NICOLA da Monteforte
NICOLA da Monteforte. – Ignote sono la data di nascita e di morte di questo scultore originario di Monteforte Irpino (Avellino) e attivo a Benevento nella prima metà del XIV secolo.
È documentato da due iscrizioni vergate sul parapetto del pulpito già in cornu evangelii della cattedrale di Benevento, andato quasi completamente distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale come il gemello allogato in cornu epistulae. La prima iscrizione, oggi esposta nel Museo del Sannio, incornicia l’effigie scolpita dell’artista che, abbigliato alla moda del tempo, si ritrae orante al cospetto di Cristo in croce sulla fronte del pulpito. Il testo, lacunoso ma ben documentato da fotografie anteguerra, recitava testualmente: «H(oc) op(us) sculptu(m) strux(it) / sic ordi(n)e / iu(nc)tu(m) d(e) Mo(n)te/fo(r)te / Nicol(aus) hi(c) / genufl/ex(us)». L’altro titolo di paternità, inciso sulla testata sinistra del mobile liturgico, andato invece perduto, forniva indicazioni sulla data di conclusione dei lavori, circoscrivibile per via dell’indizione tra il 1° settembre e il 31 dicembre 1311, al tempo in cui la cattedra beneventana era retta dall’orvietano Monaldo Monaldeschi: «Hoc op(us) egregiu(m) / Nicolau(s) celte / cecidit / Virgini(s) ad laude(m) / cuiu(us) tutamine / fidit anno / D(omini) MCCCXI indict(i)o(n)e X» (De Nicastro [1683], 1976, p. 54).
Ciascun ambone constava di una cassa rettangolare impiantata su sei colonne architravate. Dei complessivi dodici sostegni, nove poggiavano sul dorso di leoni e grifi, tre su alti piedistalli. In origine i pergami si agganciavano nel senso della larghezza al coro dei canonici, che impegnava varie campate dell’invaso basilicale, fino all’altezza delle scale di accesso al presbiterio. In questa posizione li documentano nel 1577 gli Atti della santa visita dell’arcivescovo Massimiliano Palombara (Benevento, Archivio metropolitano, vol. 13, p. 19, perduto, in Meomartini, 1889, p. 446). A seguito del trasferimento del coro dei canonici dietro l’altare maggiore per opera dell’arcivescovo Pompeo Arrigoni (Sarnelli, 1691), in carica dal 1607 al 1616, i due pergami, ruotati di 90°, vennero allogati nell’ultimo intercolunnio dell’invaso, uno di fronte all’altro, dove sono rimasti sino al settembre 1943. In questa posizione furono descritti la prima volta nel 1683 da Giovanni De Nicastro ([1683], 1976, p. 48). I tradizionali apparati decorativi dei pulpiti campani erano integrati da dieci figure sacre intagliate ad altorilievo sotto aggettanti tabernacoli gotici, otto posizionate agli angoli e due come spartimento dei prospetti principali. Ridotte a miseri monconi, distribuiti tra il Museo del Sannio e la cripta della cattedrale, le ‘statuette’ rappresentavano S. Matteo, S. Bartolomeo, la Vergine col Bambino, S. Gennaro e S. Giovanni Evangelista, nel pergamo in cornu evangelii; S. Barbato, S. Pietro, l’arcangelo Gabriele, l’Annunciata e S. Paolo, nel compagno.
