PUCCINI, Niccolo
PUCCINI, Niccolò. – Nacque a Pistoia il 10 giugno 1799, ultimo degli otto figli di Giuseppe e di Maddalena Brunozzi.
Il padre apparteneva a un casato di professionisti e proprietari che aveva fatto fortuna a partire dalla metà del Seicento, tanto che il nonno Domenico, sulla base della legge lorenese sulla nobiltà, era riuscito a ottenere, nel 1755, il riconoscimento del patriziato. Il favorevole matrimonio contratto da Giuseppe nel 1785 contribuì poi a incrementare i già cospicui beni di famiglia, fra i più considerevoli del territorio pistoiese e comprensivi di una quarantina di poderi, immobili e grandi palazzi in città.
A differenza dai fratelli, che sulle orme paterne avevano compiuto parte degli studi presso il Collegio dei nobili di Parma, Niccolò non si allontanò dalla città natale e nel 1808 fu iscritto al Collegio vescovile di Pistoia. A causa della salute cagionevole che cominciò a manifestarsi in frequenti crisi d’asma e nei primi segni di quelle malformazioni fisiche che lo avrebbero portato a diventare gobbo, nel 1811 fu ritirato dall’istituto annesso al seminario.
Ripudiata in tempi rapidi l’educazione ricevuta in quei travagliati anni, il giovane Puccini mostrò un precoce interesse per l’arte e la letteratura declinate in chiave civile. Già nel 1820, raggiunta la maggiore età, decise di far decorare le stanze a lui assegnate nel palazzo di famiglia con immagini di grandi italiani come Dante e Machiavelli e con scene raffiguranti eroi della libertà quali La Fayette e Washington, consacrando all’Italia una sala sormontata dall’augurale verso di Eustachio Manfredi «poi sorger lieta in un balen la vidi» (Contrucci, 1852, p. 19). Nel 1821 fu tra i fautori, e di fatto l’unico finanziatore, di un’iniziativa patriottica destinata a una certa notorietà; sullo sfondo dei primi moti carbonari, la Società degli onori parentali ai Grandi Italiani, sorta in seno all’Accademia di scienze, lettere e arti cittadina (a cui Puccini era stato ammesso all’unanimità nel 1820) e con notevole anticipo rispetto ad altre consimili, ebbe lo scopo di celebrare con «solenni onoranze» «i più Illustri Italiani di qualunque provincia della penisola, i quali» avessero «ben meritato della Nazione» (Bonacchi Gazzarini, 1979, p. 37). Come avrebbe scritto nel 1827 Puccini a Vincenzo Monti, la spinta a «esercitare il nostro impegno con prose e con versi» risiedeva nella volontà di «confortare la stanca virtù dei presenti, ricordando loro il felice ardimento dei passati» (p. 57). Nel 1824, a soli 25 anni, la prematura scomparsa dell’ultimo dei fratelli maggiori, Domenico, rese Niccolò Puccini amministratore unico di un’ingente ricchezza.
Quella precoce disponibilità di mezzi influenzò tutta la sua esistenza; sul tronco delle esperienze giovanili sviluppò infatti una forte vocazione verso il mecenatismo e la filantropia, con una politica di gestione del patrimonio non più indirizzata al suo incremento attraverso acquisti e accumulo di beni stabili. Già a metà degli anni Venti, appassionatosi alla causa dell’indipendenza greca, decise di farsene generoso finanziatore.
Nel frattempo, secondo il costume della migliore nobiltà granducale, a partire dal 1823 aveva deciso di sprovincializzare la sua formazione iniziando a viaggiare per l’Italia e all’estero; in particolare dal marzo al settembre del 1826 effettuò un lungo itinerario che dietro le suggestioni del Grand Tour lo portò ad attraversare la Francia, l’Inghilterra, i Paesi Bassi e la Svizzera. La frequentazione di prestigiosi salotti gli permise di allargare la cerchia delle sue relazioni a personaggi del calibro di Alessandro Manzoni, Carlo Botta, Benjamin Constant, Gilbert Motier de La Fayette. Terminato questo tirocinio, salvo periodici soggiorni a Firenze, dove ebbe modo soprattutto di consolidare i rapporti avviati fin dal 1820 con Giovan Pietro Vieusseux e il suo rinomato Gabinetto, si ritirò stabilmente a Pistoia nella settecentesca villa di famiglia di Scornio, investendo nella cura di quest’ultima le relazioni intellettuali maturate negli anni precedenti.
