TARTAGLIA, Niccolò. –
Nacque probabilmente nel 1499 a Brescia in una famiglia di umili origini.
La data di nascita si ricava indirettamente da un brano autobiografico inserito nell’ottavo quesito del sesto libro dei Quesiti et inventioni diverse (1546, p. 75r), in cui Tartaglia raccontò di essere rimasto vittima di gravissime ferite durante il Sacco di Brescia del febbraio del 1512. Rifugiatosi insieme alla madre e a una sorella nel duomo della città, qui egli fu colpito ripetutamente con la spada alla testa e in faccia da un soldato dell’esercito francese. Una di queste ferite interessò la mascella e il palato, causandogli una temporanea balbuzie. Tartaglia aveva allora «anni 12 vel circa» e dai suoi coetanei gli fu subito assegnato il soprannome di Tartalea, che egli «per bona memoria» di tale disgrazia volle poi assumere come suo cognome. Nello stesso brano Tartaglia affermava infatti di non conoscere il cognome del padre, morto quando egli aveva sei anni, ricordandosi di averlo sentito sempre «chiamar semplicemente Micheletto». Il cognome Fontana, attribuitogli sulla base del suo testamento (Boncompagni, 1881), non è sicuro; per quanto esso venga nel documento assegnato a un suo fratello legittimo e carnale, questo cognome non risulta poi mai utilizzato nelle parti in cui Tartaglia viene nominato direttamente (Favaro, 1913a, pp. 363-372).
Privo di mezzi per pagare un maestro che gli insegnasse compiutamente a scrivere, fu un autodidatta (Quesiti et inventioni diverse, cit., p. 75v). Poche sono le notizie sui suoi primi anni di attività, ma molto presto dovette segnalarsi come un buon insegnante di discipline matematiche. Si trasferì a Verona tra il 1516 e il 1518, rimanendovi per circa quindici anni. Mentre si trovava in questa città egli ottenne i primi grandi risultati in campo algebrico trovando nell’anno 1530 la ‘regola generale’ per risolvere alcune equazioni di terzo grado, o come si diceva allora alcuni ‘capitoli’: quello «de cubo e censo equal a numero» (ax3+bx2=c) e quello «de cubo e numero equal a censi» (ax3+c=bx2) (pp. 108rv).
All’anno 1531 sono invece da attribuire le sue prime riflessioni sul tiro delle artiglierie, svolte su richiesta di un «peritissimo bombardiero», che gli aveva chiesto quale fosse l’elevazione da utilizzare per ottenere la gittata maggiore.
Pur non avendo alcuna pratica in tale tecnica, Tartaglia investigò il problema sulla base di principi matematici e ‘fisici’, dimostrando che il tiro più favorevole si aveva quando il pezzo era elevato a 45°. Per ottenere una misura immediata di tale elevazione, egli mise a punto uno strumento: una squadra formata da due aste di legno poste ad angolo retto, con un quadrante di cerchio graduato all’interno e con un filo a piombo fissato nel loro vertice. Sarebbe così bastato mettere una delle aste nella bocca del cannone, a contatto con la superficie interna inferiore, per ritrovare agevolmente, per mezzo del filo a piombo, l’alzo del pezzo. Tramite la sua indagine Tartaglia fu inoltre in grado di dimostare l’esistenza di un rapporto matematico preciso tra elevazione e gittata, rendendo così possibile la predisposizione di tavole di tiro, che avrebbero permesso di operare con una certa precisione. I risultati ottenuti non incontrarono immediatamente il consenso dei pratici, che ritennero l’elevazione di 45° eccessiva, ma una prova di tiro eseguita in Verona nel 1532 confermò le sue conclusioni. Considerando moralmente discutibile lo studio di tali materie, egli però non pubblicò immediatamente il frutto di queste sue ricerche (Nova scientia, 1537).
Del soggiorno di Tartaglia a Verona rimangono anche alcune testimonianze documentarie esterne alle sue opere, che confermano la sua attività di maestro d’abaco. Tra queste si trova un’interessante deposizione testimoniale del 1533, con molta probabilità riferibile a lui, relativa all’estimo di alcuni oggetti preziosi (Favaro, 1913a, pp. 352 s.).
