Niccolò Rodolico
Niccolò Rodolico appartiene alla generazione di storici, formatisi negli ultimi decenni dell’Ottocento, che rinnovarono profondamente la storiografia italiana e per i quali Benedetto Croce parlò di scuola ‘economico-giuridica’. Essi infatti inaugurarono uno stile di scrittura nuovo, avviarono più approfondite ricerche su base documentaria, si dedicarono allo studio dell’economia e della società, servendosi dell’apporto di altre discipline, ad es. la statistica, per approfondire le loro analisi, e al contempo rinnovarono la figura pubblica del docente universitario che divenne un intellettuale partecipe della realtà del suo tempo. In particolare, gli interessi di Rodolico, dopo gli iniziali studi sul Medioevo, sulla formazione delle Signorie e le lotte sociali nella Firenze del Trecento, si volsero al Settecento e all’Ottocento, con attenzione al Mezzogiorno, alla controversa figura di Carlo Alberto e ai temi di storia sociale.
Niccolò Rodolico nacque il 14 marzo 1873 da modesta famiglia a Trapani dove rimase sino al diploma di maturità, conseguito presso il liceo Ximenes. Assai importante per la sua formazione personale e culturale fu la figura del padre che aveva partecipato alla rivoluzione del 1848 e, nel 1860, era accorso nelle fila delle camicie rosse per combattere sotto il comando di Giuseppe Garibaldi. Finito il liceo, Rodolico lasciò la Sicilia per trasferirsi a Bologna nella cui università insegnava un personaggio a lui caro: Giosue Carducci. Il celebre poeta, infatti, ricopriva la cattedra di filologia e di eloquenza (divenuta poi cattedra di letteratura italiana) e agli occhi del giovane Niccolò rappresentava uno dei portavoce degli ideali risorgimentali. Carducci ebbe modo di conoscere questo discepolo siciliano di cui apprezzò la «gran voglia di studiare» e il «buon cuore».
Seguendo proprio il modello del poeta toscano, nei primi anni di università Rodolico indirizzò il suo interesse alla critica letteraria, studiando in particolare l’opera di un poeta dialettale siciliano dell’Ottocento, Giuseppe Marco Calvino (1785-1833). Nel 1895, sotto la guida di Carducci, compì una ricerca intitolata Siciliani nello Studio di Bologna nel Medio Evo in cui emerse la sua predilezione per la storia sociale. L’anno seguente Rodolico si laureò con una tesi sulla storia del Comune di Bologna in età medievale scritta sotto la direzione del medievista Pio Carlo Falletti (1848-1933). Si trasferì quindi a Firenze per perfezionarsi in storia medievale nella Scuola di studi superiori, dove ebbe modo di seguire i corsi di Pasquale Villari il quale, come suo padre, aveva preso parte ai moti del 1848. Le riflessioni di Villari sulla ‘questione meridionale’ indirizzarono gli interessi di Rodolico verso un maggior approfondimento dei temi economici e sociali e, soprattutto, del ruolo delle classi subalterne nei processi storici.
Rodolico trovò nella Firenze del tempo un ambiente culturale particolarmente stimolante e strinse amicizie con altri giovani intellettuali tra cui, in particolare, Cesare Battisti (il giornalista che sarebbe divenuto la guida degli irredentisti e sarebbe stato impiccato dagli austriaci a Trento il 12 luglio del 1916), Giovanni Gentile e Gaetano Salvemini.
Quest’ultimo condivideva con Rodolico l’origine meridionale; i due furono, quindi, molto legati, nonostante avessero idee politiche antitetiche: l’uno era cattolico (anzi, «di solida fede cattolica»), l’altro socialista. Nelle sue Memorie di un fuoriuscito Salvemini racconta che nel 1926, quando fu arrestato e costretto a lasciare Firenze per Roma, accompagnato alla stazione di Campo di Marte da due poliziotti, si stupì di trovare Rodolico ad attenderlo per salutarlo. Il gesto commosse profondamente Salvemini per la «prova di amicizia fedele e coraggiosa».
Dopo la specializzazione Rodolico cominciò a lavorare come docente di liceo, prima in Sicilia, successivamente nell’amata Firenze. Fu anche docente di paleografia e diplomatica all’Università di Messina. Dal 1935 fino alla morte rivestì la carica di direttore dell’«Archivio storico italiano», del quale riuscì a far proseguire la pubblicazione negli anni difficili delle persecuzioni razziali nonostante la rivista fosse pubblicata dall’editore di origine ebraica Leo S. Olschki. Durante la sua lunga esperienza di insegnante nei licei si batté per il rinnovamento dei testi di storia, troppo datati. Per tale motivo scrisse per la casa editrice Le Monnier un manuale, intitolato Sommario storico, che fu il primo ad avere alla fine di ogni capitolo schede di approfondimento e letture, ovvero brani estratti da documenti originali.
