PEROTTI, Niccolo
PEROTTI (Perotto, Perotta), Niccolò. – Nacque a Sassoferrato nel 1429 o 1430, primogenito di Francesco e di Camilla, o Iacopa, Lanzi da Fano.
Il cognome oscilla dalla forma volgare Perotto (Archivio di Stato di Bologna, Comune, Governo, Carteggi, I, Lettere del Comune, b. 2, n. 65) a quella latina Perotta (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 3279, c. 2r). Il padre, miles e conte lateranense, poi scudifero e familiare pontificio (Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat., 433, cc. 47v-48v), ottenne il «magistratus Tudertinus» nel 1452 e prese parte attiva nella rivolta contro gli Atti (1460). L’arme di famiglia è di rosso al leone d’argento su scala d’oro posta in banda, inquartata dal 23 giugno 1460.
Dopo aver studiato a Mantova con Vittorino da Feltre (1443-45), Perotti si trasferì presso William Grey a Ferrara e fu poi con Bessarione a Roma (ca. 1447) e a Bologna (marzo 1450). Qui ricoprì l’insegnamento universitario di retorica e poesia nel biennio 1451-52 e 1452-53, e nel gennaio 1452 accolse l’imperatore Federico III con un’orazione che gli valse la laurea poetica. Dal settembre 1453 al dicembre 1454 fu impegnato in una feroce polemica con Poggio Bracciolini, pur proclamando la sua totale conversione agli studi in una lettera all’amico Iacopo Costanzi.
A Roma tradusse in latino il De invidia di Basilio di Cesarea, nonché il De invidia et odio e il De Alexandri Magni fortuna aut virtute di Plutarco; a Bologna l’Enchiridium Epicteti e il De fortuna Romanorum di Plutarco (conservati nell’idiografo di San Daniele del Friuli, Biblioteca Guarneriana, Cod. 204), nonché le Historie di Polibio (Vat. lat., 1808; ed. princeps: Roma, K. Sweynheym - A. Pannartz, 1472), che nell’estate del 1454 gli fruttarono il compenso di 500 ducati, celebrato nel Liber epigrammatum ad Sigismundum Pandulfum Malatestam (Vat. lat., 186). Insieme con due traduzioni dell’epigramma bessarioneo su Tolomeo e con quella dello Iusiurandum Hippocratis per Bartolomeo Troiano, il ms. Lat. 56 (Modena, Biblioteca Estense universitaria) conserva il De metris per l’amico Iacopo Schioppo e l’Epistola de generibus metrorum quibus Horatius Flaccus et Severinus Boetius usi sunt, indirizzata al fratello minore Elio: più volte ristampati dopo la princeps di Bologna, presso B. Azzoguidi, 1471, i due trattati servirono per decenni allo studio della metrica. Le lettere a Giovanni Tortelli, nel Vat. lat. 3908, informano di versioni incompiute da Simplicio (il commento all’Enchiridium), Taziano e Arriano.
Al periodo bolognese risalgono anche le lettere a Lorenzo Valla, quella a Giovanni Guidotti De origine urbis Bononiae, del 1453, e le due a Vespasiano del 13 agosto 1453 e 18 ottobre 1454. Sandro Boldrini ha rivendicato a Perotti la lettera in cui si promettono a Niccolò V codici greci da Trebisonda (Vat. lat., 3908, c. 161).
Venuto a Roma per il conclave del 1455, Perotti fu nominato segretario apostolico da Callisto III e scrisse a re Alfonso I di Napoli in vista della crociata contro i Turchi, prima di essere inviato in missione «ad diversas mundi partes» (24 giugno 1456). Vicario di Bessarione quale commendatario dell’abbazia di Fonte Avellana (Annales Camaldulenses, VII, Venetiis 1762, pp. 249 s.), abbracciò gli ordini sacri e il 20 settembre 1458 fu ordinato da Pio II arcivescovo di Siponto (Archivio segreto Vaticano, Reg. lat., 539, cc. 90r-91r). Seguì ancora Bessarione alla dieta di Mantova, dove, il 15 agosto 1459, pronunziò l’Oratio de assumptione Beatae Virginis, esortando alla crociata, e successivamente nella legazione in Germania (19 gennaio 1460 - 20 novembre 1461; Archivio segreto Vaticano, Arm. XXXIV, 7; Arm. XXXV, 134-135): consigliere imperiale e procuratore dell’imperatore presso la Curia già prima del 24 febbraio 1460, ottenne allora l’erezione in contea del feudo di Isola Centipera (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Normali, 1460 giugno 23, Regio acquisto). Intanto si susseguivano nomine e benefici, tra cui l’incarico di referendario pontificio.
Soggiornando a Venezia tra il luglio 1463 e il giugno 1464, tradusse dal greco un Oraculum Apollinis de Isthmo, a cui Francesco Filelfo accenna in due familiares del 15 dicembre 1463 e del 26 gennaio 1464.
