NICOLA DA BARI
Il nome di N., quale scrittore d'età sveva, ci è noto da un testo contenuto nel manoscritto 642 della Biblioteca Universitaria di Erlangen (sec. XV, cc. 233-236): si tratta di un breve panegirico in onore di Pier della Vigna (Commendacio Pe[tri] de Vineis), scritto da un "abbas Nicolaus Barensis ecclesie dyaconus". Il testo mostra una forte vicinanza con l'elogio che del logoteta del Regno effettua il suo allievo Niccolò da Rocca (ep. III, 45 del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna, pubblicata anche in Huillard-Bréholles, 1865, doc. nr. 2, pp. 289-291: Magna laudum praeconia, de bonitate magistri Petri de Vineis, incipit: Satis praeclaros alumnos […]). Stando alla cronologia di Piero, l'operetta contenuta nel manoscritto tedesco è da collocare tra il 1238-1239 e il febbraio 1249.
In età sveva sono attestati in Bari, secondo il Codice Diplomatico Barese (I, Bari 1897, pp. 180, 182; CI, Bari 1906, p. 83; cf. anche D. Vendola, Documenti tratti dai Registri vaticani, Trani 1940, pp. 158-160), tre abati a nome Nicola. Ma, eliminati per varie ragioni l'abate di Ognissanti e quello di S. Luce, il personaggio che sembra poter essere identificato con l'autore del testo in questione è "l'abbas Nicolaus canonicus Barensis ecclesie" che, in un documento del 1234, figura come "procurator nomine domini Marini, Barensis archiepiscopi, et nomine Barensis ecclesie" in una disputa contro l'abate di Ognissanti.
Lo scopritore ed editore della Commendacio, Rudolf Kloos, ipotizza l'attribuzione al personaggio così identificato di altre due pièces che, nel manoscritto di Erlangen, immediatamente precedono il panegirico di Pier della Vigna. Si tratta di una breve prefazione a un'opera sulle Costituzioni di Melfi di Federico II (incipit: Sumit eloquium nostrum […]; esso si trova anche nella raccolta delle lettere di Riccardo di Pofi, e può essere stato redatto nell'Università di Napoli, o eventualmente anche in una scuola di diritto connessa con la basilica di S. Nicola di Bari); e un lungo testo panegirico in onore di Federico II (incipit: Magnus est Dominus […]), nel quale l'autore si nomina come Nicola (par. 18: "Hic Nicolae stilum dictaminis fige tui"). L'impianto e i contenuti di quest'opera appaiono particolarmente vicini all'elogio che, di Federico, redige Pier della Vigna (ep. III, 44 dell'epistolario del Capuano, edita anche in Huillard-Bréholles, 1865, doc. nr. 107).
Questo secondo testo, molto importante per la determinazione della concezione del potere regio e imperiale di Federico, è stato collegato da Hans Martin Schaller al famoso ambone della cattedrale di Bitonto, scolpito da un sacerdos et magister Nicolaus (che potrebbe anche identificarsi con il Nicola autore del testo verbale): secondo lo studioso tedesco, il chierico Nicola avrebbe tenuto il suo sermone-panegirico nella cattedrale di Bitonto, alla presenza dell'imperatore stesso, all'inizio del luglio 1229, in occasione della resa della città pugliese alle forze imperiali, dopo la rivolta iniziata nell'anno precedente: "come monumento votivo si eresse nella cattedrale l'ambone meraviglioso che rappresentò, secondo il contenuto della predica, la stirpe sveva nel senso escatologico dell'ultima dinastia imperiale prima della fine del mondo" (Schaller, 1960). La pur stimolante ipotesi di Schaller non ha però trovato grande accoglienza nella critica (a parte una presa di posizione di Ettore Paratore, che ritiene l'autore del dictamen in onore di Federico e lo scultore dell'ambone la medesima persona). Sia Neu-Kock, che Pice, che Delle Donne se ne discostano, separando nettamente la scultura dell'ambone dal testo panegirico, che viene datato più tardi, dopo il 1235 (e comunque dopo il 1231, se è giusta l'identificazione di una citazione dalla cost. I, 17 del LiberConstitutionum; v.).
I pochi dati certi di cui si dispone sono dunque i seguenti. All'interno del manoscritto tedesco, un "abbas Nicolaus Barensis" è autore di un panegirico a Pier della Vigna, e un "Nicolaus" di uno a Federico II. L'identificazione dei due appare probabile. Il breve proemio a un libro dedicato alle Costituzioni di Melfi non ha firma, e la sua attribuzione allo stesso autore delle altre due pièces resta sul piano delle possibilità.
L'abate N., e cioè il "dominus Nicolaus, filius sire Gargani de Corticio, diaconus canonicus Barensis matris ecclesie" dei documenti baresi, dev'essere stato uomo di buone competenze giuridiche, dal momento che rappresenta legalmente l'arcivescovo di Bari in una lite giudiziaria con l'abate di Ognissanti (tale circostanza può fungere da indizio validante l'attribuzione del liber sulle Costituzioni di Melfi). Egli, come risulta dai due panegirici, tentò di entrare al servizio della corte federiciana, non si sa con quali esiti. Dal punto di vista cronologico, incrociando la data della sua procura giudiziaria (1234) con la forchetta cronologica della Commendacio (1239-1249) e il terminus post quem della redazione del panegirico di Federico (dopo il 1235: dei figli dello Svevo si nomina il solo Corrado, e non il primogenito Enrico), si ottiene un ventaglio biografico che abbraccia al minimo il sedicennio 1234-1249.