Per circa un trentennio fu anche presidente della Deputazione di storia patria per la Toscana e, in tale veste, curò la pubblicazione delle Fonti sulle corporazioni medievali (dal 1940) e delle Fonti sui comuni rurali toscani (dal 1961). Socio dal 1947 dell’Accademia nazionale dei Lincei, nell’immediato dopoguerra ricevette anche la nomina da parte di Umberto II, allora in esilio, a membro della Consulta dei senatori del Regno; Umberto gli attribuì anche l’Ordine civile di Savoia, la più alta onorificenza sabauda. Nel 1953, insieme al conte Vittorio Prunas-Tola, pubblicò con il titolo Libro azzurro sul ‘referendum’ 1946 un’indagine sulle frodi e i brogli avvenuti durante le votazioni per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, che avevano favorito la vittoria della Repubblica sulla monarchia. La sua vecchiaia fu prodigiosamente operosa: oltre a mantenere gli incarichi fiorentini, nel 1954 pubblicò una fortunata Storia degli italiani. Morì a Fiesole, quasi centenario, il 19 novembre 1969; come ha scritto l’amico Pietro Operti: «fino all’ultimo mantenne lucida la mente e alacre la volontà nell’adempimento di quello che si era prescritto come ‘dovere’, cioè lo studio» (Pontieri 1972b, p. 3).
Nel 1899 Rodolico pubblicò il suo primo lavoro, Il popolo minuto. Note di storia fiorentina (1343-1378), che apparve in concomitanza con il libro dell’amico Salvemini Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295: entrambi approfondiscono le componenti economiche e sociali della storia dei periodi analizzati. In seguito, Rodolico si interessò alla formazione delle Signorie e alle lotte sociali a Firenze, pubblicando nel 1945 I Ciompi. Una pagina di storia del proletariato operaio in cui studiava l’ascesa della piccola borghesia artigianale.
Seguì da cattolico fervente anche le riflessioni sociologiche della scuola cristiano-sociale e, restando sempre lontano dall’ispirazione generale del materialismo e del marxismo, ne sentì, tuttavia, una certa influenza nel suo interesse per le vicende delle classi popolari ricostruite con viva partecipazione e umana comprensione. Di questa fase l’opera più completa fu La democrazia fiorentina nel suo tramonto, 1378-1382 (1905), in cui compì un’indagine originale usando per la prima volta i calcoli di statistica e la demografia per uno studio storico che descrivesse la composizione di una popolazione. Progressivamente spostò i suoi studi sul Settecento, per approdare infine all’amata età risorgimentale. In tutti i suoi scritti egli analizza comunque, con particolare attenzione, il comportamento delle masse popolari, facendone emergere le condizioni di vita economico-sociali, i sentimenti e, soprattutto, i comportamenti in particolari momenti di crisi.
Rodolico si occupò anche di Napoli e del Mezzogiorno fra il Settecento e l’Ottocento nel volume Il popolo agli inizi del Risorgimento nell’Italia meridionale (1798-1801), del 1926, sottolineando il valore nazionale dell’insurrezione popolare contro i giacobini francesizzanti.
Le profonde trasformazioni che il Paese aveva subito tra la fine del secolo e l’età giolittiana, le aspre polemiche, cui aveva dato origine il ‘giolittismo’, e infine, la partecipazione italiana alla Grande guerra, sentita come un’importante occasione di rinnovamento nazionale, spinsero molti storici, anche più giovani, a interrogarsi sulle ‘origini dell’Italia contemporanea’ (l’espressione parafrasava il titolo di un’opera di Hippolyte Taine, Les origines de la France contemporaine, 1876-1894) e, più in generale, sul loro contesto europeo. Non solo Gioacchino Volpe e Salvemini, ma anche Romolo Caggese e Corrado Barbagallo, Rodolico ed Ettore Rota, e i più giovani Antonio Anzilotti, Pietro Silva e Piero Pieri compirono, con modi e tempi diversi, questo passaggio. Insieme a Rota (dal 1923 docente a Pavia), Rodolico fu uno dei battistrada di quel vario movimento di studi sul giansenismo italiano che si sarebbe sviluppato nei decenni successivi.