Potenziando un progetto già avviato dagli avi e destinato a impegnarlo per due decenni, decise di realizzarvi un coinvolgente scenario imperniato su un grande parco, aperto dal 1830 al pubblico e contrassegnato da itinerari monumentali e naturali nei quali istanze neoclassiche si combinavano a decisi echi romantici. Statue e busti di grandi italiani o edifici come il Pantheon degli uomini illustri, affiancati a fabbricati in stile medievale come il castello gotico, furono chiamati a trasfondere ai visitatori precisi ideali storici e morali. Incoraggiato e influenzato nelle scelte figurative da Francesco Domenico Guerrazzi e dal classicismo ghibellino di Giovanni Battista Niccolini, commissionò inoltre negli anni Trenta sia a pittori affermati sia a giovani artisti dell’Accademia fiorentina una galleria di quadri storici a forte valenza politico-letteraria, dedicati al testamento di Niccolò Machiavelli per la libertà italiana, alla morte di Francesco Ferrucci, all’origine del Vespro siciliano. Intervenne personalmente sul merito di dipinti aventi come motivo dominante l’esacrazione della tirannide, con chiari intenti antidinastici e concepiti per alimentare una virtuosa emulazione dei fatti italiani passati. Soprattutto a seguito dell’allarme suscitato dai moti del 1830-31 nel Granducato e nella stessa Pistoia (dove i Parentali furono sospesi d’autorità), Puccini si attirò le attenzioni del Buongoverno; il sospetto che la sua dimora potesse essere un crocevia di trame settarie e un luogo di deposito di armi spinse gli agenti governativi a tenerlo sotto sorveglianza per diversi anni.
Nel mentre la sua villa ospitava alcuni dei maggiori esponenti della cultura italiana ed europea, mentre servizi come caffè, ristoranti e foresteria consentivano al visitatore più o meno celebre in cerca di suggestioni patriottiche di poter godere, anche in una logica di consumo, delle delizie del parco tematico.
Parallelamente Puccini aveva continuato a coltivare anche il rapporto instaurato con la Firenze di Vieusseux, del cui Gabinetto divenne uno dei più fedeli clienti, come testimonia il numero, e il contenuto, delle lettere scambiate con il ginevrino in un arco di tempo di trent’anni. Il suo classicismo ereditato dalla cultura arcadica pistoiese trovò un riferimento positivo nel compromesso tra illuminismo e romanticismo promosso dall’Antologia. Sempre più si accostò agli interessi e alle tante iniziative che animavano allora la cerchia del Gabinetto; non senza qualche personale distinguo, si aprì al dibattito sulle graduali innovazioni promosse in chiave paternalistica dai ‘campagnoli’ toscani (Di alcune cose che potrebbero tornare a utile de’ contadini in Toscana, Pistoia 1839), mentre già aveva cominciato a interessarsi a imprese come le casse di risparmio, di cui fu tra i fondatori a Pistoia nel 1831, a promuovere una società per la costruzione della strada porretana ribattezzata Leopolda, e a prender parte al diffuso entusiasmo per gli investimenti ferroviari. Si mostrò poi particolarmente attento alla questione pedagogica e al tema dell’educazione popolare, che finirono per assorbire una parte crescente del suo impegno. Aprì le scuole pubbliche di mutuo insegnamento del ponte Napoleone, facendo di Scornio anche un importante centro di educazione, ma interpretando altresì in maniera personale coevi esempi toscani come quello di San Cerbone, Varramista, Meleto.
Il suo profilo di eccentrico filantropo non mancò infatti neppure in questo campo di spunti di originalità, sfociati soprattutto nel singolare progetto della Festa delle Spighe.
Realizzata con cadenza annuale dal 1841 mettendo insieme idee mutuate da fiere e festività agrarie di altri Paesi europei e da esperienze organizzate nei rispettivi poderi da Cosimo Ridolfi e Bettino Ricasoli, nei tre giorni dell’evento la festa riservò grande cura agli aspetti estetici e celebrativi. L’iniziativa, i cui resoconti furono pubblicati dopo l’ultima edizione (Atti della Festa delle Spighe, Pistoia 1846), se suscitò il disappunto di vecchi amici come Guerrazzi, che ne scrisse in termini assai aspri, non convinse del tutto neanche gli ambienti georgofili.
