MEDICI, Nicola
de’. – Nacque a Firenze da Vieri di Cambio e da Bice di Pazzino Strozzi, all’incirca nel 1384, come risulta dalla registrazione dell’età effettuata nel 1429, in cui dichiara di avere 45 anni. Ebbe due sorelle, Valenza e Bice, e un fratello, Cambio.
Il M. continuò l’attività paterna nel settore commerciale e bancario, prendendo parte anche alla vita pubblica e rivestendo un ruolo di un certo rilievo nell’ambito del reggimento oligarchico affermatosi dopo il 1382. Il 13 febbr. 1405 fu ascritto all’arte dei mercatanti e del cambio per beneficio del padre. Nel 1411 ottenne ancora l’abilitazione per ricoprire gli uffici maggiori.
Dal 16 febbr. 1413 assunse la carica di ufficiale della Gabella del vino. Fu membro della Parte guelfa una prima volta nel 1413 e per tre volte console dell’arte del cambio. Quasi ininterrottamente fino al 1433 conseguì altri uffici di carattere politico-amministrativo, tra cui quelli dei Dieci di Pisa dal 18 apr. 1422, di maestro del Sale dal 1° giugno 1423, dei Dieci di libertà dal 1° ag. 1424, degli Otto di custodia dal 15 maggio 1425, di ufficiale della Zecca dal 28 nov. 1425, di console del Mare dal 18 dicembre seguente, di gonfaloniere di Compagnia dal 1° maggio 1426, di maestro alle Porte dal 1° apr. 1427, di capitano di Orsanmichele dal 1° giugno dello stesso anno e di ufficiale delle Condotte dal 1° apr. 1428. Il 12 dic. 1428 fu anche estratto per l’ufficio dei Dodici buonuomini. Dal 28 maggio 1429 fu nuovamente ufficiale della Zecca e il 1° ott. 1431 entrò in carica come ufficiale della Torre; il 23 marzo 1432 fu nominato castellano di Volterra per sei mesi da Giuliano di Averardo de’ Medici. In quegli anni il M. fu anche presente in diverse occasioni ai dibattiti politici nell’ambito delle consulte: intervenne, per esempio, il 28 ag. 1426, in un clima di forti contrasti dovuti alla pressione fiscale per la lunga guerra condotta contro Milano.
La carica più importante ricoperta dal M. fu quella di gonfaloniere di Compagnia nel bimestre settembre-ottobre 1433, che coincise con un momento cruciale del reggimento politico caratterizzato dal predominio albizzesco: infatti, la Balia convocata nel settembre di quell’anno, di cui anche il M. faceva parte ex officio come gonfaloniere di Compagnia, decretò l’esilio di Cosimo I de’ Medici e dei suoi aderenti più stretti. Il M. e i membri della sua linea non furono però colpiti dalle proscrizioni, presumibilmente in considerazione del ruolo politico svolto dal padre in difesa della parte popolare, ma anche per la posizione assunta in tale circostanza dallo stesso M.: in proposito Giovanni Cavalcanti riferisce che egli tutto impaurito e con voce tremante si associò alla condanna di Cosimo dietro promessa di risparmiare la sua casata. Nell’ottobre dello stesso 1433 il M. prese parte alle nuove elezioni indette dalla Balia. Dopo il ritorno di Cosimo a Firenze, nell’ottobre 1434, la presenza del M. nella vita pubblica diventò più limitata, a causa dei problemi finanziari dovuti al fallimento, avvenuto in quegli anni, della sua compagnia.
Il 30 marzo 1439 il M. divenne vicario del Valdarno Superiore; l’anno seguente partecipò allo scrutinio per i tre maggiori uffici e dal 3 sett. 1440 esercitò le funzioni di membro dei Cinque del contado, quelle di capitano della cittadella di Pisa dal 10 maggio 1441, di podestà di Castiglione Fiorentino dal 1° dicembre dello stesso anno, di capitano di Orsanmichele dal 2 dic. 1442, di ufficiale delle Carni dal 1° ott. 1443. Nel 1448 fu ancora membro della Parte guelfa. Il 23 ott. 1452 ricoprì la sua ultima carica, quella di capitano di Pistoia.
Il M. morì a Firenze il 3 marzo 1455 e fu sepolto in S. Lorenzo.
Oltre all’impegno politico egli si era dedicato alla conduzione delle due compagnie commerciali di Firenze e Roma ereditate dal padre, attività condivisa, almeno fino al 1427, con il fratello Cambio. Nel 1424 il M. aveva inoltre, insieme con Vieri Guadagni, un banco a Tivoli, dove si trovava in quel momento la corte papale, amministrato da Matteo Masi.
