TINUCCI, Niccolò
– Nacque a Firenze intorno al 1390, figlio di Tinuccio di Barone speziale, residente presso S. Maria in Campo, e di una Niccolosa, di cui si ignora il casato, che risulta avere ottantacinque anni all’epoca dell’ultima dichiarazione fiscale di Niccolò (1442).
Leggermente discordante è la data di nascita secondo quanto si deduce dalle portate al Catasto degli anni 1427, 1430, 1433 e 1442: in due casi viene a essere il 1391, in uno il 1390 e in un altro ancora il 1388. Ebbe due fratelli: Bartolo e Barone; quest’ultimo, di dieci anni più giovane, è registrato nella matricola dell’arte dei medici e degli speziali per il periodo 1408-45 (Archivio di Stato di Firenze, Arte dei medici e speziali, 7, c. 33v). La famiglia era originaria di Marcialla, nel contado fiorentino, dove continuò a mantenere dei possedimenti (una casa e alcuni appezzamenti), che infatti figurano in tutte le portate catastali di Tinucci. Il padre era stato inviato dalla Repubblica ambasciatore in Valdarno nel 1359; fu tamburato per ghibellino nel 1377 e nonostante ciò successivamente squittinato per la maggiore due volte, nel 1381 e nel 1391 (Prose e rime..., 1718, pp. LXII s.). Era già morto all’inizio del 1417, come si ricava da un documento di locazione relativo al figlio (Archivio di Stato di Firenze, Archivio Diplomatico, Badia fiorentina, 4 gennaio 1417: «s(er) Niccholao olim Tinuccij»).
Non si hanno notizie sulla giovinezza di Tinucci, che del resto fu presto avviato all’attività di notaio: di lui ci resta infatti un corposo volume di imbreviature con datazione che va dal 1° aprile 1409 al 4 marzo 1422, more florentino (Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, 15528). D’altronde, la sua professione l’aveva condotto già precocemente ad assumere numerose cariche pubbliche all’interno dell’amministrazione della Repubblica tra quelle riservate ai notai: dal 3 ottobre 1414 fu notaio degli atti della Camera; dal 15 settembre 1415 notaio dei contratti per Arezzo; nel bimestre luglio-agosto del 1419 notaio dei Priori per il suo quartiere di S. Giovanni; dal 18 agosto 1420 notaio della Grascia; nel bimestre febbraio-marzo del 1422 notaio dell’entrata della Camera; nel 1426 coadiutore del notaio dei Priori. Ricoprì inoltre più volte le funzioni di cancelliere dei Dieci di Balìa: lo fu senz’altro almeno nel 1420, quando per tale mansione gli fu assegnata una remunerazione di 160 fiorini (Flamini, 1891, p. 293), e negli anni 1424 (Guasti, 1869-1873, II, p. 53), 1430 (Predelli, 1896, p. 162) e 1431, data quest’ultima ricavabile dall’Esamina dello stesso Tinucci, in cui egli afferma di essere stato notaio dei Dieci quando tra i suoi membri figuravano Lorenzo di Giovanni di Bicci Medici e Luca di Maso degli Albizzi, che risultano eletti il 21 novembre 1431 (Archivio di Stato di Firenze, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di speciale autorità, 24, c. 59r-v).
Ambigui in quegli anni tumultuosi i suoi legami, privati e politici, con i Medici e con gli Albizzi. Di certo nei primi anni Trenta era in stretti rapporti con Averardo di Francesco di Bicci: si conservano infatti cinque sue missive indirizzate al Medici risalenti al periodo che va dal febbraio del 1430 al febbraio del 1432, nelle quali Tinucci esprime pareri sulle contemporanee vicende politiche (con pesanti insinuazioni nei confronti degli Albizzi), chiede favori personali e raccomanda uomini di fiducia (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, filze 2, n. 187, 3, nn. 60, 122, 125, 204). Ma solo poco più di un anno dopo, nel settembre del 1433, incarcerato e «esaminato» dagli Otto di guardia in quanto sospetto filomediceo, si dichiarò sostenitore della parte degli Albizzi, facendosi anzi accusatore dei Medici (Examina di ser Niccolò Tinucci, in Cavalcanti, 1838, pp. 399 s.).
Nessuna notizia si ha invece del bando che, a seguito di tale interrogatorio, gli sarebbe stato inflitto secondo Giovan Battista Casotti (Prose e rime..., 1718, p. LXIV); al contrario, tutto sembra far pensare che Tinucci abbia continuato a vivere a Firenze, anche se non sono chiari i suoi rapporti con i Medici successivamente rimpatriati. Nelle sue quattro dichiarazioni fiscali affermò di possedere un’abitazione per sé e i propri familiari situata in S. Maria in Campo: la casa doveva trovarsi a pochissima distanza dal duomo, tanto è vero che nel 1430 fu interessata dai lavori di lastricamento della via del campanile, lavori che lo stesso Tinucci ebbe qualche difficoltà a pagare, al punto da essere raggiunto da un ordine di comparizione nel giugno del 1432 (Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, II.4.4, c. 3r).
Non lontano, presso il canto del Proconsolo, nel 1417 aveva preso in locazione dalla Badia fiorentina a 7 fiorini l’anno una bottega per la sua attività di notaio. Tra gli altri suoi possedimenti dichiarati nelle portate catastali figura, oltre alle proprietà nel contado, una seconda abitazione con annessa bottega sita nel corso degli Adimari, probabilmente eredità di famiglia, che tuttavia fin dalla dichiarazione del 1427 risulta data in pegno.
