PAGANINI, Niccolò
Violinista e compositore, nato a Genova il 27 ottobre 1782 (non il 18 febbraio 1784, come hanno asserito molti suoi biografi), morto a Nizza il 27 maggio 1840. Il padre era imballatore di merci al porto e musicofilo. Avviato dal padre allo studio del violino, non a torto il P. è considerato autodidatta, ché di scarso valore furono i suoi primi due maestri, Giovanni Servetto e Giacomo Costa, e pochi i consigli ricevuti da Alessandro Rolla, quando nel 1796 il padre lo condusse a Parma. Anche per la composizione ebbe soltanto una trentina di lezioni da Gaspare Ghiretti, maestro di F. Paër, o forse dal Paër stesso. Prima d'andare a Parma, il P. s'era già fatto ascoltare nelle chiese di Genova, e non ancora dodicenne aveva dato un concerto nel teatro principale di S. Agostino, eseguendo, fra l'altro, delle variazioni di sua composizione sull'aria piemontese La Carmagnola, oggi perdute.
Dopo il soggiorno a Parma diede qualche concerto nell'Italia settentrionale e in Toscana, e di ritorno a Genova iniziò la composizione dei famosi Capricci per violino. Raggiunta una portentosa abilità, andò per la seconda volta in Toscana, ove ottenne le più clamorose accoglienze. Nel 1801 interruppe la propria attività violinistica, forse per amore di una ricca signora, e si dedicò all'agricoltura e allo studio della chitarra. In breve ne diventò suonatore abilissimo, e per essa scrisse innumerevoli composizioni, quali sonate, variazioni, concerti non pubblicati, e anche sonate per violino e chitarra, trii e quartetti in unione agli strumenti ad arco. Soltanto alla fine del 1804 riapparve a Genova e nel 1805 tornò a Lucca, dove accettò il posto di primo violino solista alla corte della principessa Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Quando nel 1809 Elisa venne nominata granduchessa di Toscana e trasferì la propria corte a Firenze, il P. la seguì. Ma di lì a poco, per un banale incidente, se ne allontanò, né volle più tornarvi, nonostante i ripetuti inviti.
Abbandonata la Toscana, il P. percorse tre volte l'Italia, nel corso di circa tre lustri, facendosi applaudire in numerose città e sostando più a lungo a Milano, dove era particolarmente amato e dove i critici, dopo il concerto del 29 ottobre 1813, l'avevano acclamato primo violinista del mondo. In epoche diverse vi diede 37 concerti, parte alla Scala e parte al Carcano, e nel marzo del 1816 trionfò su Ch.-Ph. Lafont nella sfida da questo lanciata, come due anni dopo sosteneva vittoriosamente a Piacenza il confronto con C. Lipinski. Specialmente viva fu l'amicizia che lo legò a G. Rossini e a L. Spohr. Quando nel 1817 suonò a Roma, l'impressione suscitata fu tale, che il principe di Metternich lo invitò ad andare a Vienna. Ma le precarie condizioni di salute gl'impedirono di realizzare per il momento il progetto. Si recò invece nel mezzogiorno d'Italia, ove tornò altre due volte, nel 1818-19 e nel 1823, spingendosi fino a Palermo. In questa città il 23 luglio 1825 vide la luce il figlio Achille, nato dalla convivenza con la cantatrice Antonia Bianchi. Fra le numerose avventure amorose del P. questa è la sola di cui si abbia notizia precisa. Il P. si recò a Vienna nel marzo del 1828. Il primo concerto ebbe luogo alla fine del mese. Le lodi della stampa furono unanimi, vennero diffuse decine di migliaia di suoi ritratti, di moltissimi oggetti si creò una foggia dedicata al suo nome, si coniarono medaglie in suo onore, vennero scritte poesie, commedie e operette ispirate dalla sua figura, e l'imperatore Francesco I lo nominò suo virtuoso di camera. Ma quando, dopo avere dato venti concerti a Vienna, si recò nel dicembre del 1828 a Praga, sorsero aspre discussioni sul suo valore. Il mese successivo suonò per la prima volta in Germania: Dresda gli decretò un trionfo, e al primo concerto dato a Berlino il 4 marzo 1829, un'inspiegabile prevenzione si tramutò di colpo in entusiasmo. A Berlino si trattenne circa tre mesi, sebbene il clima non si confacesse alla sua salute. Appunto al rigore del clima si deve se il viaggio intrapreso nel maggio di quell'anno verso la Russia dovette essere interrotto a Varsavia. A Breslavia, come più tardi ad Amburgo e a Würzburg in Baviera, il successo fu attenuato da qualche critica sporadica. Ciò nonostante proseguì il suo giro in Germania, dove diede un centinaio di concerti, suscitando ovunque ammirazione. Massima fra le distinzioni concessegli durante il giro fu la nomina a barone di Vestfalia, titolo trasmissibile ai figli primogeniti. Alla fine dell'inverno del 1831, dopo un concerto a Strasburgo, si recò finalmente a Parigi. Il successo riportato il 9 marzo 1831 all'Opéra sorpassò qualsiasi previsione: la stampa lo dichiarò superiore a tutti i violinisti francesi. I concerti successivi furono numerosissimi e lo si volle anche a corte.