Le portate catastali dal 1427 al 1452 indicano un passaggio graduale da una florida situazione economica a un depauperamento crescente delle sostanze mobili e immobili, parte delle quali, tuttavia, grazie al fedecommesso istituito dal padre, non erano alienabili. Nella dichiarazione presentata nel 1427 dal M. con il fratello Cambio risulta il possesso di svariate proprietà a Firenze e fuori, tra cui l’abitazione in S. Lorenzo, botteghe e altre case nella zona del mercato vecchio, un esercizio nel «popolo» di S. Salvatore, poderi con casa e vigne, oltre a diversi investimenti sul Monte. Tra i numerosi creditori compaiono Cosimo de’ Medici e il fratello Lorenzo, Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica, e il socio della compagnia Bernardo Carnesecchi. Nella successiva certificazione fiscale effettuata dal solo M. nel 1431, in concomitanza con il fallimento della società mercantile, risultano undici creditori della compagnia di Firenze e di Roma, i quali avrebbero dovuto presentare anche un rapporto della situazione al tribunale della Mercanzia.
Sulle ragioni della chiusura del banco, nell’opera di De Roover si accenna a un comportamento poco ortodosso da parte dei figli di Vieri e alla necessità di prendere misure cautelative nel concedere loro dei prestiti. La cattiva gestione della società è stigmatizzata dalle parole del precettore di Giovanni di Cosimo, Giovanni Cafferecci: al giovane, che nel 1438 aveva appena terminato a Ferrara la sua formazione in campo economico, Cafferecci raccomandava di non seguire l’esempio del M. e del fratello Cambio, che per la loro imperizia avevano provocato il fallimento della compagnia.
Non aggiungono particolari rilevanti le portate catastali del 1433 e del 1442; in quella del 1451, l’ultima prima della morte del M., è registrata una lunga lista di beni alienati dal 1427 e pervenuti in proprietà al fratello Cambio e a Cosimo de’ Medici, presumibilmente al primo come liquidazione del capitale societario, al secondo come pagamento del cospicuo debito contratto nel tempo.
Il M. sposò in prime nozze Bartolomea di Donato Acciaiuoli e quindi una certa Caterina; ebbe dieci figli, dei quali uno non legittimo di nome Oreste. I figli Attilio, Carlo e Vieri si dedicarono alla vita politica e Carlo fu anche poeta; Donato, religioso, divenne nel 1432 canonico della metropolitana fiorentina e, nel 1436, vescovo di Pistoia. Attraverso i matrimoni contratti dai suoi figli il M. si imparentò con le famiglie fiorentine più in vista: Aurelia sposò Luca di Maso degli Albizzi, fratello del Rinaldo esiliato nel 1434; Laudomia sposò Niccolò Popoleschi; Onesta sposò nel 1420 Antonio di Giovanni di Giandonato Barbadori; Attilio si unì in matrimonio a Benedetta di Daniele Canigiani e quindi ad Agnoletta di Bernardo Soldani; Vieri sposò Auretta di Francesco Nerli; Carlo contrasse matrimonio con Caterina di Braccio Fortebracci, signore di Perugia. Un’altra figlia, forse Nastasia, si maritò con Simone di Filippo Tornabuoni; Oreste sposò Emilia di Benedetto, scardassiere e Giuliano sposò Ginevra di Antonio di Agnolo.
Del M. sono rimaste alcune lettere conservate nell’archivio Mediceo avanti il principato e nel fondo Carte Strozziane nell’Archivio di Stato di Firenze. Nelle sei lettere indirizzate ad Averardo de’ Medici fra il 1428 e il 1431 e a Giovanni di Cosimo de’ Medici fra il 1440 e il 1450 le questioni trattate sono piuttosto modeste. La lettera del 27 ott. 1431, firmata dallo stesso M. e da Orlando de’ Medici, concerne la successione del proposto della cattedrale di Firenze, essendo morto Amerigo de’ Medici nel 1431, nella persona di Donato, figlio del M., e l’attribuzione di altri benefici come la pieve di San Piero a Sieve (4, 302). La lettera del 31 maggio 1440 a Giovanni de’ Medici parla della situazione determinatasi presso Marradi, la cui difesa venne abbandonata da Bartolomeo Orlandini aprendo così il varco alle truppe di Niccolò Piccinino, che invasero il Mugello, e della necessità di intervenire immediatamente con viveri e rinforzi a favore di Cosimo e Lorenzo de’ Medici e del campo stanziato a Gamberaldi per evitare un peggioramento della situazione (11, 381).