Nominato rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia tra il 31 agosto e il 17 settembre 1464 (Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat., 544, c. 115v; 542, cc. 16v-18r), chiamò a Viterbo il nipote Pirro, figlio del fratello Severo, a cui dedicò i fortunatissimi Rudimenta grammaticae, conclusi da un De componendis epistolis (autografo nel Vat. lat. 6737, terminato nel novembre 1468; si conoscono 135 incunaboli a partire dalla stampa romana di Sweynheym e Pannartz del 1473).
Da Viterbo mantenne rapporti epistolari con Battista Castellensi, il cardinale Giacomo Ammannati Piccolomini e altri, e scrisse poesie come l’Apostropha ad urbem Viterbum. Il 14 maggio 1468 fu tra i testimoni della donazione della biblioteca di Bessarione alla chiesa veneziana di S. Marco. È invece incerto se risalga a questi anni oppure al 1472 la Monodia in obitu Severi Perotti.
Nonostante l’opera di riqualificazione urbanistica della città, che gli valse riconoscimenti da parte dei Priori, i viterbesi gli rimproverarono ingiustizie, abusi e una condotta immorale. Egli si difese scrivendo al Consiglio del Comune, ma fu sollevato dall’incarico e il 17 aprile 1469 tornò a Roma, da dove indirizzò a papa Paolo II una lettera sul prosieguo della guerra contro Roberto Malatesta, proclamatosi signore di Rimini.
Nel frattempo divampava la polemica tra Bessarione e Giorgio di Trebisonda. Perotti prese le parti del primo (forse già nel 1465, se in quell’anno gli scriveva in proposito da Civita Castellana): rivisto il testo latino dell’In calumniatorem Platonis (aprile-agosto 1469), nel 1470 rintuzzò Giorgio Trapezunzio in una lettera a Francesco Giustinian e scrisse con Domizio Calderini la Refutatio deliramentorum Georgii Trapezuntii (autografo nel ms. Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., VI 210 = 2677).
All’estate 1470 risale il commento alle Silvae di Stazio (fino a I, 5, 33 nel mutilo autografo Vat. lat., 6835, cc. 54r-94v) e lo studio di Marziale (sull’autografo Vat. lat., 6848), condotto insieme con Pomponio Leto e propedeutico all’edizione del 30 aprile 1473 per i tipi di Sweynheym e Pannartz (del 7 maggio è l’edizione di Plinio). Nella lettera a Francesco Guarnieri della metà del 1470 (la princeps è del 1480), criticando l’edizione di Plinio di Andrea Bussi, Perotti esponeva innovativi principi ecdotici, invitando il papa a sorvegliare la pubblicazione dei classici. Questioni filologiche e lessicografiche tornano in due lettere ad Ammannati conservate con quella a Guarnieri nell’Urb. lat. 297.
Il 4 febbraio 1471 gli fu conferito da Paolo II il governo di Spoleto (Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat., 543, cc. 93v-96r), ma dopo l’elezione di Sisto IV (9 agosto 1471) tornò a Roma e seguì per un tratto Bessarione nella legazione in Francia iniziata il 20 aprile 1472. Prima della morte del cardinale (18 novembre), dedicò a Pietro Foscari una raccolta di Monodie in prosa che, oltre a quella per il fratello Severo, comprendeva la traduzione dell’Oratio XX di Elio Aristide per il terremoto di Smirne, dell’Oratio XVII di Libanio in morte dell’imperatore Giuliano e del giovanile discorso funebre di Bessarione per Manuele II Paleologo (Patrologia Graeca, CLXI, pp. 615-620; l’autografo nel Vat. lat., 6835, cc. 2r-51v).
Sollevato dall’incarico spoletino, dalla fine del 1472 all’agosto 1474 Perotti risiedette a Roma dove, nel gennaio 1474, tenne il discorso funebre per Pietro Riario. È questo il periodo della polemica con Domizio Calderini sul testo di Marziale: dal Cornucopiae (proemio, 8) e da un’orazione del suo segretario Francesco Maturanzio risulta che le molte lettere in proposito furono raccolte in due sillogi, le Epistolae Romanae del 1473-74 e le Perusinae del 1474-78; ci resta solo quella a Pomponio Leto del 1473.
Alla fine dell’estate 1474 risale l’Epitome, che raccoglie poesie originali, insieme a varie favole di Aviano e a sessantaquattro di Fedro (di cui trentadue altrimenti sconosciute, la cosiddetta Appendix Perottina): l’umanista attribuì l’iniziativa della silloge a Tito Manno Veltri, dedicandola al nipote Pirro (autografo nel ms. Napoli, Biblioteca nazionale, IV.F.58).