Dal 1908 Rodolico volse i suoi interessi alla storia moderna, dedicandosi allo studio di questioni religiose tra il 17° il 18° sec., cercando di mettere in luce il ruolo della Chiesa e del cattolicesimo nella storia d’Italia. La sua opera maggiore furono però i tre volumi su Carlo Alberto scritti durante un lungo periodo tra le due guerre mondiali: si tratta di un’imponente ricostruzione e interpretazione della controversa figura storica di Carlo Alberto di Savoia, personaggio tormentato che lo storico siciliano cercò di studiare non solo dal punto di vista delle decisioni politiche e militari, ma anche sotto il profilo psicologico. Il secondo volume, uscito nel 1936, nel momento del maggior legame tra corona e fascismo e nei mesi di apoteosi di Benito Mussolini e delle sue visioni ‘imperiali’, ricevette giudizi severi, in particolare da Adolfo Omodeo che lo recensì duramente nella rivista «La critica» di Benedetto Croce.
Pur occupandosi di Ottocento, non vennero meno tuttavia i suoi interessi fiorentini, in particolare per il lunghissimo ed esemplare lavoro di studio ed edizione della cronaca trecentesca di Marchionne di Coppo Stefani, iniziato nel 1903. Terminato, dopo un lungo e faticoso impegno, lo studio su Carlo Alberto, nel 1954 Rodolico diede alle stampe la Storia degli italiani: altra imponente ricerca che ha come protagonista il popolo. A differenza però dei libri sulla Firenze medievale, lo storico cercò di comporre una «storia corale» di tutto il popolo italiano, un «popolo nuovo» uscito dalla guerra, restando fedele al suo metodo di fondarsi su approfondite e minuziose ricerche documentarie.
Siciliani nello Studio di Bologna nel Medio Evo, Palermo 1895.
Dal Comune alla Signoria, Bologna 1898.
Il popolo minuto. Note di storia fiorentina (1343-1378), Bologna 1899.
Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, a cura di N. Rodolico, Città di Castello 1903-1955 (RIS, t. 30, parte 1, fascc. 1-9).
La democrazia fiorentina nel suo tramonto, 1378-1382, Bologna 1905.
La reggenza lorenese in Toscana (1737-1765), Prato 1908.
Le condizioni morali della Toscana prima dei Lorenesi, Rocca San Casciano 1908.
Stato e Chiesa in Toscana durante la reggenza lorenese (1737-1765), Firenze 1910.
La storia d’Italia narrata ai soldati d’Italia del 1916, Firenze 1916.
Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci, Firenze 1920.
Il popolo agli inizi del Risorgimento nell’Italia meridionale (1798-1801), Firenze 1926.
Carlo Alberto, 3 voll., Firenze 1931-1943.
Lo Studio fiorentino, in Firenze, a cura di J. De Blasi, Firenze 1944, pp. 273-94.
I Ciompi. Una pagina di storia del proletariato operaio, Firenze 1945.
N. Rodolico, V. Prunas-Tola, Libro azzurro sul ‘referendum’ 1946. Documenti e notizie, Torino 1953.
Storia degli italiani, Firenze 1954.
I palazzi del popolo nei comuni toscani del Medio Evo, Milano 1962.
Il Risorgimento vive, Palermo 1962.
La mia giornata di lavoro. Note bio-bibliografiche, «Archivio storico italiano», 1968, pp. 5-21 (si tratta di una breve autobiografia a pochi mesi dalla morte).
F. Curato, Niccolò Rodolico, storico del Risorgimento, Palermo 1972.
E. Pontieri, Del senso dell’amicizia in Rodolico, Palermo 1972a.
E. Pontieri, Niccolò Rodolico. Discorso commemorativo pronunciato dal linceo Ernesto Pontieri nella seduta ordinaria dell’8 aprile 1972, Roma 1972b.
E. Sestan, Niccolò Rodolico storico e Il ‘populismo cristiano’ di Rodolico, in Id., Scritti vari, 3° vol., Storiografia dell’Otto e Novecento, a cura di G. Pinto, Firenze 1991, pp. 361-85.