A Palla Strozzi il M. inviava lettere a Napoli il 1° luglio 1423 (Carte Strozziane, Serie III, filza 119, c. 4), il 15 maggio 1425 (filza 119, c. 32) e in una data non specificata, ma forse da collocare nel 1425 (filza 119, c. 3).
Il profilo intellettuale del M., pur nella frammentarietà dei dati, non è trascurabile e dimostra il suo pieno inserimento nell’ambiente culturale fiorentino come amico di umanisti e destinatario di opere. Sembra che suo precettore sia stato Leonardo Bruni e forse anche Carlo Marsuppini. Il M. rimase sempre in contatto con Bruni e questi gli dedicò la traduzione delle Orationes di Demostene, collocabile al 1421. Sono conservate pure sette lettere di Bruni al M.: di queste missive (Epistolarum libri VIII, I, 13; II, 13; III, 4-5; VI, 8; Luiso) sei sono databili fra il 1406 e il 1409 e una, assai più tarda, è riferibile al 1433-34. Fra tali lettere si distinguono la ep. II, 13, scritta da Siena il 7 ott. 1407, dove Bruni comunica al M. l’invio di un codice delle Verrine di Cicerone per farlo correggere e gli chiede di depositare presso di lui i suoi libri per evitare rischi e dispersioni conseguenti i suoi spostamenti; la ep. III, 4, scritta da Arezzo il 4 dic. 1408, e la ep. III, 5, da Rimini il 1° febbr. 1409, in cui si parla dei rapporti del M. con Poggio Bracciolini; la ep. VI, 8, composta a Firenze fra il 1433 e il 1434, dove Bruni si rammarica per non aver potuto partecipare, a causa degli impegni di cancelliere della Repubblica fiorentina, ai funerali della madre del M., di cui tesse un caldo elogio consolatorio.
Anche con Bracciolini il M. ebbe rapporti epistolari, come dimostra una lettera di Bracciolini del 16 febbr. 1433, scritta da Roma in un momento di gravi difficoltà economiche del M., per significargli la sua partecipazione e la sua amicizia (1984, II, pp. 113 s.). Inoltre, in un’altra missiva del 1° febbr. 1457 al nipote del M., Filippo de’ Medici, appena eletto vescovo di Arezzo, Bracciolini ricorda con affetto il M. e la loro lunga amicizia, che si era sviluppata grazie alla comune dedizione agli «studia humanitatis» (ibid., III, p. 425). Nell’epistolario di Bracciolini il nome del M. ricorre anche, per esempio, nelle lettere indirizzate a Niccolò Niccoli in un arco cronologico che va dal 1420 al 1426 e in un’altra del 1426 a Bruni. Si sa inoltre che Bracciolini da Londra, fra il 1421 e il 1422, fece recapitare al M. panni là acquistati (ibid., I, pp. 27, 33, 39, 42-44). In altre si parla di richieste di copiatura e consegna di manoscritti contenenti anche opere di Cicerone, di Seneca e di Cesare, che Bracciolini, residente a Roma, voleva ricevere da Firenze, e alcuni proprio dalla biblioteca del M.; questi, fra l’altro, afferma Bracciolini in due lettere del settembre 1426, possedeva un codice di Cesare scritto proprio da lui (ibid., pp. 172, 175). Si fa pure riferimento a questioni finanziarie intercorrenti fra Bracciolini e il M. e, più specificamente, al suo banco, anche in relazione al pagamento della scrittura e confezionamento di manoscritti (ibid., pp. 142-145, 158, 165 s.).
Il M. è citato da Niccoli nel suo testamento, redatto il 26 genn. 1436, in cui è nominato tra gli esecutori testamentari. Fra gli amici del M. vanno ricordati anche Leonardo Dati, vescovo di Massa Marittima dal 1467, e Niccolò Della Luna, che gli offrirono due loro scritti: il primo un Carmen in laudem prestantissimi Hieronymi Ecclesiae Luminis (conservato, tra gli altri, nei mss. Chigi, I.IV.148; I.V.194 della Biblioteca apostolica Vaticana; solo i versi iniziali sono editi in Dati, p. XLII), e il secondo l’Enchiridion de aureolis sententiis et morali vita, la cui prefatoria risulta tuttora inedita, tramandato dai manoscritti fiorentini 1166 della Biblioteca Riccardiana e Magl., XXI.170 della Biblioteca nazionale.
Nei Profugiorum ab erumna libri Leon Battista Alberti, accanto al più rappresentativo Agnolo Pandolfini, pone come protagonista del dialogo il M., «uomo ornatissimo d’ogni costume e d’ogni virtù», cittadino di rilievo e con un ruolo politico ancora attivo.
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R. Zaccaria