PALMERI, Niccolo
PALMERI, Niccolò. – Nacque a Termini Imerese il 10 agosto 1778 da Vincenzo, barone della Gasèna, e da Gaetana Palmeri.
Il padre aveva sposato una cugina del ramo primogenito della famiglia, quello dei baroni di Micciché e marchesi di Villalba. Subito dopo le nozze si era trasferito a Termini dalla natia Caltanissetta, acquistando per sé un titolo baronale e facendo costruire un palazzo in città, e una villa in campagna progettata da Giuseppe Venanzio Marvuglia.
L’educazione degli undici figli e figlie, di cui Palmeri era il terzogenito, e tra i quali uno soltanto si sarebbe sposato, fu affidata a un precettore, cugino dell’abate Paolo Balsamo. Palmeri completò poi la sua formazione presso la Reale Accademia degli Studi di Palermo. Studiò retorica con Michelangelo Monti, matematica con Domenico Marabitti, storia naturale con Giovanni Cancilla, ma soprattutto diritto pubblico con Rosario Gregorio, ed economia e agricoltura con il concittadino Paolo Balsamo. Costui era ritornato da poco da un lungo soggiorno – affrontato col sostegno di diversi mecenati, tra cui proprio il barone Vincenzo Palmeri – in Olanda e in Inghilterra, dove si era legato ad Arthur Young, e aveva ripensato in una forma adatta alla Sicilia il liberismo economico basato sulla grande proprietà affrancata dai vincoli feudali.
Proseguì gli studi nell’ateneo di Catania, addottorandosi in utroque iure e avviandosi all’avvocatura con la pratica in uno studio palermitano. Ma l’affievolirsi dell’udito (un disagio comune a diversi dei suoi familiari) e l’interesse per gli studi economici e storico giuridici lo allontanarono dalla professione e dalla capitale e lo riportarono nella vicina Termini. Lì dal 1805 prese lezioni di inglese da un professore di madrelingua, e, soprattutto, si legò sempre di più a colui che avrebbe sempre considerato il suo maestro, l’abate Balsamo.
Erano gli anni del lungo e turbolento spartiacque tra antico regime, restaurazione e rivoluzione in cui in Sicilia storia, antiquaria, diritto pubblico, economia politica, agronomia si intrecciavano in un nodo inestricabile con la politica e ne nutrivano le ragioni. Palmeri partecipò in prima persona, anche se non da principale protagonista, alle fasi cruciali della lotta politica nel 1812 e nel 1820. I suoi primi passi sulla scena pubblica risentirono del magistero di Balsamo, che nell’ultimo quarto del XVIII secolo era stato tra coloro che avevano fornito, attraverso il diritto e l’economia, alcune delle basi ideologiche di quell’‘aristocrazia intelligente’ che si era opposta alle riforme del viceré marchese Domenico Caracciolo, e aveva poi cautamente sostenuto quelle più moderate del viceré Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, coagulandosi in un fronte antinapoletano con l’arrivo della Corte in Sicilia nel 1799 e poi durante il decennio napoleonico. Quell’aristocrazia moderatamente progressista, ma preoccupata di mantenere la propria preminenza, riceveva nuova forza dal pensiero economico agrario di Balsamo, e si proponeva come ceto dirigente di grandi proprietari desiderosi di liberarsi del vincolismo. Nello stesso tempo, sul piano politico, la profonda conoscenza del sistema britannico veicolata dall’abate termitano forniva a quel settore dell’aristocrazia anche la capacità di agire sulla leva giuridico-costituzionale.
Nel 1812 il partito aristocratico costituzionale, capeggiato da Giuseppe Ventimiglia principe di Belmonte e da Carlo Cottone principe di Castelnuovo, presentò in Parlamento il suo progetto di Costituzione, sostenuto dal plenipotenziario inglese in Sicilia lord William Bentinck, e ne affidò l’eleborazione proprio a Balsamo, che si avvalse della collaborazione di Palmeri. Questi ne ripercorse la genesi e i principi nel Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia fino al 1816 (Losanna 1847), elaborato dopo la fine della rivoluzione del 1820.
In quest’opera Palmeri prese in modo esplicito le distanze da Gregorio, la cui autorità in materia di diritto pubblico, di storia, di antiquaria, di arabistica veniva spesa a sostegno delle prerogative della monarchia, in contrapposizione al partito aristocratico (Prefazione al Saggio storico e politico, pp. 6 s.). La proposta costituzionale di Balsamo, invece, venne presentata nella medesima opera alla luce dell’anglofilia condivisa da maestro e allievo: essa era stata elaborata guardando alla costituzione d’Inghilterra come quadro di riferimento politico nel quale ricondurre l’antica legislazione siciliana, con lo «svolgere i capitoli del Regno, pigliarne i più interessanti, metterli in ordine, e renderne le espressioni più acconce alle moderne idee di diritto pubblico» (Saggio storico e politico, p. 116), in un’ottica autonomistica politicamente moderata. La carta costituzionale avrebbe poi subito le modifiche imposte dalla dura dialettica politica tra le diverse anime del partito costituzionale, lord Bentinck, e il principe ereditario Francesco di Borbone (il futuro Francesco I delle Due Sicilie), nominato vicario generale in Sicilia.