Quando, dopo avere suonato a Calais e a Boulogne-sur-mer, si decise ad andare a Londra, la sua popolarità si diffuse rapidamente in tutta la Gran Bretagna e anche in Irlanda. Affidatosi a un impresario, visitò il nord della Francia, l'Olanda e il Belgio. A Bruxelles l'ilarità destata dal suo aspetto impedì al pubblico di apprezzarlo come meritava. Nel 1833 e nel '34 tornò in Inghilterra per alcuni concerti. Poi nell'ottobre di quell'anno, scioltosi da qualsiasi impegno e stanco della vita nomade, rimpatriò. Acquistò la villa Gaione presso Parma, dove si riprometteva di trascorrere in serenità gli ultimi anni, e diede ancora qualche concerto di beneficenza a Piacenza, Parma e, l'anno successivo, a Genova. Il 9 giugno 1837 dava un concerto a Torino a beneficio dei poveri (forse l'ultimo) e nel 1838 tornava a Parigi, anche per evitare le conseguenze giudiziarie della disastrosa amministrazione di un Casino, a cui aveva dato il proprio nome. Poi, in cerca di un clima confacente alla propria salute, sempre in condizioni peggiori, si trasferiva successivamente a Marsiglia, a Genova e infine a Nizza, dove moriva in casa del presidente del senato per una forma di laringite tubercolare, che da oltre quindici anni lo tormentava. Essendo morto confessato ma non comunicato, il vescovo di Nizza gli negò sepoltura in luogo sacro e per alcuni anni la sua salma giacque nel lazzaretto di Villafranca. Poi, in seguito all'interessamento del figlio, poté essere trasportata a Polcevera e qualche anno più tardi introdotta nel ducato di Parma. Dal cimitero di Gaione passò nel 1876 a quello di Parma, dove riposa tuttora.
Fra gl'innumerevoli ritratti del P. il più somigliante sembra essere - per asserzione dello stesso P. - quello ad olio (1832) del pittore londinese George Patten.
Il P. oltre che alle proprie opere deve all'abilità di esecutore la popolarità che ancora circonda il suo nome a quasi un secolo dalla morte. E invero questo genio del violino, che aveva sortito da natura tutte le più belle qualità desiderabili in un violinista, dovette essere esecutore prodigioso, se si presta fede al giudizio dei contemporanei più imparziali, e se si considerano le immense difficoltà disseminate nelle sue opere. Dotato di un eccezionale intuito violinistico, che lo condusse a divinare d'un tratto tutte le risorse dello strumento, solo in parte intravvedute dai virtuosi che l'avevano preceduto, provvisto di straordinarî mezzi fisici oltre che della costanza indispensabile per rendersi padrone della nuova tecnica violinistica che egli stesso andava creando (soltanto nella maturità aveva sospeso lo studio regolare), egli sbalordiva per l'arditezza delle scoperte, per la velocità con cui affrontava i passaggi più scabrosi con intonazione sempre perfetta, per la personalità spiccatissima che - a detta del Guhr - lo rendeva dissimile da tutti i violinisti uditi prima di lui. Anche la sua maniera di cantare era diversa dai maggiori suoi predecessori. Spirito inquieto, estremamente sensibile, riusciva a conquistare l'animo degli ascoltatori, nelle frasi melodiche, servendosi spesso della fitta vibrazione della mano sinistra, e la voce che traeva dal suo Guarnieri era penetrante, varia di timbro e di accentuazione, anche se di solito non molto intensa. È logico che la sua natura romantico-trascendentale si trovasse a disagio a contatto delle opere dei classici. Per quanto le amasse (nei periodi di sosta egli soleva eseguire privatamente i quartetti di Beethoven), esse erano state concepite con intendimenti troppo estranei alla sua sensibilità, perché egli ne potesse essere fedele interprete. Al contrario, valendosi delle sue miracolose facoltà d'improvvisatore, egli si serviva delle opere altrui, anche quando leggeva a prima vista, come di un canovaccio, su cui intesseva le variazioni che gli erano abituali.
