TOMMASEO, Niccolò
– Nacque a Sebenico, in Dalmazia, il 9 ottobre 1802 da Girolamo, commerciante, e da Caterina Chevessich, massaia illetterata e dall’animo pio.
Compì i primi studi presso lo zio Antonio, frate minore, poi nel seminario di Spalato nel 1811-14, e a Padova tre anni dopo, dove, deciso a superare l’esame di ammissione per la facoltà di legge, frequentò il locale seminario vescovile, dedicandosi a studi classici e appassionandosi alla traduzione letteraria.
Nel 1819 conobbe il roveretano Antonio Rosmini-Serbati, studente di teologia, da cui fu incoraggiato nella stesura di poesie latine e negli studi filosofici. Allo stesso anno risale l’amicizia con l’erudito Antonio Marinovich, di cui Tommaseo frequentava la biblioteca a Sebenico durante i periodi di villeggiatura di ritorno dal seminario.
Conseguita la laurea nel 1822, decise di non esercitare la pratica forense e di guadagnarsi da vivere con il giornalismo e la letteratura. Rientrò per un po’ nella città natale e tentò una traduzione del canto II dell’Iliade, leggendo testi filosofici e trasferendosi poi nel Triveneto, ospite di Rosmini a Rovereto.
Dal giugno del 1823 redasse articoli per il Giornale sulle scienze e lettere delle provincie venete di Treviso. A causa di alcune posizioni irriverenti verso l’abate Giuseppe Barbieri, dovette però troncare la collaborazione nel luglio del 1824. Quattro mesi dopo fu a Milano, presentato all’editore Antonio Fortunato Stella, per cui preparò gli Enimmi storici e un’edizione dei galatei di Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Melchiorre Gioia. All’incontro con Vincenzo Monti, che non amava come letterato e uomo, preferì quello con Alessandro Manzoni, di cui ammirava le opere.
Aveva da tempo affiancato agli studi classici quelli di lingua italiana: nel 1823 aveva letto il Saggio intorno ai sinonimi di Giuseppe Grassi e, a Milano, acquistò le aggiunte al Vocabolario degli Accademici della Crusca (1806-1811) di Antonio Cesari; pubblicò poi Il Perticari confutato da Dante per i tipi di Sonzogno (Milano 1825), in cui criticava le tesi linguistiche di Giulio Perticari e dichiarava la preminenza della favella del volgo toscano (esempio di spontaneità ma anche custode della lingua di Dante) sulla lingua artefatta degli autori colti. Nel 1825 si cimentò anche in un romanzo, Una notte, che abbandonò quasi subito.
Con l’articolo La verità poetica (in Il nuovo ricoglitore, febbraio 1826) e l’opuscolo Della mitologia, uscito per i tipi di Rivolta (Milano 1826), Tommaseo fece il suo ingresso nella querelle classico-romantica, criticando il Sermone sulla mitologia di Vincenzo Monti ed esponendo idee che avrebbe mantenuto pressoché inalterate per tutta la vita: la poesia come espressione del vero, del bello e dell’utile in senso morale, traente sostanza dalla religione cristiana.
Cominciò a scrivere sull’Antologia di Giovan Pietro Vieusseux e si trasferì a Firenze nel 1827, convivendo con la popolana Geppina Catelli, sua affittacamere. Videro così la luce, fra i numerosi articoli a firma K. X. Y., quello sull’edizione ventisettana dei Promessi sposi (ottobre 1827) e quello intitolato Del romanzo storico (settembre 1830), genere che vedeva ancora imperfetto ma di potenziale utilità morale. Affinò le proprie idee politiche, influenzate dalla frequentazione dei circoli cattolico-liberali e ascrivibili a una visione civile della religione e del Vangelo. Si strinse in amicizia con Raffaello Lambruschini e Gino Capponi e, anche per via del carattere poco conciliante, polemizzò con Giacomo Leopardi, di cui mal tollerava gli accenti materialisti.