Le ambigue forme verbali della prima iscrizione, fonte in passato di numerosi equivoci, e gli innegabili scarti di condotta tra le diverse parti figurate, ben spiegabili in termini di collaborazione, hanno indotto in un primo tempo a ritenere che Nicola da Monteforte si sarebbe limitato a riallestire, con qualche aggiunta autografa (lo specchio con la sua effigie e il gruppo dell’Annunciazione), due più antichi pergami rettangolari, ricavandone un irregolare solido ottagonale (Meomartini, 1889, pp. 462-466; Rotili, 1947; Id., 1952), di nuovo scomposto nel XVII secolo. Agli studiosi di Nicola è sfuggito che la parte incriminata dell’epigrafe parafrasa quella incisa un secolo prima sul portale laterale destro della cattedrale dal maestro Ruggero, conclamato esecutore della finissima decorazione plastica del prospetto principale della chiesa: «Haec studio sculpsit Rogerius et bene iunxit marmora quae portis tribus cernuntur in istis et quae per purum spectantur lucida murum». Con la prudenza consigliata dalla perdita materiale di gran parte dei manufatti, si può invece consentire, sulla fede del prudente e sempre attendibile Pietro Toesca (1951), con quanti hanno sostenuto che Nicola avrebbe rimesso in opera parti di un precedente arredo liturgico (la maggioranza delle specchiature, i capitelli, le colonne, i grifi), forse lasciato incompiuto.
Per quel che concerne la sua personalità artistica, accantonata l’inattendibile tesi di Adolfo Venturi (1906) di un’origine anagrafica centro-italiana, con una conseguente formazione all’ombra di Nicola e Giovanni Pisano, negli ultimi tempi la critica si è orientata con decisione verso il nodo di cultura romano-arnolfiano (Negri Arnoldi, 1972). Non è facile stabilire se abbia potuto esperire queste sue conoscenze a Roma, di cui Benevento rappresentava un’enclave politica, o a Napoli, dove da tempo si erano fatti strada scultori dell’Urbe.
A partire da Venturi (1906), ma con l’autorevole avallo di Toesca (1951) e Valentiner (1955), al maestro irpino o a un suo stretto collaboratore è stata ripetutamente riferita la solenne statua sedente di S. Bartolomeo conservata in cattedrale, ma proveniente con ogni verosimiglianza dal portale della contigua chiesa intitolata all’Apostolo. A questa scultura si è aggiunta negli ultimi decenni una marmorea Madonna in trono col Bambino in S. Maria la Manna ad Agerola, sulla costiera amalfitana, come l’altra ancorata dagli studiosi agli inizi del Trecento, prima dei pergami (Negri Arnoldi, 1972). In entrambi i casi, in realtà, abbiamo a che fare con opere più inoltrate nel tempo e di mano diversa, malgrado generiche assonanze nella conduzione dei panneggi. I connotati stilistici spingono in direzione di due scultori ormai sotto l’ascendente di Pacio Bertini da Firenze, per un ventennio la personalità dominante della Napoli angioina dopo la scomparsa di Tino di Camaino (1336). Per la più fine Madonna di Agerola, dalle vaghe movenze francesizzanti, la peculiare lunghezza delle maniche della sottana suggerisce una ragionevole data entro il settimo-ottavo decennio del secolo.
Fonti e Bibl.: G. De Nicastro, Benevento sacro (ms. datato 1683), a cura di G. Intorcia, Benevento 1976, pp. 48, 54; P. Sarnelli, Memorie cronologiche de' vescovi ed arcivescovi della S. Chiesa di Benevento, Napoli 1691, p. 149; G. De Vita, Thesaurus alter antiquitatum Beneventanarum Medii Aevi, Roma 1764, pp. 431 s.; H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, II, pp. 323-326; A. Meomartini, I monumenti e le opere d’arte della città di Benevento, Benevento 1889, pp. 49, 445-470; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, Milano 1904, p. 708; IV, ibid. 1906, pp. 250-254; M. Rotili, N. da Monteforte, Benevento 1947; P. Toesca, Storia dell’arte italiana. Il Trecento, Torino 1951, pp. 372 s.; M. Rotili, L’arte nel Sannio, Benevento 1952, pp. 102-105; W.R. Valentiner, An Italian portrait statue of the Hohenstaufen period, in The Art Quarterly, XVIII (1955), pp. 24 s.; F. Negri Arnoldi, Pietro d’Oderisio, N. da Monteforte e la scultura campana del primo Trecento, in Commentari, n.s., XXIII (1972), pp. 12-30 (con bibl.).