DE LUCA, Nicola
Nacque a Canipobasso il 1ºgiugno 1811 da Lorenzo, farmacista, e Maria Giuseppa Presutti. Laureatosi in lettere e filosofia ed in giurisprudenza presso l'università di Napoli ("cedolato" in entrambe nel settembre 1839), esercitò l'avvocatura, e dal 1840 fu patrocinatore del ministero delle Finanze presso i tribunali del Molise. Intanto si era messo in luce per capacità amministrative e preparazione scientifica (aveva studiato all'università anche agraria e chimica): nel 1836 fu membro della commissione sanitaria di Campobasso e direttore della disinfestazione per l'epidemia colerica, nel 1840 professore di agricoltura teorico-pratica in Campobasso, socio di varie società economiche, nel giugno 1841 fu nominato segretario perpetuo della Società economica del Molise. Consigliere provinciale dal 1842 al 1847, fece parte della deputazione per le Opere pubbliche e fu chiamato più volte come supplente nel Consiglio d'intendenza.
Nel 1845 pubblicò a Campobasso una documentata relazione sulle Condizioni economiche ed industriali della provincia di Molise nel 1844, in cui, tra l'altro, metteva in evidenza l'arretratezza dell'agricoltura, l'impoverimento dei proprietari, la miseria dei contadini. Nello stesso anno partecipò al VII congresso degli scienziati italiani, tenuto a Napoli, come deputato della Società economica del Molise. Con relazioni ed interventi prese parte ai lavori della sezione di agronomia e tecnologia, e fu nominato in varie commissioni, anche in quella incaricata di studiare gli istituti caritatevoli per riferirne l'anno successivo. Partecipò, quindi, come membro effettivo, al congresso degli scienziati tenuto a Genova nel 1846.
Conquistato dalle idee di rinnovamento politico diffuse in Italia dopo l'elezione di Pio IX, nel 1848 fu tra i liberali più in vista della provincia, e si impegnò per il consolidamento del regime costituzionale, concesso da Ferdinando II il 29 gennaio. Eletto deputato nel distretto di Larino, alla vigilia del 15 maggio, data di apertura del Parlamento, fece opera di conciliazione nel contrasto sorto tra il re ed i deputati sulla formula del giuramento. Quando furono erette barricate nel centro di Napoli, con altri deputati percorse le strade per indurre i rivoltosi a ritirarsi. Scoppiato il conflitto, firmò la protesta contro la violenza regia formulata da P. S. Mancini. La Camera fu sciolta. Il D., rientrato a Campobasso, promosse agitazioni contro il governo, sospettato di preparare la reazione. Rieletto a Larino, assunse alla Camera un atteggiamento di decisa opposizione. Tra l'altro, l'11 luglio difese la guardia nazionale che, a suo dire, aveva cooperato al mantenimento dell'ordine pubblico, ed il 2 settembre criticò a fondo il progetto ministeriale sul suo ordinamento; il 12 agosto illustrò a lungo una mozione intesa ad ottenere la revisione della legislazione vigente per adeguarla al regime costituzionale, ed il 19 lesse un suo progetto di miglioramento delle prigioni.
Il 5 sett. 1848 furono sospesi i lavori del Parlamento. Il D., di nuovo rientrato a Campobasso, fu sottoposto a vigilanza. Tornò a Napoli alla riapertura del Parlamento, il 1ºfebbr. 1849, e parlò più volte per criticare l'azione del governo, esaltare l'importanza della Camera, difenderne le prerogative. Ma ormai il regime costituzionale aveva i giorni contati. Il 12 marzo 1849 il re sciolse la Camera, e col ritorno di fatto all'assolutismo cominciò la persecuzione dei liberali. Il D. fu arrestato nell'ottobre, con l'accusa, infondata, di avere eccitato alla rivolta del 15 maggio 1848. Il processo, nel quale erano coinvolti Silvio Spaventa, Giuseppe Pica, Antonio Scialoja e molti altri, si concluse nel 1852. L'8 ottobre il D., benché avesse respinto le accuse, veniva condannato ad otto anni di reclusione, da aggiungere alla carcerazione preventiva. Il 25 giugno 1851 era stato rimosso dalla carica di segretario della Società economica di Campobasso ed all'inizio del 1852 era stato cancellato dall'elenco dei patrocinatori.