Stampò il Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana (Firenze 1830), frutto del desiderio di scernere i significati dei vocaboli al lume dell’uso toscano, che si apriva con un ringraziamento alla Catelli. Pubblicò quindi il racconto di introspezione Due baci, presso la Società degli Annali universali (Milano 1831): presentato come traduzione dall’illirico e dedicato a Marinovich, era uno studio degli effetti del sentimento amoroso sul cuore di una fanciulla, latore della tesi che la religione sola possa prevenire le occasioni del male e favorire gli affetti.
La recensione, sull’Antologia del dicembre 1832, del terzo tomo di La Grecia descritta da Pausania, volgarizzamento di Sebastiano Ciampi, in cui scopriva analogie fra gli antichi greci e il destino dell’Italia del suo tempo, non sfuggì alla censura austriaca, contribuendo alla soppressione dell’Antologia poco tempo dopo. Tommaseo, divenuto inviso al regime, lasciò Firenze il 3 febbraio 1834, muovendo alla volta della Francia e dando inizio così al suo ‘primo esilio’. Dopo un breve incontro con Giuseppe Mazzini a Ginevra, arrivò il 2 marzo a Parigi, dove frequentò Alessandro Poerio e Félicité-Robert de Lamennais. Sempre nel 1834 allestì un volume di saggi, lettere e dialoghi pedagogici, Dell’educazione. Scritti varii, per i tipi di Ruggia (Lugano), in cui ribadiva l’importanza del processo educativo, da svolgersi con accortezza, parlando ai sensi per destare lo spirito e istillando nell’animo del fanciullo il sentimento religioso. Nel luglio del 1834 compose il breve racconto storico Il sacco di Lucca, ispirato al drammatico evento del 14 giugno 1314 e concepito come «saggio di dipintura poetica sciolta di metro»: tentò di pubblicarlo, senza riuscirvi, nel Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti.
Collegò le idee pedagogiche a quelle politiche nei cinque libri Dell’Italia, editi con il titolo di Opuscoli inediti di fra Girolamo Savonarola per non incorrere in problemi con la censura austriaca, presso i tipi di Pihan Delaforest (Paris 1835).
Nel tentativo vichiano di risalire ai principî della scienza, Tommaseo avviava una requisitoria cristiana contro i danni prodotti dall’amor proprio, colpevole di aver falsato il significato originario dei concetti di dovere e diritto: se il primo consiste nel retto amore che ciascuno deve prima a sé stesso (cioè nel conveniente esercizio delle facoltà morali, intellettuali e corporee) e poi agli altri enti, il secondo procede da quello, essendo la potenza morale che spinge l’individuo al rinvenimento dei mezzi per lo svolgimento dell’amor sui in seno alla società.
Agli anni parigini appartengono due raccolte poetiche, Confessioni e Versi facili per la gente difficile, che evidenziavano una certa continuità tematica con le opere politiche e pedagogiche e che apparvero anonime presso Pihan Delaforest (Paris 1836 e 1837). La seconda, allestita per una vendita di beneficenza della contessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, conteneva anche la novella in ottave La contessa Matilde. Concluse il lungo racconto storico Il Duca d’Atene, che, ispirato alla Cronica di Giovanni Villani e alle Istorie di Niccolò Machiavelli, raccontava la cacciata da Firenze di Gualtieri VI di Brienne nel 1343; fu edito da Baudry (Paris 1837), salvo poi essere vietato nel Granducato di Toscana per le laidezze e le offese contro i regnanti ivi contenute. Scrisse quindi la novella biblica in ottave Rut e quella, quasi tutta in ottave, dal titolo Una serva. Dello stesso periodo sono gli Aforismi della scienza prima, editi da Stella (Milano 1837): in essi individuava nello svolgimento dell’intelligenza, della facoltà passiva (o sensitività) e della facoltà attiva (il volere e l’amore) l’oggetto cui l’uomo è da Dio destinato attraverso un corretto intendimento di tutte le cose come indizio, limite e strumento.