Era dunque il virtuoso nel senso più ampio che si è dato a questa parola nel campo strumentale, discendente dai Locatelli, dai Lolli, dai Dubourg, dai Mondonville più che dai grandi classici.
Quando si trovava a Lucca, usava corde di calibro superiore al normale, mentre circa 25 anni dopo, a Parigi, le preferiva molto più sottili, anche perché resistessero alla maggiore tensione richiesta dalla così detta scordatura (accordatura totale o parziale dello strumento diversa dall'abituale, che rendeva inspiegabile l'esecuzione di certi passi in determinate tonalità). L'arco era più lungo del normale e con i crini molto tesi, forse per facilitarne il rimbalzo nelle arcate saltellate.
Quale definitivo sviluppo egli abbia dato alla tecnica violinistica, influenzando indirettamente anche la tecnica degli altri strumenti, lo mostrano le sue stesse opere, che ancora oggi costituiscono una pietra di paragone per i violinisti più agguerriti, e che pongono il P. fra i grandi capiscuola, anche se egli non esercitò mai una vera attività didattica tranne le poche lezioni date a Camillo Sivori e a Caterina Calcagno.
Non tutti i moderni procedimenti sono dovuti esclusivamente a lui, ché molto egli derivò dall'opera 9 di P. Locatelli, L'arte di nuova modulazione; ma nessuno prima di lui aveva osato tanto e in maniera così compiuta. Sull'esempio del Locatelli egli spinse la mano sinistra fino alle note più acute percepibili dall'orecchio umano, e di ciascuna corda sfruttò il timbro particolare. Specialmente la quarta corda, che al principio del sec. XIX serviva soltanto per eseguire le note più gravi e per evitare talvolta scomode trasposizioni della mano, assurse per merito suo a nuova dignità. Di un timbro già conosciuto dai predecessori, ma parcamente usato, il P. si valse al massimo grado, estendendo ancora più la tessitura di ogni corda: vogliamo alludere ai suoni armonici, ch'egli profuse in tutte le sue composizioni (eccetto che nei Capricci), non solo semplici e naturali, ma anche artificiali e doppî. Quanto ai bicordi, pochi prima del P. avevano tentato successioni continuate di terze o di seste, e tanto meno di ottave o di decime, richiedenti una posizione anormale della mano. Inoltre il P. usò per il primo il tremolo legato accoppiato alla melodia, il glissando semplice o in ottava, e dalla maggiore estensione delle dita trasse passaggi fino allora ignorati o raramente tentati. Un procedimento già usato ai tempi di N. Mestrino, ma che fu rimesso in onore dal P., è infine il pizzicato fatto dalle dita della mano sinistra via via che si alzano dalla tastiera, alternato a note eseguite con l'arco gettato, o anche insieme con suoni lunghi tenuti dall'arco.
Non minore fu l'intuizione del P. nei riguardi dell'arco. Di tutta la serie di arcate staccate, alla corda, volanti, spiccate e gettate egli fece l'uso più originale. Nelle sue composizioni il picchettato va eseguito talora nelle due direzioni, come egli soleva fare con la massima facilità, e sono frequenti i rapidi passaggi su due corde non attigue senza toccare le intermedie.
Sul valore musicale delle sue composizioni sono state fatte molte riserve, quando sorse la reazione al dilagante virtuosismo ottocentesco. Ma oggi, se la lunga serie di temi variati è giudicata quale un semplice pretesto per sfoggiare una strabiliante valentia, si è concordi nel riconoscere ai due Concerti pubblicati novità e plasticità d'idee ed eleganza di forma, sebbene l'accompagnamento e l'orchestrazione risentano del tempo in cui sono stati scritti (spesso i Tutti intermedi avevano il solo scopo di far riposare il solista). Autentico capolavoro sono infine reputati i 24 Capricci per violino solo, ciascuno dei quali, spaziando nei varî campi della tecnica violinistica, svolge con meravigliosa concisione e con ricchezza di trovate strumentali, armoniche e ritmiche un tema sempre geniale e incisivo. Il migliore omaggio alle composizioni del P. è stato reso da musicisti quali R. Schumann, F. Liszt, che hanno trascritto per pianoforte numerosi suoi Capricci, e J. Brahms, che ha composto le Variazioni op. 35 sul tema dell'ultimo Capriccio. Lo Schumann inoltre ha dedicato al P. un quadretto del suo Carnaval, e il Liszt ha divulgato quella sua trascrizione per pianoforte, il Rondò della Campanella, ultimo tempo del 2° Concerto.
