Niccolò Tartaglia
A Niccolò Tartaglia viene riconosciuto di avere contribuito alla rinascita delle scienze matematiche, pure e applicate, pubblicando nel 1543 edizioni di opere di Euclide e Archimede. Egli fu tra quanti seppero innovare e incrementare il sapere scientifico con la Nova scientia (1537), in cui dà impulso allo studio della cinematica, e con i Quesiti et inventioni diverse (1546), in cui, tra l’altro, viene data per la prima volta la soluzione delle equazioni di terzo grado. Infine, egli è ricordato per aver provveduto alla diffusione sistematica in forma didattica del sapere matematico, redigendo il primo General trattato (1556) della materia.
Niccolò Tartaglia nacque a Brescia, forse alla fine del Quattrocento. La fonte più importante relativa alla sua vita è costituita dalle affermazioni autobiografiche da lui rese nelle sue opere. Era figlio di un certo «Micheletto cavallaro», e il suo primo ricordo riguarda il ferimento alla bocca che subì da ragazzo nel Duomo vecchio di Brescia (detto la Rotonda) durante il sacco della città a opera delle truppe francesi (19-22 febbraio 1512; una lapide nel Duomo ricorda questi eventi). Dalla temporanea difficoltà di articolazione dovuta alla ferita, egli stesso volle trarre, a perenne ricordo, il cognome di Tartaglia, asserendo di ignorare quello paterno.
Egli dichiara inoltre di non avere ricevuto alcuna formazione scolastica, data l’estrema indigenza in cui da giovane avrebbero versato sia lui sia la sua famiglia; tuttavia l’alta reputazione scientifica che sin da giovane sembra averlo circondato, le numerose opere date alle stampe (soprattutto in italiano, ma anche in latino) e i titoli di competenza che egli stesso si attribuisce, e che peraltro gli furono riconosciuti, bastano a rendere sospettosi circa le sue dichiarazioni di un impegno e di un merito soltanto personali che gli avrebbero consentito di vincere incomprensioni, ostacoli e difficoltà d’ogni genere.
In effetti, già prima dei vent’anni gli fu affidato il prestigioso ruolo pubblico di ‘maestro d’abaco’ a Verona, ove, oltre a impartire lezioni private e pubbliche, come egli stesso dichiara, fu consultato come esperto di calcoli, cambi, misurazioni, estimo, valute e svariati altri problemi scientifici. A Verona, intorno al 1530, ebbe anche i primi approcci con le equazioni di terzo grado, la soluzione delle quali costituirà uno dei suoi maggiori meriti matematici. Inoltre fu spinto a studiare la traiettoria dei proiettili di cannone: all’inizio del 1531 risalgono le prime ricerche di balistica che lo condurranno a conseguire notevoli risultati (soprattutto quello per cui la massima gittata si ha inclinando l’obice a 45° rispetto alla linea di terra).
Dai documenti risulta pure che quando era ancora dimorante a Verona richiese al Senato veneto, e la ottenne in data 11 dicembre 1532, la licenza di stampa e la concessione di privilegi di esclusività per la realizzazione di un piano editoriale. Questo conferma l’opinione secondo cui egli sarebbe passato a vivere e a lavorare a Venezia soprattutto per potersi dedicare all’attività pubblicistica. Dunque, nel 1534 si trasferì a Venezia, risiedendo «in le case nove di San Salvatore» e insegnando matematica nella basilica di San Zanipolo, ma soprattutto dedicandosi alla pubblicazione di diverse opere.
Nell’Archivio notarile di Venezia è conservato il suo testamento autografo, sottoscritto il venerdì 10 dicembre 1557 e siglato dal notaio Roco de’ Benedetti; tale documento sarà pubblicato per la prima volta da Baldassarre Boncompagni nel 1881 (Intorno ad un testamento inedito di Nicolò Tartaglia, in In memoriam Dominici Chelini: collectanea mathematica, a cura di L. Cremona, E. Beltrami, 1881, pp. 363-410). In margine a esso risulta annotata la data esatta della morte di Tartaglia: «Obijt die Lune hora septima noctis: xiij a xbris» (p. 364), ovvero all’ora (italica) settima di notte (cioè a mezzanotte) del lunedì 13 verso il martedì 14 dicembre del 1557.