Nel 1837 fu a Nantes, direttore di un Istituto di studi pratici, poi in Corsica, ove completò Fede e bellezza e un volume di memorie politiche, Un affetto. Aveva nel frattempo avviato una collaborazione con i tipi del Gondoliere, per cui uscirono il commento alla Commedia dantesca (Venezia 1837), le Memorie poetiche e Poesie, bilancio parziale del proprio impegno letterario, che riproduceva i tentativi lirici e narrativi (tra cui i frammenti di Una notte e Il sacco di Lucca), nonché primo di una serie Di nuovi scritti (Venezia 1838), e Della bellezza educatrice, secondo volume della summenzionata serie (1838).
Quest’ultimo, di tipo filosofico, ravvisava la distanza fra il bello e il sublime nella quantità di ‘veri’ presenti in un concetto dato: una grande quantità nel secondo, la cui manifestazione apparentemente disordinata (rispetto alla regolarità esteriore del bello) è indizio di un disegno divino che si cela lì dove maggiore sembra essere la deriva entropica.
Dopo l’amnistia per l’incoronazione di Ferdinando I, poté rientrare in Dalmazia nel settembre del 1839 e trasferirsi due mesi dopo a Venezia, ove rimase dieci anni. Diede alle stampe un Dizionario estetico, raccolta di schede letterarie su autori del passato e coevi, terzo volume della serie Di nuovi scritti, e due tomi di Studii filosofici, in forma aforistica, in cui accomunava autori e correnti filosofiche diverse (lo scetticismo greco, il sensismo settecentesco, Immanuel Kant) sulla base di una stessa matrice soggettivista, frutto di amor proprio nel dilatare i limiti imposti da Dio all’individuo. Entrambi i volumi uscirono con i tipi del Gondoliere (Venezia 1840).
Il medesimo editore stampò nel 1840 le due edizioni di Fede e bellezza.
Romanzo d’introspezione in parte autobiografico (dietro il personaggio di Giovanni l’autore celava sé stesso) e in parte pedagogico (gli effetti nefasti che scelte sentimentali sbagliate hanno sul cuore di Maria), guardava a modelli francesi (Volupté di Charles Augustin de Saint-Beuve) e racchiudeva molti loci communes tommaseiani: la dialettica fatti-affetti; l’idealizzazione morale del popolo, identificato con la campagna o al più la provincia (soprattutto toscana), luogo di spontaneità e purezza morale che ha un riflesso nella schietta favella che vi si parla; la demonizzazione del mondo urbano (Parigi in particolare), luogo moralmente abietto dove, di conseguenza, si parla una lingua corrotta.
Seguirono Dell’animo e dell’ingegno di Antonio Marinovich, celebrativo dell’amico scomparso nel 1834, e Nuova proposta di correzioni e di giunte al Dizionario italiano, quarto e ultimo volume della serie Di nuovi scritti, che riesponeva l’idea morale della parola come specchio delle cose e ritratto dei costumi, entrambi con i tipi del Gondoliere (1840 e 1841). Pubblicò le Preghiere cristiane, in prosa, presso l’editore Lazzaro (Venezia 1841), e le Scintille, presso Tasso (Venezia 1841), vibranti di amore per il popolo e la poesia popolare, dalla quale Tommaseo riteneva che quella colta ed erudita avesse molto da apprendere quanto ad agilità, schiettezza ed evidenza d’espressione. Riuniti nella convinzione che solo quella concepita dal ‘volgo profano’ fosse poesia di affetti autentici, e annunciati già nelle Scintille, i canti popolari uscirono di lì a poco in quattro volumi, sempre per Tasso; essi includevano i Canti toscani (Venezia 1841), i Canti còrsi (1841), i Canti greci (1842) e i Canti illirici (1842). Riconducibili all’interesse per la poesia serba e croata sono anche i testi di Iskrice, una silloge in illirico cui attendeva dal 1840, apparsa più tardi presso l’editore Gaj di Zagabria (1848).
