il 26 settembre 1715 a Perugia, primo dei cinque figli di Marcantonio, conte di Schifanoia, e della contessa Altavilla Ranieri.
Il fratello del padre, Giacomo, che proprio negli anni della giovinezza di Niccolò consolidò il proprio avanzamento nella carriera curiale e fu creato cardinale nel 1743, ebbe un ruolo fondamentale nell’indirizzarlo verso la carriera ecclesiastica.
Dopo i suoi primi studi a Perugia, Niccolò fu a Venezia, dove lo zio Giacomo era nunzio (1735-39) e dove si era trasferito il nonno Francesco una volta rimasto vedovo. Assistette con certa regolarità il nonno fino alla sua morte, novantenne, nel 1751, ma intanto sotto la tutela dello zio frequentava anche Roma e fu qui, alla Sapienza, che si laureò in utroque iure il 16 novembre 1746. In quello stesso anno, il 15 dicembre, entrò in prelatura, tra i referendari delle Due segnature.
Ombra dello zio cardinale, lo seguì quale vicelegato quando questi fu destinato nell’aprile 1747 alla Legazione di Romagna e nel 1749 nuovamente quando divenne arcivescovo di Viterbo e Toscanella (Tuscania). Nel 1751 fu prelato domestico di Sua Santità e dal dicembre di quell’anno al 1753 relatore ponente della Congregazione della Sacra Consulta. Tra il 26 e il 30 dicembre 1753 ricevette gli ordini minori, poi il suddiaconato e il diaconato. Il 1° gennaio 1754 fu ordinato sacerdote e il 14 gennaio successivo arcivescovo titolare di Traianopoli, ricevendo la consacrazione a vescovo nella cattedrale di Viterbo dallo zio Giacomo il 20 gennaio.
Il 12 febbraio 1754 fu destinato alla nunziatura di Colonia, che poté raggiungere il 9 agosto seguente. In quella sede cercò di destreggiarsi nel difficile rapporto con l’elettore arcivescovo, seguendo altresì con apprensione l’attivismo prussiano che minacciava le regioni cattoliche della Germania. Il 4 dicembre 1759 fu spostato alla nunziatura presso gli Svizzeri, che raggiunse il 16 agosto 1760. Nella sua prima lettera da Lucerna raccontò di un viaggio disastroso e iniziò a denunciare – il che sarebbe divenuto una costante – le sue cattive condizioni di salute. Già in ottobre ottenne perciò il permesso di tornare in Italia «per prevenire gl’incommodi della rigida stagione» (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Svizzera, 177, c. 4). Raggiunse così la sua Perugia.
Nelle missive al segretario di Stato da lì spedite si dedicò talvolta a riflessioni sull’episcopalismo tedesco, tanto nocivo per gli interessi della S. Sede. Descrisse però soprattutto i propri mali: aveva la testa tanto svanita «che sembra una zucca»; a un miglioramento era seguito un nuovo tracollo, tanto «che sembro uno scheletro» (agosto 1761; ibid., 179, cc. 42v, 50v e passim).
Nel settembre 1761 si iniziò a parlare del suo ritorno in Svizzera: Oddi si dichiarava preoccupato, ma non voleva si dicesse di lui che amasse «più l’ozio che di proseguire nella carriera» (ibid., c. 53). Partì in ottobre e il 21 novembre riprese a scrivere da Lucerna. La sua salute costituiva ancora una pena, e poiché dalla Segreteria di Stato s’insinuò che la sua apprensione a riguardo fosse eccessiva, scrisse di credere «che in tutta la prelatura non vi sia alcuno più incurante di me della salute» (ibid., c. 65). Di fatto non vi fu sua nota in cui non scrisse di stare male. Era sempre debole, la sua testa sempre «molto, ma molto, incomodata» (ibid., c. 205) . Ma naturalmente incombevano anche tutti i problemi dell’area della nunziatura. Quanto al metodo di approccio con le autorità svizzere gli era tornata utile l’esperienza veneziana: in laguna aveva imparato che nelle repubbliche «possono con facilità ripullulare le antiche discussioni tutte le volte che l’animosità in alcuno de’ membri nascostamente sussiste, onde l’unico rimedio è incuranza e disprezzo» (ibid., c. 3). Da Roma lo si invitò alla massima vigilanza contro gli stampatori clandestini: tra i libri ‘infami’ pubblicati in quell’area erano anche le Lettere provinciali di Pascal (ibid., c. 83 e passim).
Nel dicembre 1763, ricevette la notizia che sarebbe dovuto partire presto per la Dieta di Francoforte per partecipare all’elezione del nuovo re dei Romani.