Il testamento inizia con la dichiarazione: «Io Nicolo Tartaia Dottor di Mathematice […] ritrovandomi hora in letto aggravato da molto male, ho deliberato ordinar i fatti miei» (pp. 376, 395). Ciò che Tartaglia lasciava ai suoi eredi (tra questi il libraio e tipografo Curtio Troiano Navò, «commissario et executor di questo mio ultimo testamento», p. 395) erano soprattutto libri e, in specie, esemplari diversi delle sue opere, che ancora conservava presso di sé invendute, per un totale di 134 volumi, che in tutto – secondo il testamento – dovevano valere circa cento ducati; questo elenco di libri rappresenta la biblioteca personale e professionale di Tartaglia, essendo da lui presentati come strumenti «per lo mio studiare» (p. 407).
Nello stesso documento si legge che alla fine del 1557 Tartaglia possedeva copie non solo delle parti I e II del suo General trattato, che erano state edite da Navò nel 1556, ma anche delle parti III e IV, che invece risulterebbero edite nel 1560. Questa circostanza indusse nel 1881 Antonio Favaro (Intorno al testamento inedito di Niccolò Tartaglia pubblicato da D.B. Boncompagni: comunicazione letta alla Regia Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova nella tornata del 18 dicembre 1881, 1882) a ipotizzare uno di quegli artifici editoriali di sovente realizzati nel Cinquecento, e che nel nostro caso sarebbe consistito nella sostituzione, per le parti III e IV, dell’originale frontespizio e di qualche altra pagina (datati originariamente 1556 o anche 1557, come appare nel colophon della parte IV, che assegna la stampa a Comin da Trino e all’anno 1557) con nuove pagine, riproducenti la datazione postuma del 1560, come invero mostra la maggior parte degli esemplari superstiti. Boncompagni espresse le seguenti considerazioni:
Tre passi del detto testamento dimostrano che un ‘fratello legittimo carnal’ di Nicolò Tartaglia ebbe il nome di Giovanni Pietro (Zuampiero o Zampiero) ed il cognome di Fontana. Quindi è da credere che ‘Fontana’ fosse anche il cognome di Nicolò Tartaglia e di Michele suo padre (Intorno ad un testamento inedito di Niccolò Tartaglia, cit., pp. 383-84).
E in effetti, anche diversi altri studiosi accolsero tale opinione; ma una più attenta lettura del testamento, nonché il fatto che Tartaglia scriva di non ricordare il cognome di suo padre, hanno portato a concludere che non si può affermare con certezza che Fontana fosse anche il cognome originario di Tartaglia, e inducono a ritenere che l’espressione «fratello legittimo carnale» significasse un grado di parentela differente dalla fratellanza.
Fu il tipografo Stefano da Sabbio che, a istanza dell’autore, pubblicò a Venezia nel 1537 la prima opera di Tartaglia, intitolata Nova scientia inventa da Nicolo Tartalea B(risciano), che verrà ripubblicata nel 1550 «con una gionta al terzo Libro». Il ben disegnato frontespizio-antiporta di quest’opera si presenta come un assai significativo quadro-progetto: vi si notano infatti due tipi di hortus conclusus, al primo dei quali si accede unicamente tramite i buoni uffici di Euclide, mentre al secondo si può accedere tramite Aristotele prima e Platone poi. Entro il primo recinto si vedono due «periti bombardieri», esperti in quell’arte balistica a cui l’intera opera risulta dedicata, i quali, dopo avere condotto una serie di esperimenti, si volgono decisamente a interpellare il gruppo delle scienze, al centro del quale risulta raffigurato proprio «Nicolo Tartalea»: segno evidente, come del resto verrà espressamente dichiarato nella dedica-prefazione dell’opera, che ormai era giunto il tempo di articolare unitariamente e sistematicamente la tecnica con la scienza.