Nel 1534 si trasferì da Verona a Venezia, dove rimase quasi ininterrottamente fino alla morte. Non aveva ancora pubblicato opere, ma godeva già di una considerevole notorietà e veniva spesso ricercato da altri matematici per la soluzione di difficili problemi algebrici. Giovanni de Tonini da Coi fu tra i suoi più attivi interlocutori. Come raccontò lo stesso Tartaglia, fu proprio partendo da due quesiti proposti da questo matematico nel 1530 che egli scoprì il modo per risolvere le equazioni algebriche precedentemente ricordate. A consolidare la sua fama contribuì sicuramente la disputa avuta nei primi mesi del 1536 con Antonio Maria Fiore. Tartaglia e Fiore avevano depositato da un notaio 30 quesiti, accordandosi su un tempo di 40 o 50 giorni per fornire le soluzioni di quelli presentati dall’avversario. Tartaglia riuscì a farlo in sole due ore, suscitando l’incredulità dello stesso de Tonini da Coi. La chiave di tale successo consistette nell’avere trovato pochi giorni prima del deposito dei quesiti una ‘regola generale’ atta a risolvere equazioni di terzo grado del tipo ax3+bx=c. Tutti i quesiti proposti da Fiore si riducevano algebricamente a tale equazione, che sulla base dell’autorità di Luca Pacioli si riteneva irrisolvibile con ‘regola generale’ (Quesiti et inventioni diverse, cit., pp. 107rv).
Impegnato con continuità in questo tipo d’indagini, Tartaglia trovò comunque il tempo per stampare le sue ricerche di balistica, anteponendo ai dubbi di natura morale la necessità di fornire alla Cristianità nuovi mezzi per combattere i turchi. Con il titolo di Nova scientia il testo fu pubblicato sul finire del 1537 e dedicato a Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino e capitano generale della Repubblica di Venezia, che fu poi inserito come interlocutore anche nella prima parte dei Quesiti et inventioni diverse. Difficile capire dove potessero avvenire le discussioni di Tartaglia con i vari personaggi inseriti nelle sue opere, ma è probabile che avessero luogo nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, in cui nel 1536 gli fu proposto un quesito mentre esponeva pubblicamente una proposizione degli Elementi di Euclide, e dove poi nel 1539 tenne lezioni sulla ‘scienza dei pesi’ e sulla balistica (Quesiti et inventioni diverse, cit., pp. 105r, 120v).
Il 1539 fu l’anno dell’incontro di Tartaglia con Gerolamo Cardano, un rapporto cresciuto nel sospetto e nella diffidenza fin dalle prime fasi. Ancora una volta furono le ‘regole’ utilizzate da Tartaglia per risolvere i vari tipi di equazioni di terzo grado a suscitare la curiosità del medico milanese, e soprattutto la ‘regola generale’ utilizzata nella disputa con Fiore. Cardano prima sondò il terreno per interposta persona, e poi si rivolse direttamente a Tartaglia con ripetute lettere, convincendolo infine a recarsi a Milano per comunicargli direttamente quanto da lui ritrovato. Dopo avere ottenuto la promessa del segreto, perlomeno fino all’apparizione di una sua futura opera dedicata all’algebra, Tartaglia gli riferì la formula risolutiva dell’equazione, prima attraverso un componimento poetico piuttosto enigmatico, in seguito con una sua applicazione a un esempio concreto. Nonostante la parola data, Tartaglia rimase sempre sospettoso, temendo un’imminente pubblicazione della sua ‘regola’ nell’opera di Cardano allora in fase avanzata di stampa: la Practica arithmetice et mensurandi singularis (Milano 1539). La crescente diffidenza portò a una rottura dei rapporti e Tartaglia decise di non rispondere alle ultime lettere inviategli da Cardano.
Nel frattempo Tartaglia si era dedicato con grande impegno a un’altra impresa, la prima traduzione volgare degli Elementi di Euclide, basandosi sui due testi dell’opera allora maggiormente diffusi, quello tramandato sotto il nome di Campano di Novara e quello scaturito dalla nuova traduzione latina fatta da Bartolomeo Zamberti. Il testo degli Elementi era accompagnato da un esteso commento, che nella discussione delle singole proposizioni spesso si contraddistingueva per l’uso assiduo di esemplificazioni di carattere numerico. Pubblicata a Venezia nel mese di febbraio del 1543, questa traduzione precedette di poco più di un mese l’edizione di alcune opere di Archimede: Sull’equilibrio dei piani, Quadratura della parabola, Misura del cerchio e Galleggianti, presentate nel testo della versione latina fatta nel XIII secolo da Guglielmo di Moerbeke (Venezia 1543).