Il D. ottenne di espiare la pena nelle carceri di Campobasso, dove poté vedere frequentemente la moglie, Lidia Cenni (figlia di un alto funzionario borbonico e ciò spiega la mitezza della prigionia), sposata nel 1840, i figli (ne ebbe quattro tra il '42 ed il '48, ed un ultimo nel 1 59), il fratello Leonardo, e tenere corrispondenza con amici. Fu liberato nel gennaio 1858, avendo usufruito di un condono. Obbligato a risiedere a Campobasso, nonostante la sorveglianza si mise in relazione con il Comitato dell'ordine di Napoli, e fu a capo del Comitato provinciale molisano, che si limitò a mantenere i contatti con gli oppositori dell'assolutismo.
Nell'estate del 1860, dopo il ripristino della costituzione da parte di Francesco II, fu tra i candidati designati dai moderati in vista della probabile elezione del Parlamento borbonico (L'Opinione nazionale, 2 e 10 ag. 1860). Nominato nel luglio dal ministero costituzionale sindaco di Campobasso, a fine agosto si oppose al progetto di proclamare nel capoluogo molisano un governo provvisorio, constatando la debolezza dei liberali. Al suo arrivo a Napoli, Garibaldi lo nominò l'8 settembre governatore del Molise con poteri illimitati.
Nel Molise, nei vicini Abruzzi, in Terra di Lavoro c'erano ancora truppe borboniche bene organizzate e le masse contadine si mantenevano fedeli all'antica dinastia. Il D. cercò di consolidare il nuovo regime con l'aiuto della guardia nazionale e di corpi volontari, riuscendovi solo in parte. Ai primi di ottobre intervenne con una colonna di volontari per domare la ribellione di Isernia, ma il 5 dovette ripiegare per la preponderanza dei borbonici, e trovò scampo per la via degli Abruzzi. Il controllo della situazione fu ripreso solo con l'arrivo dell'esercito sabaudo.
Dopo la partenza di Garibaldi il D., esponente del moderatismo, conservò la carica di governatore. Da Campobasso fu trasferito a Teramo il 17 dic. 1860, ma il 22 genn. 1861 fu ritrasferito nella sua città natale. Vi restò poco, perché il 28 febbraio passò ad Avellino, dove, invece, restò a lungo, assumendo dal novembre 1861 il titolo di prefetto. Il Mezzogiorno era ancora agitato da reazione e brigantaggio; la provincia era tra le meno tranquille, e il D. si impegnò con zelo nella repressione, andando al di là dei suoi compiti.
Nella primavera-estate del 1861 si pose personalmente alla testa di soldati e volontari per reprimere moti reazionari, esponendosi di nuovo a situazioni rischiose, e nel luglio 1862 partecipò col generale P. Franzini Tibaldeo alla persecuzione dei briganti. Durante lo stato d'assedio proclamato per la crisi di Aspromonte, per isolare i briganti impose ai contadini di trasferirsi nei paesi con le masserizie, il bestiame e il raccolto. Nell'estate 1862 usò il pugno duro anche nei riguardi dei democratici, che ne denunziarono gli arbitri (Roma, 25 agosto e 22 nov. 1862; Il Popolo d'Italia, 24 ag. 1862); il 30 genn. 1863 una deputazione di cittadini avellinesi lo accusò alla commissione d'inchiesta sul brigantaggio di cattiva e corrotta amministrazione (Roma, 8 febbr. 1863): era la conseguenza del suo modo d'agire.
Il D. era convinto della necessità di affrontare l'emergenza con provvedimenti eccezionali. Il 19 genn. 1861 propose di pacificare gli Abruzzi dando ad un generale tutti i poteri che aveva avuto Manhès da Murat, o affidando ad un commissario civile il potere di imporre lo stato d'assedio, convocare consigli subitanei di guerra per giudicare banditi e complici, riformare Municipi e guardia nazionale, percorrere le tre province abruzzesi con una colonna di truppe regolari (Arch. di Stato di Napoli, Ministero Interno, III Inventario, fascio 1619). Il 4 luglio 1862 criticò le vane discussioni del Parlamento ed invocò "un governo forte e sbrigativo". Per estirpare il brigantaggio il 20 agosto tornò a proporre che "si accordino poteri straordinari ad un generale, o ad altra potestà destinata a raccogliere nella sua mano le attribuzioni di maggiore importanza". Durante lo stato d'assedio, il 1º settembre, giunse a suggerire l'arresto di tutti i parenti dei briganti fino al terzo grado civile e la fucilazione immediata di spie e manutengoli colti in fiagranza. Pur deluso dei modesti risultati ottenuti, il 5 dic. 1862 difese le misure adottate e dichiarò, fingendo di riferire idee altrui, "che lo Statuto era nei momenti attuali inciampo al consolidamento nazionale, e che a salvare la patria da suprema e irreparabile sciagura ogni mezzo eccezionale fosse, non che lecito, desiderabile, quando anche si dovesse ricorrere ad un colpo di Stato". Opinione copertamente ribadita davanti alla commissione d'inchiesta sul brigantaggio, alla quale denunziò tra le cause del malcontento del paese "le troppe chiacchiere che si fanno in Parlamento e le intemperanze della Sinistra".