Allestita la propria famiglia, deliberato, non senza aver chiesto il parere romano, che nelle occasioni ufficiali avrebbe indossato, per quanto scomodo, il berrettino sopra la parrucca, si adoperò per trovare i soldi per pagare la missione. Da Roma lo si informò della sua prossima provvista dell’arcidiocesi di Ravenna ed egli chiese gli venissero confermate le notizie sulle rendite di quella mensa, ma implorò anche aiuto perché potesse sostenersi nell’immediato e pagare i tanti suoi debiti. A differenza di altri nunzi non godeva di «frutti di prelatura» e viveva delle sole «beneficenze» del papa (febbraio 1764; ibid., cc. 244, 262v, 263). Il viaggio a Francoforte gli risultò pesantissimo: «sono 10 giorni che non dormo e sento che la mia piccola salute molto, ma molto vi soccombe» e ancora più dolorosa fu l’ostilità che incontrò in quel luogo, «io vivo disgregato da ogni consorzio, e quello che più mi duole che neppure ho potuto aver un congresso per dire le mie ragioni» (ibid., cc. 266 s.). Al suo fianco era Giuseppe Garampi, che descrisse l’esperienza in un diario (Arch. segreto Vaticano, Fondo Garampi, 77). Le lettere inviate da Niccolò a Roma erano sconsolate: non riusciva a farsi ascoltare, stava male, la casa dove dimorava era in rovina. Poi venne ricevuto dal neoeletto re Giuseppe II con tutti gli onori dovuti: si lamentò di come l’avevano trattato gli altri ambasciatori e riuscì ad impressionare con ciò il sovrano che si impegnò con lui a sostenere sempre le ragioni della S. Sede (2 aprile 1764; Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Svizzera, 179, cc. 280 s.). Fu l’unico momento positivo della missione e Oddi celebrò la fine della Dieta dicendo che se fosse durata ancora sarebbe morto di bile: l’animosità antiromana era accentuatissima: per «parlare schietto – scrisse – abbiamo pochi, ma pochissimi amici in questa nazione»; bisognava reagire e per cominciare credeva «che si debbino trattare nell’avvenire in una maniera non tanto dolce e condiscendente nelle grazie che domanderanno»; l’unico modo per avere buoni rapporti con i tedeschi era sulla «via dell’interesse» (ibid., cc. 284v-286).
Di ritorno dalla Dieta pure lo angustiava il suo rientro a Roma. Temeva il caldo e ricordava la sua malattia iniziata tre anni prima. Chiese così, e gli fu concesso, di andare prima a Perugia. Era anche preoccupato per i commenti negativi rivolti contro il suo operato: si difese dicendo di aver trovato a Francoforte una «situazione ostilissima» e promise che si sarebbe giustificato con efficacia di persona (ibid., c. 312).
Il 20 febbraio 1764 era stato intanto destinato alla sede metropolitana di Ravenna. Prima di raggiungere la città, nel gennaio 1765, vi spedì una lettera pastorale piena di pietà. In quella sede fu accolto con certo calore, anche per il ricordo che aveva lasciato quale vicelegato di Romagna venti anni prima. Il 26 settembre 1766 fu nominato cardinale prete ottenendo una speciale dispensa dovuta al fatto di avere nel Collegio già lo zio Giacomo. Il 1° dicembre 1766 fu destinato legato di Romagna, ma nel marzo 1767, mentre si trovava a Perugia, cadde gravemente malato.
Accompagnato dal fratello Ludovico si recò ad Arezzo per ricorrere alle cure del medico Lorenzino Bresciani. Arrivato nella città toscana il 12 maggio, alloggiò nel convento locale dei cappuccini per poi spostarsi in una casa gesuita posta fuori dal centro urbano dove però le sue condizioni peggiorarono fino a condurlo alla morte, poco più che cinquantenne, il 25 maggio 1767 (l’8 maggio era stato nominato Soprintendente alle acque di Romagna).
Appena prima di spirare fece solenne professione alla Compagnia di Gesù. Fu esposto nella chiesa dei gesuiti di Arezzo, ove si svolsero i funerali e fu sepolto.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Arch. segreto Vaticano, Arch. della Congregazione concistoriale, Processus Consist., 144 (1754), cc. 260-264; Ibid., Segreteria di Stato. Colonia, 145, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 152°, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166; Ibid., Segreteria di Stato. Svizzera, 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183; Ibid., Fondo Garampi, 77: Diario e viaggio del card. Garampi per la Germania nel 1764, allorché accompagnò in qualità d’uditore mons. O. che da nunzio di Lucerna andò nunzio straordinario alla Dieta di Francoforte per l’elezione di Giuseppe II a re de’ Romani, cc. 24v, 78v, 90, 95, 130, 134v, 140v, 142v, 155v, 156, 158, 187, 191, 193r-v, 218v, 221, 224v, 225 s., 229v, 237v, 242v, 246v, 255r-v, 260r-v, 261, 261a, 273, 275v, 283v, 291v, 293; G. Moroni, Diz. d’erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1840-61, XXVIII, p. 170; IL, p. 59; LII, p. 157; LVI, pp. 236, 252; LXXII, p. 110; S. degli Oddi di Laviano, Cenni storici della famiglia degli O. (de Oddonibus), patrizia di Perugia, Ferrara, Padova, Parma, Albenga, II ed., Parma 1977, p. 59; Päpste und Kardinäle in der Mitte des 18. Jahrhunderts (1730-1777): das biographische Werk des Patriziers von Lucca Bartolomeo Antonio Talenti, a cura di S.M. Seidler - Ch. Weber, Frankfurt am Main 2007, pp. 494-496.