Il Parlamento del 1812, dove Palmeri sedette nella camera dei Pari come procuratore, fu anche il luogo del consolidamento del suo sodalizio col principe di Castelnuovo. Deputato nei due successivi Parlamenti costituzionali (1813 e 1814), dapprima per il comune di Termini e poi per l’intero distretto, Palmeri sostenne sempre la parte politica moderata guidata da Castelnuovo. Dopo il ritiro di costui dalla politica attiva, in seguito alla fine dell’autonomia istituzionale del Regno di Sicilia con la restaurazione, Palmeri partecipò attivamente al suo progetto filantropico: il principe, ritiratosi a vita privata, aveva fondato nella sua villa ai Colli un istituto agrario con campo sperimentale, per il quale, tra il 1820 e il 1829, Palmeri compose e pubblicò un Calendario dell’agricoltore siciliano per diffondere tra gli agricoltori la razionalità e la cura nei lavori campestri, insieme col rispetto delle tradizioni locali. Il ritorno a Termini coincise, inoltre, con la scomparsa, nel 1816, dell’abate Balsamo, unito a Palmeri e alla sua famiglia da un legame intellettuale, affettivo e di patronage. Palmeri ne pubblicò nel 1818 la Necrologia su La Biblioteca italiana, celebrando la sua adesione completa all’ideologia del maestro.
Quando nel 1820 in Sicilia scoppiò il moto indipendentista e costituzionale, la città di Termini vi aderì, e Palmeri, insieme col fratello Raffaele, fece parte della Giunta provvisoria di governo che vi si costituì. Subito dopo fu chiamato a far parte della Giunta della capitale, mentre Raffaele veniva messo a capo di una ‘guerriglia’ inviata in direzione di Messina per sedare le rivolte popolari dei comuni tirrenici.
In qualità di membro della Giunta palermitana Palmeri fu partecipe testimone degli avvenimenti della rivoluzione siciliana, e nelle Considerazioni sul decreto del Parlamento di Napoli che dichiarò nulla la convenzione di Palermo del 14 ottobre 1820 (Palermo 1821) manifestò la sua convinzione sulla decisiva responsabilità del Ministero e della Giunta napoletani, oltre che del generale Florestano Pepe, nello scatenarsi della furia popolare che avrebbe terrorizzato i promotori moderati, aristocratici e borghesi, della rivoluzione, inducendoli ad affidare il mantenimento dell’ordine della città alle maestranze armate.
Il fallimento e la repressione della rivoluzione, e il timore delle sue derive democratiche o, peggio, delle iniziative plebee, lo ricondussero definitivamente a Termini.
Qui si dedicò alla riflessione politica sugli eventi, scrivendo il Saggio storico e politico sulla Costituzione e i Cenni storici sulla rivoluzione del 1820 in Sicilia, due saggi complementari, i più significativi della sua visione ideologica, che però non avrebbe dato alle stampe nel clima di riflusso degli anni Venti. Essi circolarono manoscritti tra gli esuli e i cospiratori, per essere poi pubblicati soltanto nel 1847, a Losanna, dallo storico siciliano Michele Amari, il quale leggeva criticamente come inadeguata la guida politica degli aristocratici progressisti che Palmeri aveva sostenuto, e inseriva ormai la questione siciliana nel quadro di quella, più ampia, di una federazione italiana.
Il secondo rientro a Termini fu segnato per Palmeri da difficoltà economiche legate alla più generale crisi degli anni Venti e alle vicende successorie familiari. L’abolizione del fedecommesso aveva reso possibile la ripartizione ereditaria dei beni dapprima indivisibili, e acceso, come in altre parentele nobiliari, una sequela di cause legali tra gli eredi. Palmeri non accettò più cariche pubbliche, e in particolare, nel 1827, rifiutò la sindacatura della sua città; si rifiutò di chiedere impieghi e di accettare offerte di direzione di istituzioni culturali, private o governative (lettere a Lionardo Vigo del 7 e del 25 agosto 1832, in Nicotra, 1970, pp. 185-187).
In questo periodo la sua vita di studioso venne sostenuta da finanziatori privati, tra i quali, fino alla sua morte nel 1829, il principe di Castelnuovo, e, negli anni Trenta, lo studioso e politico di Acireale Salvatore Vigo, zio del folklorista Lionardo, che di Palmeri fu amico. A Termini Palmeri si immerse nell’ambiente degli eruditi locali, tra i quali gli fu particolarmente vicino Baldassare Romano, a cui indirizzò la Lettera intorno al Gioja (in Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia, XXIV [1828] 72, pp. 225-240) per confutare le critiche mosse ai suoi scritti di economia dai protezionisti in nome delle dottrine di Melchiorre Gioia. Nella città natale si impegnò in studi di storia, archeologia, antiquaria ed economia. Partecipò così alle attività della locale Accademia Euracea Imerese, della quale nel 1822 tenne il discorso d’apertura; collaborò al Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia, malgrado la disistima per il suo direttore, l’abate Giuseppe Bertini, e per la linea editoriale ritenuta eccessivamente governativa. Nel 1827 intraprese un viaggio in compagnia dell’amico medico termitano Antonino La Manna, deputato agli studi e direttore della locale scuola lancasteriana, recandosi nel sud della Sicilia e in particolare ad Agrigento per i comuni interessi archeologici. Subito dopo il viaggio scrisse la Memoria sulle antichità agrigentine (Palermo 1832).