Negli anni Quaranta si svolse anche la collaborazione con l’editore Giorgio A. Andruzzi, che accolse l’adattamento in versi italiani dei Salmi di Davide (Venezia 1842), il volume Dell’educazione. Osservazioni e saggi pratici (1842), che analizzava il lavoro di alcuni istituti educativi italiani, e gli Studi critici (1843), in due tomi, il primo dei quali si apriva con un saggio su Giambattista Vico. Raccolse altri aforismi nel volume dei Pensieri morali (Modena 1845) e lavorò agli Esempi di generosità proposti al popolo italiano nel 1846-47, riscrittura di episodi del Vecchio Testamento, aventi quali destinatari il popolo e i fanciulli.
Suo ultimo lavoro narrativo, gli Esempi lasciarono spazio a opere politiche e storico-civili. Come altri italiani, Tommaseo aveva infatti accolto con entusiasmo l’elezione di Pio IX, dal quale si aspettava una rigenerazione morale della Chiesa e della società attraverso il recupero di una religione svestita d’oro e di ferro e tutta spirituale, prefigurata nei libri Dell’Italia. Dopo aver invitato il pontefice, con una lettera del 7 ottobre 1846, a sottomettere l’uffizio di principe a quello di sacerdote, fu da lui ricevuto in udienza il 1° ottobre dell’anno seguente.
Il 30 dicembre 1847 lesse un Discorso presso l’Ateneo di Venezia, chiedendo al governo austriaco di moderare la severità delle applicazioni censorie: accusato per questo di perturbazione della pubblica tranquillità, fu recluso in carcere dal 17 gennaio al 17 marzo 1848. Liberato a furor di popolo insieme a Daniele Manin, fu ministro della Pubblica Istruzione nella restaurata repubblica, ambasciatore in Francia per la causa veneziana, deputato all’Assemblea e fondatore del bisettimanale La Fratellanza dei popoli (dal 1° aprile al 4 luglio 1849), dissentendo però da Manin sull’annessione di Venezia al Regno di Sardegna.
Nel 1849, dopo la resa di Venezia, Tommaseo prese la strada del suo ‘secondo esilio’, spostandosi a Corfù. Ulteriore frutto di neoguelfismo fu il trattato in francese Rome et le monde per i tipi della Tipographie Hélvetique (Torino-Capolago 1851), in cui riaffermava il primato del potere spirituale su quello temporale, giustificando il comportamento di Pio IX, il cui rifugio a Gaeta interpretava come manifestazione d’indipendenza di un animo generoso.
A Corfù, nel 1851, sposò l’affittacamere Diamante Pavello, vedova e madre di tre figli, da cui ebbe Caterina (1852) e Girolamo (1853), e sperimentò l’aggravarsi di alcuni problemi di vista. Stese il libro di memorie Venezia negli anni 1848 e 1849, apparso postumo in due tomi per Le Monnier (Firenze 1931-1950), e seguì la pubblicazione dell’edizione definitiva di Fede e bellezza per i tipi di Borroni e Scotti (Milano 1852).
Nel 1854 fu a Torino, ove lavorò come insegnante in un istituto di commercio e compose una biografia di Antonio Rosmini, con cui aveva tenuto un fitto rapporto epistolare fino alla morte di questo, per la Tipografia Subalpina di Pelazza (Torino 1855). Si appassionò al caso di un italiano accusato di omicidio a Corfù, di cui si diede a smontare punto per punto l’accusa di premeditazione: ne nacque Il supplizio d’un italiano in Corfù (Firenze 1855).
Tornato a Firenze nel 1859, visse con la famiglia in via San Zanobi e poi al n. 26 del lungarno alle Grazie. Proseguì la sua battaglia contro i pericoli dell’amor proprio attraverso le lettere di s. Caterina da Siena, che radunò e commentò in quattro tomi per i tipi di Barbèra (Firenze 1860), e procurò un volume di Scritti di Giovita Scalvini, a partire dagli autografi che il letterato lombardo gli aveva affidato nel testamento, per i tipi di Le Monnier (Firenze 1860). La fatica maggiore di questo secondo soggiorno fiorentino fu però il Dizionario della lingua italiana, che uscì presso l’Unione Tipografico-Editrice di Torino.
