D'APUZZO, Nicola
Nacque a Napoli nel 1790 da Gaetano e Michelina Lamberti e nella città natale compì gli iniziali studi di architettura frequentando la Reale Accademia del disegno.
Nel 184 vinse una borsa di studio della durata di cinque anni, istituita dall'accademia per gli allievi più meritevoli, che gli consentì di studiare a Roma presso il reale pensionato degli studi d'arte, con sede a palazzo Farnese. La partenza del D. slittò però al 1816, all'indomani della restaurazione borbonica (Venditti, 1961, p. 335), ed egli abitò nella sede principale di palazzo Farnese solo nel periodo tra il 1817 e il 1818, trasferendosi successivamente nella Casa di Napoli in via del Fontanone (O. Michel, in Le palais Farnèse, Roma 1981, p. 608 n. 381, tav. 1). Nel 1815 pubblicò nel Giornale enciclopedico di Napoli (XII, pp. 3-31) uno scritto sugli Archi di trionfo degli antichi, che ripropose (pp. 59-87) nel libro Cenni intorno ai teatri moderni e sopra gli archi di trionfo degli antichi, pubblicato a Roma nell'estate del 1817.
Una copia di questo volume fu donata all'Accademia di S. Luca con una lettera, datata 14 novembre, per il segretario in carica G. A. Guattani. Nel febbraio 1818, durante una riunione degli accademici, il volume venne presentato ufficialmente e nella successiva assemblea di maggio venne stabilito di inviare al D. una semplice lettera di ringraziamento, senza alcun commento nei confronti del suo lavoro (Roma, Archivio della Accademia di S. Luca, vol. 86, f. 183; vol. 59, ff. 80, 82).
Già da questo primo testo emergono le teorie architettoniche del D., secondo il quale (p. 62) "in qualunque edificio... tre cose principalmente richiedonsi, Comodità cioè, Solidità, e Bellezza, le quali convien perciò riguardare quai principj, o primarj oggetti di tutta quanta è vasta l'architettura".
Nel saggio sul teatro (p. 24) le tesi del D., si rivolgono polemicamente contro il trattato settecentesco del Milizia e più in generale contro le teorie che, sia nel teatro sia nell'arte, rendevano la bellezza del mondo classico "tiranna, incomportabile sempre, ed odiosa, col suo imperare".
Nel 1820 fu tra i promotori della ripresa editoriale della rivista Le Effemeridi letterarie di Roma alla quale collaborò sino al 1822: Gesù Crocifisso. Scultura, opera in tutto tondo del sig. P. Tenerani da Carrara, I (1820), pp. 112-17; Del modo di apprezzare i beni stabili, III (1821), pp. 287-300; Nuovi dispareri intorno al merito dell'antico architetto Vitruvio, IV (1821), pp. 202-14; Descrizione di tre tavole rappresentanti la Pala d'oro della basilica di S. Marco del cav. Cicognara, VI (1822), pp. 365-74; Prospetto della chiesa metropolitana di Camerino, opera dell'arch. C. Foschi, ibid., pp. 426-31; Psiche e Zeffiro. Quadro ad olio del sig. cav. Niccola de' Marchesi Sessa, ibid., pp. 450-53; Introduzione ad un trattato completo dell'architetto N. D'Apuzzo sopra i templi de' cristiani che si dicono chiese, VIII (1822), pp. 134-57.
Il 25 sett. 1821, durante la riunione degli accademici di S. Luca, venne presentata ed accettata la proposta di nominare il D. accademico d'onore, decisione annunciata ufficialmente nel corso di una successiva assemblea, svoltasi il 9 dicembre (Roma, Archivio dell'Accadem. di S. Luca, Misc. Congreg. II, nn. 8, 10). Della elezione del D. scrisse il Missirini (1823, p. 414) tracciando un breve ma significativo riassunto delle teorie espresse fino ad allora dall'architetto.
Nel 1822, tornato a Napoli, partecipò senza successo al concorso per l'elezione di un nuovo professore per la cattedra di architettura dell'Accademia del disegno, ma due anni dopo era già nominato professore onorario del Reale Istituto di belle arti di Napoli.
