ORSINI, Niccolò
Conte di Pitigliano, nato nel 1442, morto a Lonigo (Vicenza) il 27 gennaio 1510. Abbracciò assai per tempo la carriera delle armi, e già nel 1459 militava nell'esercito pontificio contro Viterbo ribelle. Fu poi con Iacopo Piccinino e si formò veramente alla sua scuola. Combatté infatti con lui nella guerra di successione nel Napoletano e si trovò a Sarno e a Troia. Finita la guerra, fece nel 1465 ammazzare la cugina Penelope Orsini, amica di suo padre e il figlio di questa, suo fratellastro, che la trista donna, dopo aver fatto avvelenare il primogenito legittimo, voleva sostituire nell'eredità. Nel 1474 difese Todi contro i signori di Camerino. Cominciò veramente a distinguersi nel 1478-79 allorché da Lorenzo il Magnifico fu messo, con altri tre condottieri, a capo delle truppe fiorentine nella guerra contro il papa e il re di Napoli. Ebbe poi nel 1482 parte grandissima nella vittoria dei Veneziano-Pontifici a Campomorto. Partecipò quindi, sebbene con mediocre fortuna, alla guerra del 1485-86 provocata dalla congiura dei baroni, ed ebbe in premio, fin dal dicembre 1485, la contea di Nola. Nel 1487 ebbe il comando delle forze fiorentine che conquistarono Sarzana, e l'anno dopo fu a Faenza per impedire che la città cadesse nelle mani del Bentivoglio o dei Veneziani. Nel 1489 fu nominato capitano generale delle forze pontificie. Nel 1494-1495 diresse di fatto l'esercito aragonese sia in Romagna, sia nella successiva ritirata, cercando invano di fermare i Francesi sulla linea Tevere-Nera prima, su quella del Liri e del Volturno poi. Fatto prigioniero presso Nola, riuscì poi a liberarsi il 6 luglio 1495 durante la battaglia di Fornovo. Fatto dai Veneziani governatore generale (comandante in seconda) delle loro forze, restò ferito il 6 settembre 1495 sotto le mura di Novara. L'anno dopo era fatto capitan generale e restò comandante supremo dell'esercito veneziano fino alla morte. Nel 1498 condusse con poca fortuna un esercito veneziano a liberare altre forze venete rimaste bloccate nel Casentino. Nel 1499 occupò Cremona e la Ghiaradadda, agendo di concerto con le forze francesi che conquistavano il Milanese. Nel 1503 occupò Faenza. Nel 1508 fronteggiò in Val Lagarina le forze dell'imperatore Massimiliano, e fu aggregato alla nobiltà veneta. Le imprese più brillanti furono però in questa guerra compiute dal suo dipendente Bartolomeo d'Alviano. E fu una sventura che l'anno dopo l'esercito veneto si trovasse ad avere un generalissimo e un comandante in seconda ottimi per molti rispetti, ma di temperamento diversissimo: il loro disaccordo portò alla rotta d'Agnadello. All'O. spetta però il merito della difesa di Padova e della successiva riconquista di gran parte del Veneto. In seguito agli strapazzi e alla tensione nervosa, ammalò e morì dopo queste ultime imprese. Capitano di non grande facoltà creativa nei suoi disegni d'operazione, ma equilibrato e tecnico eccellente, fu uno dei migliori rappresentanti dell'arte militare italiana di questo periodo.
Bibl.: P. Pieri, La crisi militare it. nel Rinascimento, Napoli 1934.