Sposò, verosimilmente al principio degli anni Quaranta, Itta di Niccolò di Pagnozzo Strozzi (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.IV.402, c. 114r, anche se Casotti e Domenico M. Manni la ritengono invece discendente di Pagnozzino di Pagnozzo), dalla quale ebbe due figli: Giovanni, nato nel maggio del 1442, e Bartolomeo, nato nel 1443. Non trovano attestazione le affermazioni di Casotti per cui essi nel 1480 si trovavano rispettivamente a Venezia e Roma (Prose e rime..., 1718, pp. LXIV s.). Intorno al 1420 aveva avuto anche una figlia naturale, Lena, che visse nella casa paterna, dal momento che figura nelle portate al Catasto del 1427 e del 1430 (a meno che non si tratti di una figlia avuta da una precedente moglie, già deceduta).
Morì a Firenze il 20 agosto 1444 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Campo (Archivio di Stato di Firenze, Ufficiali poi magistrato della Grascia, 189, c. 67v).
Tinucci è tra i protagonisti della cosiddetta Novella del Bianco Alfani (edita da ultimo da Bessi, 1994, pp. 7-72), che narra la burla da lui giocata con la complicità di Antonio di Meglio e di Giovanni di Santo de’ Collattani ai danni del Bianco, alias Lottieri di Giovanni di ser Francesco Alfani.
A Tinucci spetta circa una cinquantina di componimenti (per lo più sonetti), quasi tutti di tema amoroso, a eccezione di poche rime di corrispondenza, dai toni giocosi, e di un paio di testi di argomento gnomico, peraltro dubbi. La tradizione delle sue liriche, che dal suo autore non furono mai raccolte in una silloge unitaria, risulta assai ricca e frammentaria (almeno 68 testimoni, stando al censimento di Mazzotta, 1974, pp. XX-XXVIII). I risultati sono nel complesso modesti, anche se a tratti non disprezzabili, avvantaggiandosi la sua poesia della commistione delle esperienze dantesca e petrarchesca, oltre che di echi della coeva rimeria, con gli esiti migliori senz’altro raggiunti nelle poesie in lode di madonna, dal gusto flamboyant (Lorenzi, 2017, pp. 702-704).
Fu in corrispondenza con Domenico da Prato e con Antonio di Meglio, e scrisse anche su commissione di altri (significativi, in particolare, i nomi di Piero de’ Pazzi e di Piero di Cosimo de’ Medici, che confermano il legame con la parte dei Medici, almeno per il primo periodo della sua vita).
Opere. Le sue rime, già in gran parte pubblicate da Giovan Battista Casotti (Prose e rime de’ due Buonaccorsi da Montemagno con annotazioni ed alcune rime di Niccolò Tinucci, Firenze 1718, pp. 295, 303-335), sono state edite criticamente nella loro interezza da C. Mazzotta (Rime, Bologna 1974), che ha anche opportunamente fatto luce sui numerosi problemi attributivi (pp. VIII-XVIII). L’Esamina, conservata in un buon numero di codici, si legge in G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di F. Polidori, Firenze 1838, pp. 399-421.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Archivio diplomatico, Badia fiorentina, 4 gennaio 1417; Camera del Comune, Camerlenghi entrata, 454, c. 16v; Catasto, 81, c. 491rv; 390, cc. 283r-284v; 410, cc. 308v-309r; 500, cc. 375v-376v; 628, c. 734rv; 832, c. 962r; Mediceo avanti il Principato, filza 2, n. 187; filza 3, nn. 60, 122, 125, 204; Notarile Antecosimiano, 15528; Tratte, 901, cc. 341v, 343r, 357r, 368r; Ufficiali poi magistrato della Grascia, 189, c. 67v; Firenze, Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, II.2.1, cc. 121v, 122v, 124v, 129r, 139v, 157r, 162v, 199v; II.4.4, cc. 3r, 13r, 22v; II.4.13, c. 43v; Biblioteca nazionale, Mss., II.IV.402, c. 114r (spogli di Cosimo della Rena, tratti dalla Gabella de’ contratti); Poligrafo Gargani, 2008, n. 142; 2012, nn. 59-87; 2014, nn. 1-22; Biblioteca Moreniana, Bigazzi, 184: D.M. Manni, Zibaldone di notizie patrie, c. 353r.
D.M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de’ secoli bassi, XXVIII, Firenze 1782, pp. 19-27; P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.v. Strozzi di Firenze, Milano 1844, tav. X; C. Guasti, Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, Firenze 1869-1873, II, p. 53, III, p. 9; F.C. Pellegrini, Sulla Repubblica fiorentina a tempo di Cosimo il Vecchio, Pisa 1880, pp. LXXXVIII s., CXLIV s.; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 292-294, 399-403; R. Predelli, I libri commemorialj della Repubblica di Venezia. Regesti, IV, Venezia 1896, p. 162; D. Marzi, La cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, p. 497 e passim; D. De Robertis, L’esperienza poetica del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, III, Il Quattrocento e l’Ariosto, Milano 1965, pp. 339 s.; M. Marti, recensione all’ed. delle Rime, 1974, in Giornale storico della letteratura italiana, CLIII (1976), pp. 296-301 (poi con il titolo N. T. e le sue rime, in Id., Nuovi contributi dal certo al vero. Studi di filologia e di storia, Ravenna 1980, pp. 77-84); R. Bessi, Un dittico quattrocentesco: le novelle del Bianco Alfani e di Madonna Lisetta Levaldini. Testo e commento, in Interpres, XIV (1994), pp. 7-106 (in partic. pp. 20 s. n. 54); A. Lanza, La letteratura tardogotica. Arte e poesia a Firenze e Siena nell’autunno del Medioevo, Anzio 1994, pp. 754-761; C. Lorenzi, N. T., in Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento, a cura di A. Comboni - T. Zanato, Firenze 2017, pp. 701-704.