Perotti potè contare sull’appoggio di Sisto IV (Archivio segreto Vaticano, Arm. XXXIV, 7, c. 103r), che il 18 agosto 1474 lo nominò governatore di Perugia (Reg. Vat., 656, cc. 98v-101v), conservandolo nella carica, tra alterne vicende, per oltre due anni e compensandolo poi con la parrocchia di S. Giovanni de Turricella, diocesi di Camerino (2 luglio 1477; Archivio segreto Vaticano, Reg. lat., 776, cc. 82v-84r).
Di questi anni restano poche lettere, tra cui quella in volgare del 22 gennaio 1476 a Giovanni Perotto, secondo marito della cognata Elisa Martinozzi (originale nel Vat. lat. 4104, c. 88). Posteriore all’agosto 1474, ma non necessariamente del periodo perugino è la traduzione del De virtutibus et vitiis pseudoaristotelico, dedicata a Federico da Montefeltro e pubblicata a Fano nel 1504.
Il ritorno di Perotti a Sassoferrato (dopo il 16 marzo 1477) suscitò malumore nei concittadini, danneggiati dall’acquisizione di terreni comunali a dispetto dei vincoli statutari sui possedimenti montani. Il nuovo governatore, insediatosi il 3 giugno 1477, gli impose il ritiro nella villa Curifugia di Isola Centipera; due anni dopo il Consiglio della Credenza stabilì la restituzione della terra e l’interdizione dei Perotti dalle cariche cittadine per quattro anni (Sassoferrato, Archivio comunale, Riformanze, 1479, cc. 10v-12v, 14v, 35v-36r; Perotti rispose con la lettera dell’11 novembre 1479, conservata in originale di altra mano nel Vat. lat. 6848, c. 295).
A Sassoferrato, nella casa di fronte alla chiesa di S. Chiara (a cui donò importanti reliquie, oggi nel Museo civico), e poi a Isola Centipera, Perotti scrisse il Cornucopiae, enciclopedico commento a Marziale dedicato al duca di Urbino (Urb. lat., 301). Si tratta in realtà non «tam unius poetae quam totius linguae Latinae interpretatio» (proemio, 3): una summa del sapere umanistico, fonte dei lessici di Ambrogio Calepio e Robert Estienne, ricca di discussioni linguistiche ed erudite, nonché di migliaia di citazioni da autori antichi, in parte non tramandate altrove, forse falsificazioni umanistiche. Nel proemio il nipote Pirro racconta che lo zio aveva composto l’opera a uso personale: egli l’avrebbe copiata segretamente aggiungendo il commento ai versi di Marziale più osceni e corredandola dei riassunti degli epigrammi, nonché di rubriche e indici, nella speranza che Federico da Montefeltro la desse alle stampe. Fu però soltanto nel 1489 che il duca Guidubaldo I finanziò la prima delle molte edizioni quattro-cinquecentesche (38 fino al 1536), dove figurano gli indici promessi nel proemio ma assenti nel manoscritto (Venezia, P. Paganini).
Perotti morì a Sassoferrato il 15 dicembre 1480, lasciando a Pirro averi e debiti. La Camera apostolica esercitò il diritto di spoglio sui suoi beni e fece stendere l’inventario dei libri rimasti a Perugia (Archivio di Stato di Perugia, Iura diversa, X).
Fonti e Bibl.: Molti degli scritti di Perotti sono inediti o si leggono in incunaboli e cinquecentine. In epoca più recente la loro vicenda editoriale fu dapprima legata a quella di Bessarione. La svolta fu segnata da R.P. Oliver, N. P.’s Version of The Enchiridion of Epictetus, Urbana 1954, che alle pp. 137-166 fornisce una lista degli scritti perottini con manoscritti ed edizioni, da integrarsi con P.O. Kristeller, N. P. ed i suoi contributi alla storia dell’Umanesimo, in Res publica litterarum, IV (1981), pp. 7-25 e con J.-L. Charlet, N. P., humaniste du Quattrocento: Bibliographie critique, in Renæssanceforum, VII (2011), pp. 1-72, cui si rinvia per la bibliografia secondaria e l’edizione delle opere (tra cui la monumentale edizione del Cornucopiae curata dallo stesso Charlet et alii, Sassoferrato 1989-2001). Fondamentale l’opera di approfondimento critico su Perotti svolta da Sesto Prete e dall’Istituto internazionale di studi piceni, che dal 1980 organizza annualmente un congresso consacrato almeno in parte alla figura di Perotti (atti in Studi umanistici piceni e, fino al 1991, in Res publica litterarum). Per l’iconografia si rinvia a S. Isidori, Il cardinal Bessarione e gli affreschi della Cappella dei santi Eugenia, Giovanni Battista e Michele arcangelo nella basilica dei Santi XII Apostoli in Roma, in Bessarione e la sua Accademia, a cura di A. Gutkowski - E. Prinzivalli, Roma 2012, pp. 135-156.