Una nuova opera teorica pubblicata nel 1824, presso la Stamperia Reale di Napoli, dal titolo Considerazioni architettoniche, riuniva, come annotò lo stesso D. nell'introduzione, (p. VIII), alcuni scritti giovanili "isolati e volanti", pubblicati durante il soggiorno romano sulla rivista Le Effemeridi letterarie di Roma, e "qualche Ragionamento inedito".
Il D. tracciò alcune tesi sulle opere architettoniche, seguendo una linea d'indagine in cui i principi costruttivi acquistavano un'importanza determinante. Abbozzò la storia dei primi esempi inglesi di costruzione in ferro.L'attività del D. fu principalmente teorico-letteraria e viene documentato un unico suo intervento costruttivo, la ristrutturazione dell'antico palazzo Gravina a Napoli, acquistato nel 1837 dal conte Giulio Cesare Ricciardi.
I lavori vennero affidati al D. che ridusse l'altezza delle antiche sale per ricavarne nuovi vani superiori, eliminando i busti cinquecenteschi posti in nicchie circolari sopra le finestre. Nel 1839,durante l'esecuzione dei lavori, si accese una vivace polemica intorno alla legittimità di questi interventi edilizi. Nel n. 6 della rivista Lucifero apparve un articolo, firmato "N. D'A.", a giustificazione dei lavori di ristrutturazione; a questo rispose l'architetto G. Leandro su L'Omnibus pittoresco (1839, n. 2, pp. 153-56) che, facendosi portavoce dell'opinione pubblica, accusò il D. della distruzione delle forme decorative e dell'alterazione dell'assetto architettonico del palazzo. Contrario al progetto fu anche il ministro dell'Interno Santangelo ed il conte Ricciardi dovette ricorrere al re per ottenere il parere positivo del Consiglio edilizio. Anche dopo il termine dei lavori, avvenuto nel 1840,le polemiche non si sedarono e nel 1841venne pubblicato un secondo articolo contro il D. (F. Gasparoni, Il palazzo Gravina di Napoli, in L'Architetto girovago, 1841, n. 1, pp. 100 ss.).
Ma il D. continuava a pubblicare e nel 1844 a Napoli uscì il terzo saggio di architettura, Investigazioni preliminari per la scienza dell'architettura civile, in cui sono riassunte le tesi esposte nei precedenti volumi. Fu presentato in maniera più esplicita il principio dell'uso funzionale dell'architettura, ma "le idee si confondono quando tenta di conciliare questo nuovo concetto con la triade vitruviana di comodità, solidità e bellezza" (Borsi, 1966, p. 38). Ma grazie al principio della funzionalità dell'architettura, che permette di eseguire modifiche anche a distanza di secoli, il D. riuscì ad aprire un varco nella rigida obbedienza ai canoni neoclassici, pur cadendo in pericolose involuzioni sia nei testi teorici sia negli interventi costruttivi. Inoltre nel suo libro il D. si soffermò sulla distinzione fra l'attività dell'ingegnere e quella dell'architetto, il primo legato alle scienze esatte, il secondo alle arti liberali.
Allo stato presente degli studi non sono reperibili ulteriori notizie sulla vita dell'architetto napoletano, di cui non si conosce la data di morte. Senza data è un suo piccolo saggio stampato a Napoli a proposito Di alcuni quadri dipinti da Tommaso De Vivo.
Fonti e Bibl.: L. Bossi, Introd. allo studio delle arti del disegno, Milano 1821, I, pp. 85 s.; M. Missirini, Storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 414, 478; N. Morelli, Biografia dei contemp. del Regno di Napoli, Napoli 1826, pp. 100-03; G. Ceci, Il palazzo Gravina, in Napoli nobilissima, VI (1897), pp. 1-4; A. Borzelli, L'Accademia del disegno 1805-1815, ibid., X (1901), p. 56; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 69, 88, 313; A. Venditti, Archit. neoclassica a Napoli, Napoli 1961, ad Ind.; F. Borsi, L'architettura dell'Unità d'Italia, Firenze 1966, pp. 35-38; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, II,p. 48 (s. v. Apuzzo, Nicola d').