Gli impegni più significativi della sua elaborazione e della sua riflessione in quegli anni furono il Saggio sulle cause e i rimedi delle angustie attuali dell’economia agraria in Sicilia (Palermo 1826) e la Somma della storia di Sicilia di cui vide pubblicati il I e II volume (Palermo, rispettivamente 1834 e 1835), mentre i successivi tre sarebbero usciti postumi (ibid.1838-40).
Il Saggio sulle cause e i rimedi delle angustie attuali dell’economia agraria in Sicilia, edito grazie al principe di Castelnuovo e dedicato alla memoria dell’abate Balsamo, ne elabora e prosegue le istanze liberiste nell’ambito della polemica tra gli economisti all’indomani della tariffa doganale del 1824. Spiegando il crollo dei prezzi degli anni Venti alla luce della teoria quantitativa della moneta, addita come possibile via d’uscita dalla crisi per la Sicilia lo scioglimento dei diritti promiscui sulla terra (l’«economica poligamia»), il potenziamento della media proprietà, l’allevamento razionale con l’impianto dei prati artificiali, ma soprattutto la libera esportazione delle derrate agricole e specialmente del frumento. Per promuovere quest’ultima, Palmeri si spinge fino a suggerire un sistema di incentivazione, un «premio», poiché «è solo col mezzo di una gratificazione da accordarsi alla asportazione de’ frumenti di Sicilia che la nostra economia agraria può risorgere dal mortale deliquio in cui si trova» (Saggio sulle cause e i rimedi…, pp. 66-78).
Palmeri cominciò a lavorare alla Somma della storia di Sicilia contemporaneamente al Saggio, nel 1825, ma vi si applicò con intensità a partire dal 1830. La visione politica sottesa all’opera sta all’intersezione tra le argomentazioni del Saggio storico politico a proposito della guida politica della ‘nazione’ siciliana da parte dei ceti superiori isolani, e la posizione più conciliante nei confronti della monarchia borbonica adottata da Palmeri in seguito all’ascesa al trono di Ferdinando (1830) e alle sue iniziali aperture, fino al 1835, nei confronti della questione siciliana. La visione sicilianista, tuttavia, veniva moderata da una nuova sensibilità nei confronti dei comuni interessi dell’Italia, chiamata in causa soprattutto nella ricostruzione degli eventi del Vespro, quando «un nuovo sentimento, più nobile e maggiormente degno di un popolo a ragione orgoglioso della sua reminiscenza cominciò a destarsi, lo studio, cioè, di mantenere la indipendenza d’Italia» (Somma, 1883, p. 719).
Pubblicati i primi due volumi dell’opera, nel maggio del 1837 la stampa del III venne interrotta dalla penuria di carta a Palermo. Palmeri, amareggiato, rientrò a Termini con l’intenzione di portare a termine l’opera per farla stampare per intero un volta ricevuti i rifornimenti (lettera a Baldassare Romano del 14 maggio 1837, in Renda, 1969, p. 68). Ma venne sorpreso dallo scoppio del colera all’inizio dell’estate.
Morì pochi giorni dopo aver contratto il colera, a Termini il 18 luglio 1837.
Fonti e Bibl.: B. Romano, Su la vita e gli scritti di N. P., Palermo 1837; F.P. [Francesco Perez], Elogio di N.P ., in N. Palmeri, Somma della storia di Sicilia, Palermo 1850; U.A. Amico, N. P., Torino 1862; Opere edite ed inedite di N. P.... Con un discorso sull’autore e note storiche ed illustrate, a cura di C. Somma, Palermo 1883; N. Palmeri di Villalba, Memorie storiche e biografiche della famiglia Palmeri di Villalba, Palermo 1902, pp. 369-413, 416-457; A.G. Battaglia, N. P., Palermo 1903, pp. 10-31; N. Palmeri, Saggio e cause e rimedi delle angustie dell’economia agraria in Sicilia, a cura di R. Giuffrida, Caltanissetta - Roma 1962; F. Renda, Lettere di N. P. a Baldassare Romano, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, LXV (1969), 1, pp. 63-73; R. Nicotra, Lettere di N. P. a Lionardo Vigo, ibid., LXVI (1970), 1-2, pp. 157-203; R. Nicotra, Il progetto politico di N. P., ibid., LXX (1974), 2-3, pp. 399-411; G. Giarrizzo, Cultura e economia nella Sicilia del Settecento, Caltanissetta-Roma 1992, ad ind.; A. Crisantino, Introduzione agli «Studii su la storia di Sicilia» di Michele Amari, Palermo 2010, ad indicem.