Ma dalla lunga epistola dedicatoria al duca di Urbino Francesco Maria I Della Rovere veniamo anche a sapere dell’intenzione di Tartaglia di contribuire con i suoi studi a fronteggiare i pericoli connessi alla paventata invasione da parte dei mussulmani turchi dell’imperatore ottomano Solimano il Magnifico (Sulaimā’n I): rivelando così quell’istanza sia morale sia sociale che risultava connessa alla nuova forma tecnologica della scienza, come pure gli intenti ‘politici’ dell’attività scientifico-editoriale del matematico.
Nel febbraio del 1543, Tartaglia pubblicò gli Elementi di Euclide, con il titolo Euclide Megarense philosopho, solo introduttore delle scientie mathematice: diligentemente reassettato, et alla integrita ridotto per il degno professore di tal scientie Nicolo Tartalea, Brisciano […]. Questa editio princeps tartagliana del capolavoro euclideo, che si presenta come un grosso volume dedicato a Gabriele Tadino da Martinengo (generale nell’esercito dell’imperatore Carlo V), è in lingua italiana: la versione risulta espressamente condotta sulla base di ben due traduzioni latine – rispettivamente quella medievale dall’arabo, realizzata tra il 1255 e il 1259 da Giovanni Campano (noto anche come Campano da Novara), e quella rinascimentale dal greco, condotta nel 1505 da Bartolomeo Zamberti –, e in effetti fu la prima a venir pubblicata a stampa in una lingua europea moderna. Dal titolo risulta che l’opera era erroneamente attribuita a «Euclide Megarense», opinione che fu corretta nel corso dello stesso Cinquecento, dal momento che il filosofo Euclide di Megara (450 a.C. ca.-380 a.C. ca.) era vissuto almeno un secolo prima dell’omonimo matematico Euclide di Alessandria (attivo intorno al 300 a.C.). Inoltre il manuale euclideo nell’edizione tartagliana risulta costituito da ben quindici libri o capitoli, mentre in realtà essi erano in origine soltanto tredici, essendone stati aggiunti altri due in epoche successive.
Nel maggio dello stesso 1543, Tartaglia curò l’edizione latina (dedicata al gentiluomo inglese Richard Wentworth, suo discepolo) di alcune opere di Archimede di Siracusa (287 a.C.-212 a.C.), con il titolo Opera Archimedis Syracusani philosophi et mathematici ingeniosissimi, per Nicolaum Tartaleam Brixianum […] multis erroribus emendata, expurgata, ac in luce posita […]. In essa vengono presentati, nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke (1215 ca.-1286), alcuni scritti archimedei: De centris gravium valde planis aequerepentibus (libri I e II), Tetragonismus (Quadratura parabolae e Quadratura circuli), De insidentibus aquae (libro I).
Le soluzioni a vari tipi di problemi scientifico-tecnici, che gli erano stati sottoposti sia a Verona sia a Venezia, vengono presentate da Tartaglia in un altro scritto, edito nel 1546: Quesiti et inventioni diverse de Nicolo Tartalea Brisciano; l’opera, per l’intermediazione di Wentworth, risulta dedicata a Enrico VIII, re d’Inghilterra; «con una gionta al sesto libro», verrà ripubblicata a Venezia nel 1554. Come si vede, quest’opera già dal titolo ben illustra come il metodo scientifico, considerato in generale, risulti scandito dalla successione di «problemi» (quesiti) da affrontare e di «scoperte» (invenzioni) conseguite. Nel frontespizio compare il primo ritratto xilografico di Tartaglia, che aveva allora circa 45 anni: raffigurato a mezzo busto leggermente piegato di lato, il volto atteggiato in un’espressione assai seria, con una berretta sul capo e con indosso un soprabito foderato di pelliccia; il volto appare ricoperto dalla barba (a occultare – scriveva Tartaglia di sé medesimo – i postumi del ferimento subito da ragazzo) e da baffi spessi e arruffati, la testa piuttosto robusta e grossa, con la fronte segnata da rughe profonde.