A conclusione di un ventennio di investimenti sulla sua dimora, a metà degli anni Quaranta, Puccini diede inoltre alle stampe un volume-guida illustrato ai Monumenti del giardino Puccini (Pistoia 1845) in cui amici letterati come Guerrazzi, Raffaello Lambruschini, Niccolò Tommaseo e altri furono incaricati di scrivere alcuni testi allo scopo di esaltare epigrafi e monumenti del parco, nonché il loro munifico promotore. Nell’ultimo ciclo di committenze promosse nei primi anni di quel decennio – accanto al culto aulico degli eroi si erano peraltro fatti sempre più spazio monumenti alla filantropia (come gli Orfani sulla Rupe o la Madonna delle Vigne) – epigrafi dedicate a nuovi miti come il Commercio e l’Industria o ancora affreschi in cui artisti illustri come Michelangelo oppure Raffaello erano rappresentati non più in perpetuo conflitto con re o papi, ma in un proficuo rapporto di collaborazione con i potenti. Ambivalenze che fecero di Scornio un luogo di contraddizioni stratificatesi nel tempo, rispecchiando un più deciso avvicinamento di Puccini, rispetto alle inquietudini giovanili, a princìpi e istanze del gruppo moderato nonché l’attenuarsi degli umori schiettamente laici precedentemente condizionati dall’influsso di figure quali Pietro Giordani oppure Niccolini.
Esemplificativa di tale svolta fu la stessa Festa delle Spighe, pregna di riferimenti devozionali e largamente aperta ai preti, nell’intento di esaltare l’utilità della religione per la tenuta dell’ordine sociale e politico. Stemperati risultavano ormai pure gli accenti antidinastici del passato, come simboleggiò la cessione al granduca nel 1843 del grande dipinto Farinata degli Uberti alla battaglia del Serchio di Giuseppe Sabatelli, uno dei pittori più amati da Leopoldo II.
Declinata nel 1848 la nomina a senatore, continuò a limitare la sua azione politica al Consiglio comunale della città natale di cui fu a lungo membro. Partecipò tuttavia con trasporto dalla sua Pistoia alle vicende risorgimentali, contribuendo ancora una volta a finanziare la campagna delle armi toscane con il ricorso alla filantropia e mettendo all’asta tutta l’argenteria di famiglia. Al cospetto della svolta democratica esortò con forza l’amico Guerrazzi alla conservazione dell’ordine consigliandogli, fra aspri contrasti, di non fare troppo affidamento sul popolo.
Rimasto celibe per deliberata scelta, con testamento olografo del gennaio 1847 decise di eternare la sua vocazione alla beneficenza nominando suo erede universale l’orfanotrofio di Pistoia. Per i postumi delle ferite riportate nel 1851 in un grave incidente alla sua carrozza sulla strada per Gavinana, morì nella villa di Scornio il 13 febbraio 1852.
Fonti e Bibl.: Le carte e i manoscritti di Puccini sono conservati presso la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia (Raccolta Niccolò Puccini, inventario di M. Solleciti, revisione e cura di A. Giovannini - F. Savi, Firenze 2002); un Fondo Puccini si trova nell’Archivio degli Istituti Raggruppati di Pistoia depositato presso l’Archivio di Stato di Pistoia. Parte delle lettere di Puccini sono state editate in: Lettere di N. P. pubblicate per le onoranze resegli in Pistoia nel settembre 1889, Pistoia 1889; Lettere alla madre e agli amici: dal viaggio in Europa (1826), a cura di G. Capecchi, Pistoia 1999.
P. Contrucci, Biografia di N. P., Pistoia 1852; Cultura dell’Ottocento a Pistoia. La collezione Puccini, Firenze 1977; G. Bonacchi Gazzarini, Il «Circolo di Scornio» e la cultura toscana dell’Ottocento, Poggibonsi 1979; N. P., un intellettuale pistoiese nell’Europa del primo Ottocento, a cura di E. Boretti - C. D’Afflitto - C. Vivoli, Firenze 2001; Monumenti del Giardino Puccini. Un luogo del romanticismo in Toscana, a cura di C. Sisi, Firenze 2010.