La precedente preoccupazione legata alla possibilità di un disvelamento non autorizzato della sua ‘regola generale’ sembrava oramai scomparsa, ma l’apparizione nel 1545 dell’Ars magna di Cardano rappresentò la prova della fondatezza dei suoi passati timori. Avute nel 1539 le informazioni richieste con tanta insistenza, Cardano e il suo allievo Ludovico Ferrari si erano posti al lavoro con notevole impegno, progredendo notevolmente e ottenendo risultati di assoluto rilievo matematico. Recatisi poi nel 1542 a Bologna, essi erano qui venuti a conoscenza di un fatto di notevole importanza: la ‘regola generale’ comunicata da Tartaglia era già stata trovata dal matematico bolognese Scipione Dal Ferro prima della sua morte (1526). Erano oramai passati più anni dal momento della comunicazione avuta da Tartaglia, senza che questi avesse pubblicato il tanto atteso trattato; resosi inoltre conto che la formula era stata già scoperta a Bologna molto prima che il matematico bresciano la ritrovasse autonomamente, Cardano si sentì autorizzato a stampare i risultati delle proprie ricerche, riconoscendo comunque la parternità della formula risolutiva comunicatagli nel 1539. Tartaglia vide in questo modo di procedere una palese violazione del giuramento fatto a suo tempo e reagì rabbiosamente pubblicando nel 1546 i Quesiti et inventioni diverse, che nella parte finale contenevano tutta la corrispondenza intercorsa tra lui e Cardano.
Nelle lettere non si trovava solo la menzione dell’accordo di segretezza, alcune delle risposte di Tartaglia contenevano giudizi di valore assai duri sulla reale preparazione matematica di Cardano. Tutto ciò contribuì a innescare un’aspra contesa con Ferrari, che si materializzò tra 1547 e 1548 nei cosiddetti 12 Cartelli di sfida matematica. In questi brevi opuscoli, oltre che sui problemi legati alle equazioni, Ferrari e Tartaglia si affrontarono a tutto campo su temi che spaziavano dalla geometria all’aritmetica, dalla geografia all’architettura. Svoltosi prevalentemente a mezzo stampa, il duello matematico culminò in una pubblica disputa avvenuta a Milano nell’agosto del 1548. Tale confronto diretto avrebbe dovuto definire in modo chiaro la superiorità di uno dei due contendenti, ma anche in questo caso non pare si riuscisse nell’intento, soprattutto a causa della decisione di Tartaglia di lasciare Milano già alla fine della prima giornata di discussione.
Dal marzo del 1548 Tartaglia era intanto rientrato nella sua città natale, chiamatovi da alcuni suoi concittadini a insegnare pubblicamente e privatamente le discipline matematiche. L’esperienza fu tutt’altro che positiva dal punto di vista economico, dato che il promesso «honesto stipendio publico et privato», assicuratogli all’inizio dell’anno, non si concretizzò mai. In conseguenza di tali inadempienza, nell’ottobre del 1549 egli tornò a Venezia (N. Tartaglia, Ragionamenti..., 1551, Terzo ragionamento, c.n.n., segn. E ii recto).
Nel 1551 pubblicò la sua Regola generale [...] intitolata Travagliata inventione accompagnata da alcuni Ragionamenti.
In questa opera, sulla base dei principi archimedei esposti nei Galleggianti, egli proponeva un ‘metodo’ per recuperare le navi affondate. La trattazione è assai articolata e prende in considerazione tutte le diverse procedure da mettere in atto in tali lavori, adeguandole di volta in volta alle diverse variabili in gioco: ad esempio, la profondità dell’acqua, il tempo trascorso dal naufragio e soprattutto la natura dei fondali. Particolarmente acute sono le riflessioni relative al recupero di navi affondate all’interno delle acque lagunari, dove correttamente si evidenziavano le difficoltà relative alla prima fase dell’operazione, quella del distacco della chiglia dal fondo.
Dopo la pubblicazione di questa opera, Tartaglia riprese in mano un progetto abbandonato da molti anni, e dal 1554 si dedicò alacremente alla composizione del General trattato di numeri et misure, una vera e propria summa del suo sapere matematico.