Per il suo atteggiamento il D. fu ben visto dai moderati, che ne apprezzarono l'impegno personale, benché criticassero l'avventatezza delle iniziative, ma fu avversato dai democratici. L'8 dic. 1863 L. A. Miceli e Bixio lo accusarono alla Camera di aver consigliato a Rattazzi nel 1862 di abolire lo statuto. L'accusa fu prontamente smentita dallo stesso Rattazzi e dal ministro U. Peruzzi, ma fu rinnovata il 18 dicembre. Un fondo di verità c'era, anche se il D. aveva evitato di compromettersi con una richiesta esplicita. Ad ogni buon conto il discusso prefetto il 23 ott. 1864 fu trasferito a Reggio Emilia e non tornò più nel Mezzogiorno. Dal 15 apr. 1866 fu a Forlì, dal 19 nov. 1868 ad Ancona. Rimasto in servizio anche dopo l'avvento della Sinistra, dal 19 apr. 1876 fu a Como, dal 22 maggio 1879 a Messina. Collocato a disposizione nel dicembre 1880, nel maggio 1881 fu messo a riposo. Nel dicembre 1868 era stato nominato senatore, ma fu poco assiduo.
Morì a Campobasso il 12 ag. 1885.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. generale Affari generali, Personale, Personale fuori servizio, 1ª serie, busta 94, fasc. 42627/2; Arch. di Stato di Napoli, Ministero Polizia, Gabinetto, fascc. 470, 581, 1170; Ministero Interno, II Inventario, fascc. 1087, 1092; III Inventario, fascc. 764, 1619; Ministero Giustizia, Affari riservati, fasc. 2122; Arch. di Stato di Campobasso, Atti sul brigantaggio e processi politici, b. 55. Documenti del D. sono presso i discendenti: ad essi fa riferimento il dattiloscritio depositato presso l'Arch. di Stato di Campobasso, Un grande patriota molisano. N. D., a cura di N. De Luca junior e datato 1966, con notizie sulle cariche ricoperte, sulla partecipazione al 1848 e sulla prigionia. Una succinta biografia, di intonazione sfavorevole, in G.B. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Napoli 1914-1952, II, p. 94. Sui momenti più importanti della vita del D. si vedano inoltre: Diario del VII Congresso degli scienziati ital. in Napoli, s. l. né d. [ma Napoli 1845], pp. 12, 28, 32, 36, 43 s., 59 s., 91-96, 153 s., 159; G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1920, ad nomen (subito dopo l'arresto il D. negò di aver firmato la protesta dei deputati, p. 406, ma la sua firma risulta con evidenza nella copia fotografica del manoscritto pubbl. in D. Da Empoli, La protesta del 1848 dei deputati napol., in Klearchos, I [1959], 1-2, pp. 46-56); Le Assemblee del Risorgimento, Napoli, I-II, Roma 1911,ad nomen; A. Zazo, Il Sannio nella rivoluz. del 1860. I cacciatori irpini, Benevento s.d. [ma 1927], in particolare pp. 140-59; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-1861), Napoli 1981, ad nomen; Molise 1860. I giorni dell'Unità. Guida alla mostra storico-documentaria, a cura di R. De Benedictis, Campobasso 1983; F. Barra, Reazione e brigantaggio in Campania, in Archivio storico per le province napoletane, s. 3, XXII (1983), pp.65-168 passim; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nell'Italia unita (1861-1865), Napoli 1979, ad nomen; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978, ad nomen.