L’opera si presenta come una specie di zibaldone o libro di bottega, e tratta in forma dialogica problemi relativi ad ambiti diversi delle scienze fisico-matematiche (aritmetica, geometria, algebra, statica, topografia, artiglieria, fortificazioni, tattica); risulta suddivisa in nove libri o capitoli. Viene ampiamente considerato, specialmente nel libro IX, il tema della soluzione tartagliana delle equazioni cubiche.
La notizia dei risultati innovativi ottenuti da Tartaglia in merito alle equazioni di terzo grado aveva raggiunto anche il grande medico e matematico pavese Girolamo Cardano, che dal 1534 insegnava a Milano geometria, aritmetica e astronomia; questi, pertanto, invitò Tartaglia a casa sua: fu solo allora, il 25 marzo 1539, che Cardano – in presenza anche del suo discepolo Ludovico Ferrari (1522-1565) – ottenne che gli fossero fornite le ambite soluzioni delle equazioni cubiche, obbligandosi con giuramento a non mai divulgarle. Le formule risolutive dei tre tipi di equazioni di terzo grado, trovate (o ritrovate) da Tartaglia, erano state da lui stesso formulate in forma poetica (sia pure assai disadorna), un po’ con intento mnemonico e un po’ a scopo crittografico; ed è questa la forma con cui vennero comunicate a Cardano. Ecco in sintesi come esse si presentavano:
Quando che ’l cubo con le cose appresso
se agguaglia a qualche numero discreto [x3+px=q] […].
In el secondo de codesti atti
quando che ’l cubo restasse lui solo [x3=px+q]
tu osservarai quest’altri contratti […].
El terzo poi de questi nostri conti [x3+q=px]
se solve col secondo se ben guardi
che per natura son quasi congionti. […]
(Quesiti et inventioni diverse, 1546, ed. 1554, f. 120v).
Ma nel 1542 Cardano e Ferrari si recarono a Bologna in visita ad Annibale Della Nave (1500-1558), docente di aritmetica e geometria presso l’università locale, e questi mostrò loro un vecchio taccuino appartenuto a Scipione Dal Ferro (1465-1526), suo suocero e predecessore nella cattedra universitaria. In quel quaderno (ora perduto) fu trovata la formula risolutiva delle equazioni cubiche, scoperta da Dal Ferro tra il 1505 e il 1515, ma da lui non pubblicata e comunicata solo ai suoi discepoli.
Dopo quanto avevano appreso a Bologna, Cardano e Ferrari tornarono a Milano, il primo ritenendosi sciolto dal giuramento fatto a suo tempo a Tartaglia ed entrambi convinti di dover diffondere in tutto il mondo le nuove conoscenze algebriche. Fu così che nel 1545 Cardano pubblicò a Norimberga un volume di algebra (Artis magnae sive De regulis algebraicis liber unus, meglio noto come Ars magna), nel quale riconosceva i meriti di coloro che avevano contribuito alla crescita della grande arte, e in particolare quelli di Tartaglia; ma nonostante ciò, gli algoritmi risolutivi delle equazioni di terzo grado furono da allora chiamati formule cardaniche. Per la verità, Cardano esibiva in quell’opera le dimostrazioni geometriche delle formule risolutive, dimostrazioni che Tartaglia non fornirà mai (pur avendole annunciate), benché vi siano storici dell’algebra che ritroverebbero quelle dimostrazioni negli stessi enunciati tartagliani dati in poesia.
Nei Quesiti et inventioni diverse, pubblicati a Venezia nel 1546, Tartaglia si lamentò del fatto che Cardano fosse venuto meno al giuramento con il quale si era impegnato a non divulgare le formule risolutive delle equazioni di terzo grado da lui scoperte.