Un testo che, diviso in sei parti, occupò nella sua forma definitiva più di 1400 pagine in folio. Le prime due parti di questo lavoro apparvero a Venezia nel 1556 e contenevano: la prima, tutte le pratiche operative relative al calcolo aritmetico, la seconda, invece, la cosiddetta parte più elevata dell’aritmetica, vale a dire quella concernente le progressioni numeriche, le radici, le proporzioni e le quantità irrazionali. Con l’uscita di questi due volumi prendeva finalmente forma quell’opera di «correttione sopra la Summa di arithmetica e geometria di fra Luca Pacciolo» già citata in un privilegio di stampa concesso a Tartaglia dal Senato della Repubblica nel lontano 1542 (Favaro, 1913b, p. 330).
Morì il 13 dicembre 1557, tre giorni dopo avere fatto testamento nella sua casa in calle dello Storione. Aveva nominato eredi la sorella Caterina, dimorante in Brescia, il fratello Giampiero e il suo libraio-editore Curzio Troiano Navò, che fu anche il suo esecutore testamentario. I suoi beni consistevano prevalentemente in numerose copie invendute delle sue opere a stampa, parte conservate presso un libraio della sua città natale e parte nella sua abitazione. Tra tali beni vi erano anche esemplari della terza e quarta parte del General trattato di numeri et misure, che risultano quindi essere già stampate nel dicembre del 1557, ma che poi apparvero insieme alla quinta e alla sesta parte dell’opera con un frontespizio datato 1560.
Per avere un’idea della vastità delle questioni toccate da Tartaglia in questo suo ultimo scritto, basterà ricordare qui brevemente i contenuti elencati nei singoli frontespizi delle ultime quattro parti: nella terza si dichiarano i primi principi e la prima parte della geometria; nella quarta si riducono in numeri quasi la maggior parte delle figure, così superficiali come corporee della geometria; nella quinta si mostra il modo d’eseguire con il compasso e con la riga tutti i problemi geometrici di Euclide e di altri filosofi; nella sesta, infine, si delucida quella antica pratica speculativa della ‘arte magna’, detta in arabo algebra. Con quest’ultima parte l’opera di correzione della Summa di Pacioli veniva finalmente completata, ma purtroppo Tartaglia non ebbe modo di godere dei frutti del suo immenso lavoro.
Nel 1565 fu poi pubblicata a Venezia la sua edizione del De ponderositate di Giordano Nemorario, una fonte molto importante della ‘meccanica’, che Tartaglia aveva posto alla base delle sue ricerche sulle cause dell’equilibrio nella bilancia, una questione ampiamente trattata nell’ottavo libro dei Quesiti et inventioni diverse.
Opere. Nova scientia, Venezia, per Stephano da Sabio, 1537; Euclide [...] diligentemente reassettato et alla integrità ridotto, Venezia, per Venturino Ruffinelli, 1543; Opera Archimedis [...] multis erroribus emendata, expurgata, ac in luce posita, Venezia, per Venturino Ruffinelli 1543; Quesiti et inventioni diverse, Venezia, per Venturino Ruffinelli, 1546; Cartelli di sfida matematica (1547-1548, con L. Ferrari), a cura di A. Masotti, Brescia 1974; Regola generale da sulevare con ragione e misura non solamente ogni affondata nave [...] intitolata Travagliata inventione, Venezia, presso l’autore, 1551; Ragionamenti [...] sopra la sua Travagliata inventione, Venezia, presso l’autore, 1551; La prima-[sesta] parte del General trattato di numeri et misure, Venezia, per Curzio Troiano, 1556-1560; Iordani Opusculum de ponderositate [...] studio correctum, Venezia, per Curzio Troiano, 1565.
Fonti e Bibl.: B. Boncompagni, Intorno al testamento inedito di N. T., in In memoriam Dominici Chelini. Collectanea mathematica, a cura di L. Cremona - E. Beltrami, Milano 1881, pp. 363-412; A. Favaro, Per la biografia di N. T., in Archivio storico italiano, LXXI (1913a), pp. 335-372; Id., Di N. T. e della stampa di alcune sue opere con particolare riguardo alla Travagliata Inventione, in Isis, I (1913b), pp. 329-340; Quarto centenario della nascita di N. T. Atti del Convegno... 1959, a cura di A. Masotti, Brescia 1962; Atti della Giornata di studi in memoria di N. T. nel 450° anniversario della sua morte..., a cura di P. Pizzamiglio, Brescia 2007.