Composizioni pubblicate vivente il P.: 24 Capricci op. 1 per violino solo. Numerosissime sono le revisioni di quest'opera. F. David e F. Boghen hanno scritto l'accompagnamento per pianoforte a tutti i Capricci, e F. Kreisler, M. Erdenko, W. Burmester, W. Besekirsky, D. Hermann, E. Kross, K. Szymanowski a quelli più eseguiti. 12 Sonote op. 2 e 3 per violino e chitarra, ristampate in edizione moderna con accompagnamento di pianoforte. 6 Quartetti op. 4 e 5 per violino, viola, chitarra e violoncello.
Composizioni postume: per violino e orchestra: I Concerto in re (mi b) maggiore op. 6, scritto forse nel 1811 (molti violinisti ne hanno curata la revisione, e l'hanno corredato di cadenze. A. Wilhelmj e E. Polo hanno anche scritto un nuovo accompagnamento per pianoforte al 1° tempo): II Concerto (terminato con il Rondò della Campanella), in si minore op. 7; Le Streghe op. 8, variazioni (M. Erdenko ha composto un nuovo accompagnamento per pianoforte e vi ha aggiunto cadenze); God save the King op. 9; Carnevale di Venezia op. 10, variazioni; Moto perpetuo op. 11, Allegro di Sonata (trascritto per viola da H. Ritter); Non più mesta op. 12; I palpiti op. 13; variazioni. - Per violino e pianoforte: 60 Variazioni sull'aria di Barucabà op. 14, in 3 fascicoli (scritte a Genova nel febbraio 1835); 3 Arie variate sulla 4ª corda; Fantasia sulla preghiera del Mosè (4ª corda) e alcune altre opere di minore importanza. - Per violino solo: Nel cor più non mi sento, Introduzione e variazioni. Duo Merveille.
Composizioni inedite (dal Catalogo della collezione N. P., Parma 1903): autografi tuttora in possesso degli eredi: III Concerto, in mi; IV Concerto, in re minore; V Concerto, in la, per violino e orchestra. Tutti i seguenti manoscritti sono andati dispersi (alcuni però si trovano nel Museo di storia musicale di Colonia). Autografi: Suonata con cinque variazioni; Maestosa suonata sentimentale; La primavera, sonata; Napoléon (corda sola, composta a Lucca dopo il successo ottenuto con una Scena amorosa eseguita su due corde); Tarantella; Balletto campestre (variazioni sopra un tema comico), tutte per violino e orchestra e quasi tutte in forma di variazione. Autografi meno interessanti, nell'ambito delle opere del P.: Sonata Varsavia (il tema è quello del 1° tempo del V Concerto); La tempesta, per violino e orchestra; Maria Luisa (Suonata per corda sola); Cantabile e valtz, dedicato a Camillo Sivori, per violino e chitarra (di questo ultimo manca la parte di chitarra). L'accompagnamento di tutte le suddette opere, tranne quello della Maestosa suonata sentimentale, è stato ridotto per pianoforte da G. Dacci. Autografi o copie di valore ancora più tenue: Sei duetti; Suonata concertata; Centone di suonate (tre gruppi di 6 sonate ciascuna), per violino e chitarra; Tre duetti per violino e violoncello concertanti; Terzetto per chitarra, violino, violoncello (1833); Due terzetti per due violini e chitarra; Terzetto; Serenata, per viola, chitarra e violoncello; Tre ritornelli, per 2 violini e basso; 9 Quartetti (dal n. VII al n. XV), per violino, viola, chitarra, violoncello (il primo di questi Quartetti è stato pubblicato dal Probst a Lipsia per quartetto ordinario); Tre quartetti, per archi. In tutte le suddette opere prevale quasi sempre il violino, qualche volta la chitarra, gli altri strumenti si limitano all'accompagnamento. Di altre sette composizioni manca la parte principale (come è noto, il P. si decise a scrivere le parti a solo appena negli ultimi anni, temendo che l'interesse per le sue esecuzioni potesse diminuire, qualora si fossero pubblicate integralmente le sue opere). Di Le couvent de St. Bernard (o Pendule) manca il Rondò, che è probabilmente quello del II Concerto (Rondò della Campanella), e della Suonatina e Polacchetta esiste la parte principale della sola Sonatina. Le altre composizioni sono pezzi per chitarra e schizzi senz'alcun valore, o insignificanti come la Polacca con variazioni, il Cantabile, N. P. à M. Enry.
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