La difesa di Cardano fu assunta da Ferrari che, da Milano, il 10 febbraio 1547 indirizzò a Tartaglia un pubblico «cartello di matematica disfida», ossia un opuscolo a stampa in cui, dopo una serie di gravi parole di riprovazione per l’atteggiamento assunto da Tartaglia riguardo a Cardano, lo sfidava a misurarsi con lui a voce in una pubblica disputa scientifica. La prima risposta di Tartaglia partì da Venezia il 19 febbraio. Tra il 1547 e il 1548 i due si scambiarono sei ‘cartelli’ e altrettanti ‘controcartelli’, con la reciproca proposta di un totale di 31 problemi. Dopo questa lunga diatriba condotta per iscritto, come atto finale i due contendenti si affrontarono di persona a Milano il 10 agosto 1548; ma riguardo all’esito dell’evento vennero allora date contrapposte valutazioni.
Che quel periodo della vita professionale e umana di Tartaglia fosse abbastanza travagliato, sta a testimoniarlo anche il titolo che egli stesso volle dare a una sua successiva pubblicazione, cui aveva messo mano dopo il suo rientro a Venezia nel 1549. L’opera, edita nel 1551 e dedicata al doge di Venezia Francesco Donato, s’intitola Regola generale da sulevare con ragione e misura non solamente ogni affondata nave, ma una torre solida di mettallo trovata da Nicolo Tartaglia, delle discipline Mathematice amatore, intitolata la Travagliata inventione. Si tratta di un gruppo di piccoli scritti che presenta un procedimento (peraltro non originale) per riportare a galla le navi affondate; vi si trovano diverse cose notevoli su argomenti di tecnica (scafandri), di meteorologia (previsioni atmosferiche) e di fisica (pesi specifici). Contestualmente comparvero i Ragionamenti de Nicolo Tartaglia sopra la sua Travagliata inventione, nelli quali se dechiara volgarmente quel libro di Archimede Siracusano intitolato De insidentibus aquae [con] Supplimento de la Travagliata inventione de Nicolo Tartaglia. Da notare è il fatto che sui frontespizi di queste pubblicazioni compare un altro ritratto xilografico, diverso dal precedente, dello stesso Tartaglia.
Tornato definitivamente a Venezia nel 1549, Tartaglia riprese l’attività di insegnante e si dedicò ad approfondire alcuni temi nell’ambito della meccanica e della matematica, che confluiranno rispettivamente nella pubblicazione della già citata Travagliata inventione e nelle prime due parti del General trattato di numeri et misure di Nicolo Tartaglia, edite nel 1556 a Venezia a opera di Navò.
La parte prima del General trattato è dedicata ancora una volta al «compare» Wentworth. Nella parte seconda, dedicata al conte milanese Antonio Landriani, si trova il cosiddetto triangolo di Tartaglia: affrontando lo studio del calcolo delle prime dieci potenze di un binomio, Tartaglia venne indotto a studiare i coefficienti binomiali e, allo scopo di mettere in luce la legge della loro formazione, li dispose in triangolo; questo risultato in verità era già conosciuto da molto tempo, per cui a Tartaglia si deve riconoscere solo il merito di aver contribuito a divulgarlo.
Va notato che il grande manuale di ricerca e d’insegnamento della matematica ideato (e in parte realizzato) da Tartaglia si presenta non più con il titolo di summa (al modo medievale, che era stato anche quello di Luca Pacioli) ma con il moderno titolo di trattato, cioè di uno strumento di ricerca e di didattica, ambedue intese come attività in corso d’opera e quindi aperte a sviluppi e approfondimenti. Ma l’appellativo trattatistico del manuale tartagliano è subito e sempre accompagnato dall’aggettivo generale, per indicare inequivocabilmente l’intenzione di coprire con sistematicità didattica – curando cioè sia gli aspetti teorici sia quelli applicativi – l’intera articolazione dell’ambito disciplinare considerato, cioè l’aritmetica, la geometria e l’algebra. Il grande trattato, comparso in buona parte postumo nel 1560 e postdatato da Navò, si articola in sei parti (che occupano oltre 700 pagine) riguardanti le principali discipline matematiche del tempo e in maniera originale rielaborano, ampliano e approfondiscono la matematica euclidea, islamica e medievale.