Come detto, il panegirico a Pier della Vigna e quello a Federico II sono contenutisticamente contigui, rispettivamente, alle lettere III, 45 e III, 44 dell'epistolario di Pier della Vigna. Kloos ha però evidenziato delle forti differenze stilistiche ed ideologiche tra i due testi attribuiti a N. e gli altri due: è sostanzialmente l'atmosfera culturale a differire, essendo molto più curiale, aulica, in qualche modo 'laica' quella dei testi di Piero e di Nicola da Rocca, rispetto alla trattazione ‒ molto più ancorata alla tradizione dell'esegesi biblica ‒ dell'abate barese. Questi tratta la figura dell'imperatore in chiave maggiormente "cristiano-escatologica", insistendo col sostrato biblico, e tenendo sostanzialmente fuori dalle sue fonti Boezio. Tra le fonti del panegirico a Federico, oltre appunto alle Scritture, vanno annoverati scrittori cristiani di età tardoantica come Cipriano (Testimonia) e Rufino d'Aquileia (De benedectione patrum).
Il panegirico di Federico (un dictamenprosaicumepistolare, più che una "predica"), oltre a possedere un rilevante valore storico, "in quanto documento che esplicita l'idea imperiale di Federico II ovvero la concezione maiestatica e teocratica dell'imperatore" (Pice, 1993, p. 30), nell'atmosfera ieratica ed escatologica rievocata dal suo stile solenne e maestoso, ricco di citazioni scritturali, presenta la casa sveva come casa davidica, e chiama Federico II imperatore della stirpe di Davide. Tale rappresentazione inserisce la stirpe sveva nella tradizione della radix Iesse, dove Iesse stesso viene a coincidere con l'avo di Federico II, il Barbarossa. Non a caso uno dei luoghi scritturali che maggiormente informano il testo di N. è proprio Isaia 11: qui viene presentata, come è noto, la grandiosa visione di un'età futura, quando il lupo convivrà concordemente con l'agnello, nella predizione di un regno di pace e di giustizia. L'idea alla base è quella che cerca di unire il regno e il sacerdozio nella stessa persona. La ricomposizione di autorità spirituale e potere politico conduce a postulare una sorta di teocrazia regia; da ciò deriva il tono profetico e solenne, la sensazione del ruolo messianico di Federico, che è identificato col leopotentissimus (Cristo), la celebrazione del regno della pace in quanto lo stato federiciano è un prodotto della volontà divina.
Accanto al rilevante interesse ideologico, il testo si caratterizza quale notevole testimonianza letteraria, per la particolare trama retorica, in linea con le più aggiornate tecniche dell'arsdictandi dell'epoca. È soprattutto la ricchezza del sostrato intertestuale che ci connota N. quale dictator di rilievo: accanto alle citazioni bibliche, e alla corrispondente letteratura esegetica, il canonico barese dà contezza di buona padronanza di scrittori come Ovidio, Cipriano, Agostino, Giovanni Crisostomo, Isidoro di Siviglia, Pietro Lombardo, ecc. Né manca un uso insistito ed appropriato delle clausole ritmiche (preferito, secondo le tendenze del tempo, il cursusvelox).
Fonti e Bibl.: Petri de Vineis iudicis aulici et cancellarii Fridirici II Imp. Epistolarum [...] libri VI, a cura di J.R. Iselius, Basileae 1740 (riprod. anast. Hildesheim 1991); J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865; E. Batzer, Zur Kenntniss der Formularsammlung des Richard von Pofi, Heidelberg 1910, p. 89; R.M. Kloos, Nikolaus von Bari, eine neue Quelle zur Entwicklung der Kaiseridee unter Friedrich II., "Deutsches Archiv", 11, 1954-1955, pp. 166-190. H.M. Schaller, Il rilievo dell'ambone della cattedrale di Bitonto. Un documento dell'idea imperiale di Federico II, "Archivio Storico Pugliese", 13, 1960, pp. 20-40; R. Neu-Kock, Das Kanzelrelief in der Kathedrale von Bitonto, "Archiv für Kulturgeschichte", 60, 1978, pp. 253-267; E. Paratore, L'ambone di Bitonto e la predica dell'abate Nicola da Bari, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, a cura di A.M. Romanini, I, Galatina 1980, pp. 227-235; N. Pice, Il dictamen di Nicolaus, uno scritto encomiastico dell'età federiciana, in Cultura e società in Puglia in età sveva e angioina, Bari 1989, pp. 283-310; Id., Il dictamen di Nicolaus in lode di Federico II imperatore, "Studi Bitontini", 55-56, 1993, pp. 29-58; F. Delle Donne, Città e Monarchia nel Regno svevo di Sicilia. L'"Itinerario" di Federico II di anonimo pugliese, Salerno 1998, p. 61.