Esso era frutto della collaborazione con Bernardo Bellini, che lavorava allo spoglio dei vocabolari già editi e inviava i risultati dei suoi lavori a Tommaseo, il quale riordinava i materiali, li completava e vi aggiungeva esempi, avvalendosi della memoria e dei suggerimenti degli amici di sempre, fra cui Cesare Cantù, Capponi, Iacopo Bernardi, sempre sorretto da quella visione morale della lingua elaborata in gioventù. Nel 1861 uscì il primo tomo del primo volume.
Continuò a lavorare alacremente, nonostante i problemi di vista e il fatto che le molte pubblicazioni non mitigassero le difficoltà economiche in cui versava. Uscirono così le prose civili e politiche (molte estratte da lettere a destinatari non menzionati) di Il secondo esilio per Sanvito (Milano 1862), il volume di memorie Di Giampietro Vieusseux e dell’andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, per la Stamperia sulle logge del grano (Firenze 1863), i Nuovi studi su Dante, presso la Tip. del Collegio degli Artigianelli (Torino 1865), e i discorsi Della pena di morte, per Le Monnier (Firenze 1865), in cui sviluppava le posizioni di Dell’Italia mostrando come fosse linguisticamente – e dunque moralmente – sbagliato parlare di un «diritto di punire». Nel 1865 uscì anche il secondo tomo del primo volume del Dizionario della lingua italiana. L’anno dopo vide la luce la sua traduzione dei Santi Evangeli, cui aveva cominciato a lavorare nei due mesi di carcere e che pubblicò assieme al commento di s. Tommaso a partire da passi scelti dai Padri della Chiesa (Milano 1866). Nel 1867 incontrò Giosue Carducci (suo ammiratore), durante il soggiorno di questi a Pieve di Santo Stefano.
Nell’ultimo periodo di vita raccolse scritti di storia civile e letteraria in Il serio nel faceto (Firenze 1868), e quelli di argomento muliebre, per lo più già editi, in La donna (Milano 1868). Aderì alla Società promotrice degli studi filosofici e letterari, fondata da Terenzio Mamiani e Domenico Berti, e curò un’antologia di esempi di bello stile, gli Esercizi letterarii (Firenze 1869). Prese posizione contro la tesi evoluzionista di Alessandro Herzen in L’uomo e la scimmia (Milano 1869) e assisté alla pubblicazione del secondo volume (due tomi) e del terzo del Dizionario della lingua italiana (1869 e 1871). Fra le ultime sue opere è la raccolta di Poesie (214 testi, molti già editi e rimaneggiati), per Le Monnier (Firenze 1872) e la prima parte del quarto e ultimo volume del Dizionario della lingua italiana (1872): Tommaseo, ridotto alla cecità, aveva curato le voci sino a si, e il completamento era stato affidato a Giuseppe Meini.
Colpito da apoplessia, morì a Firenze il 1° maggio 1874, a un anno di distanza dalla morte della moglie, e fu sepolto nel cimitero di Settignano.
Postumo uscì il secondo tomo del quarto volume del Dizionario della lingua italiana (1879), curato da Meini.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Tommaseo (donato dalla figlia Caterina, suor Chiara Francesca, nel 1899).
N. Tommaseo - G. Capponi, Carteggio inedito..., a cura di I. Del Lungo - P. Prunas, I-IV, Bologna 1911-1932; R. Ciampini, N. T., Firenze 1945; N. Tommaseo, Diario intimo, Torino 1946; M. Pecoraro, Il testamento letterario di N. T., in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXI (1954), pp. 35-69; Carteggio edito e inedito di N. T. e Antonio Rosmini, a cura di V. Missori, I-III, Milano 1967-1969; Carteggio T. - Vieusseux, I-V, Firenze 1981-2008; G. Tellini, Introduzione a N. Tommaseo, Fede e bellezza, Milano 1992, pp. VII-XLVII; N. T. e Firenze. Atti del Convegno... 1999, Firenze 2000; Alle origini delle giornalismo moderno. N. T. tra professione e missione, a cura di M. Allegri, Rovereto 2010; T. poeta e la poesia di medio Ottocento. Atti del Convegno..., Venezia... 2014, a cura di M. Allegri - F. Bruni, I-II, Rovereto 2016.