Nei Quesiti Tartaglia nomina alcuni suoi «discepoli», Wentworth, Giovanni Antonio Rusconi, Maffio Poveiani e Giambattista Benedetti. Ma la quantità e la qualità degli interlocutori dei Quesiti sono assai più ampi: alcuni interlocutori sono indicati solo secondo le appartenenze professionali, mentre di diversi altri viene data puntuale segnalazione. Per quanto concerne i ‘cartelli’, Ferrari inviò copia del primo di essi a cinquanta persone eminenti (matematici, letterati, militari, politici, giuristi, ecclesiastici ecc.) in varie città d’Italia (Roma, Venezia, Milano, Firenze, Ferrara, Bologna, Salerno, Padova, Pavia, Pisa, Verona), oltre che a tre testimoni; alle medesime persone, come ad altri testimoni (soprattutto bresciani), Tartaglia fece avere la sua prima Risposta, in cui dichiara tra l’altro: «Accioche questa mia risposta non vi paia molto privata ne ho fatto imprimere 1000 per mandarne anchora io generalmente per tutta Italia» (L. Ferrari, N. Tartaglia, Cartelli di sfida matematica, a cura di A. Masotti, 1974, p. 22).
Se a questi si aggiungono coloro a cui Tartaglia dedicò le sue opere, come pure i tipografi delle stesse, si nota che la pervasività della figura e dell’opera tartagliana fu assai rilevante sia a livello locale, cioè della Repubblica di Venezia, sia a livello peninsulare (dato anche il prevalente uso della lingua italiana per le sue opere); ma il soggiorno nella Repubblica di Venezia diede a Tartaglia una rilevanza europea, come nel Medioevo era accaduto con la Repubblica marinara di Pisa per Leonardo Fibonacci.
Tartaglia influenzò sia il mondo delle professioni borghesi sia quello delle corti rinascimentali. Ma il suo contributo servì soprattutto e sin dagli inizi ad articolare in modo organico il rapporto tra scienza applicata e scienza teorica. La valenza scientifica di Tartaglia si valuta anche considerando la quantità e la qualità dei grandi matematici e scienziati suoi contemporanei che interagirono con lui, a cominciare da Cardano e da Ferrari. Nella seconda metà del Cinquecento diverse opere di Tartaglia furono riedite e tradotte in varie lingue nazionali europee (inglese, francese, tedesco e spagnolo).
Le edizioni originali delle opere di Tartaglia (presenti nella Biblioteca di storia della scienza Carlo Viganò, situata nella sede di Brescia dell’Università cattolica del Sacro Cuore) sono reperibili, in riproduzioni digitali effettuate a cura di P. Pizzamiglio, nella Edizione nazionale Mathematica italiana, all’interno del sito Internet del Centro di ricerca matematica Ennio De Giorgi della Scuola normale superiore di Pisa, http://mathematica.sns.i t/search.html?search=tartaglia (12 febbr. 2013).
Tra le edizioni a stampa moderne, segnaliamo:
Quesiti et inventioni diverse, riproduzione in facs. dell’ed. del 1554, a cura di A. Masotti, Brescia 1959.
L. Ferrari, N. Tartaglia, Cartelli di sfida matematica, riproduzione in facs. degli originali del 1547-1548, a cura di A. Masotti, Brescia 1974.
L’“Euclide Megarense”, riproduzione in facs. dell’ed. postuma del 1569, a cura di P. Pizzamiglio, Brescia 2007.
A. Masotti, Tartaglia (also Tartalea or Tartaia), Niccolò, in Dictionary of scientific biography, ed. Ch.C. Gillispie, 13° vol., New York 1976, ad vocem.
G.B. Gabrieli, Nicolò Tartaglia: una vita travagliata al servizio della matematica, Bagnolo Mella 1997.
P. Pizzamiglio, Niccolò Tartaglia nella storia, con antologia degli scritti, Milano 2012.