Nato il 20 agosto 1885 a Rovigo, terra di lotte contadine, Roberto Cessi ebbe in comune con Niccolò Rodolico sia l’amicizia che legò entrambi a Gaetano Salvemini (di cui Cessi fu anche discepolo) sia l’interesse nei suoi studi per i comportamenti delle masse popolari in età medievale. Nel 1904, quando era ancora studente all’Università di Padova, scrisse un breve saggio sulla lotta di classe nel Medioevo che venne pubblicato sul giornale «L’Avanti!» dell’11 settembre. In seguito, per la tesi di laurea, si occupò in maniera più approfondita della corporazione dei drappieri a Padova. Terminati gli studi, ricoprì l’incarico di assistente presso l’Archivio di Stato di Venezia, quindi insegnò per diversi anni nei licei. Nel 1920 vinse il concorso per la cattedra di storia del commercio nell’Istituto di scienze economiche e commerciali di Bari. Due anni dopo venne trasferito all’analogo Istituto di Trieste e infine, nel 1927, tornò nella sua Università di Padova, dove resse la cattedra di storia economica, poi di storia medievale e moderna. Come Rodolico membro dell’Accademia nazionale dei Lincei, Cessi fu anche presidente della Deputazione di storia patria per le Venezie e membro del Consiglio superiore di Stato degli Archivi. Cessi, inoltre, sin da giovane e a differenza di Rodolico, si occupò di politica iscrivendosi nel 1908 al Partito socialista italiano. Fervente antifascista, dopo l’8 settembre 1943 si dette alla clandestinità prendendo parte alla lotta di Resistenza. Nel dopoguerra fu eletto nella prima legislatura della Repubblica d’Italia, come deputato per la circoscrizione Verona-Vicenza-Padova e Rovigo (1948-53).
I suoi studi risultano incentrati soprattutto sulla storia della Repubblica di Venezia dal periodo medievale fino all’Unità d’Italia. Collaborò a lungo con l’Enciclopedia Italiana, scrivendo tutte le voci riguardanti la storia veneta; ma nella sua carriera affrontò altre tematiche. Celebre è la sua monografia dedicata alla figura di Martin Lutero (1954). Come Rodolico, anche Cessi basava i suoi studi su minuziose ricerche d’archivio: il canone metodologico di Cessi, scrisse Ernesto Sestan (Roberto Cessi storico, «Archivio veneto», 1969), «era l’archivio, era la carta, il documento, il codice, la fonte insomma, nella sua immediatezza corposa: tutto il resto, studi, ricerche, volumi, veniva poi» (p. 222). A lungo lavorò all’Archivio di Stato di Venezia e, quando fu eletto in Parlamento, si batté per il potenziamento degli archivi di Stato.
La sua produzione storiografica fu vasta e comprende decine di volumi, centinaia di articoli, saggi, note, schede di ogni genere e ampiezza, spaziando su un arco cronologico che va dal tardo impero romano agli anni della Resistenza: collaboratore infaticabile di riviste e periodici, promotore di collane di fonti, animatore pungente e combattivo di polemiche storiografiche, anche se talvolta una certa ruvidezza di carattere e una troppo rigida chiusura nei confronti di nuovi indirizzi di ricerca lo isolarono rispetto alle nuove generazioni di storici. Morì a Padova il 19 gennaio 1969.
Un’evoluzione di interessi storiografici simile a quella di Rodolico e Cessi (dal Medioevo al Risorgimento) caratterizzò anche la carriera professionale di Ettore Rota (Milano 1883-Cannobio 1958). Anche Rota insegnò in vari istituti scolastici prima di approdare all’università: precisamente a Pavia dove resse la cattedra di storia medievale e moderna. Dopo iniziali ricerche sul Medioevo (con un’edizione critica di Pietro da Eboli), egli si volse al Settecento italiano, del quale mise in rilievo i motivi originali e autoctoni e i segni diffusi di un rinnovamento civile e nazionale. La sua opera principale è rappresentata dai due volumi de Le origini del Risorgimento, pubblicati a Milano nel 1939.
Rota diede anche un significativo apporto allo studio del giansenismo in Italia, principalmente con il saggio Il giansenismo in Lombardia e i prodromi del Risorgimento italiano, uscito nella Raccolta di scritti storici in onore del prof. Giacinto Romano, pubblicata a Pavia nel 1907. Nel giansenismo Rota vide uno degli elementi formativi del Risorgimento nazionale e del moderno democraticismo, visione che la successiva critica ha potuto temperare, ma non rifiutare del tutto. In particolare, egli sosteneva che il giansenismo fosse un movimento democratico borghese, sinceramente cristiano secondo la tradizione italiana: un ritorno al Vangelo per abbattere l’aristocrazia ecclesiastica, demolire la forza temporale della Chiesa e ricondurre questa alla sua primitiva purezza. Tale interpretazione venne duramente criticata da Arturo Carlo Jemolo. Rota nei suoi numerosi articoli approfondì inoltre la vicenda di Pietro Verri e dei suoi fratelli, intellettuali appartenenti a una famiglia della nobiltà milanese, facendo risalire agli anni del dispotismo illuminato l’inizio del Risorgimento.