DE VECCHIS, Nicola
Mosaicista attivo a Roma dalla fine del Settecento al 1834. Lavorò alle dipendenze dello Studio vaticano del mosaico e in privato, distinguendosi in particolare nel mosaico minuto per la felice invenzione dei temi e per il buon gusto pittorico. Lacunose risultano le indicazioni tramandate dalle fonti intorno alla sua famiglia e in relazione ai dati anagrafici.
Un Giovanni De Vecchis mosaicista è menzionato come maestro di Francesco Belloni, l'artista che fondò a Parigi nel 1798 una scuola di mosaico di cui restò a capo fino al 1832 (G. Belloni, F. Belloni, in L'Urbe, 1978, 4, p. 1). Oltre alla comunanza del cognome e della professione, nulla consente di stabilire una relazione di parentela tra il D. e il maestro del Belloni. Anzi la consistenza storica di Giovanni è offuscata dal fatto che gli si attribuiscono i medaglioni con gli evangelisti S. Giovanni e S. Luca, posti in due dei triangoli della cupola vaticana, eseguiti in realtà agli inizi del Seicento. L'errata attribuzione nasce senz'altro dai cartoni per i medaglioni eseguiti dal pittore Giovanni De Vecchi di Borgo San Sepolcro sotto il pontificato di Clemente VIII.
L'unico dato certo intorno alla situazione famigliare del D. si riferisce al suo stato civile. Infatti il 30 marzo 1809 egli rivolse alla Reverenda Fabbrica di S. Pietro - da cui dipendeva lo Studio del mosaico - una richiesta di smalti da utilizzare in privato e da ottenere con una dilazione di pagamento, giustificandola con la necessità di mantenere una numerosa famiglia (Petochi-Alfieri-Branchetti, 1982, p. 57).
La prima attività documentata del D. risale al 1795 (ibid., pp. 19, 57) e rientra nella produzione dello Studio vaticano, anche se a quella data l'artista non ne era ancora un dipendente stabile: eseguì un fregio a mosaico su "due vasi di rilievo in stile etrusco", opera che egli stesso dichiara di avere ideato e che definisce di difficile esecuzione.
Il D. menziona la coppia di vasi in una supplica indirizzata nel 1810 all'economo della Reverenda Fabbrica, monsignor Dandini, allo scopo di essere ammesso stabilmente nello Studio del mosaico (ibid.). Nella richiesta forniva altre utili precisazioni, ricordando come nel 1795, per incrementare i profitti della Fabbrica e per adeguarsi alla produzione delle botteghe private romane, la sacra congregazione avesse deciso di introdurre nello Studio del mosaico la lavorazione di soggetti profani, i primi dei quali furono inseriti nei due vasi in stile etrusco e in due tavolini simili con fregio di pampani e grappoli d'uva. Al di là del pregio artistico i vasi del D. si rivestono pertanto del valore di prototipi, essendo consuetudine del tempo ripetere in più copie le creazioni in mosaico di maggior successo. Nel caso specifico, infatti, sono note due coppie simili di vasi in marmo bianco rispondenti al genere indicato dal D.: l'una, ornata anche da pietre dure, nella collezione Gilbert (Los Angeles County Museum of Art); l'altra in collezione privata, entrambe pubblicate dal González Palacios (1977, pp. 14, 53; 1982, pp. 19, 24). Illegame tra le due coppie di vasi, differenti nella tipologia, è stabilito dal fregio in mosaico che ne cinge la zona mediana del corpo, disegnando su fondo bianco grifoni affrontati con le zampe anteriori sollevate e appoggiate a vasi classici. Tra i grifoni, al centro e ai lati del fregio, compaiono motivi ornamentali minori, diversi nelle due coppie. Si tratta in entrambi i casi di opere di notevole pregio che, al di là di tentativi di attribuzione, sono riconducibili ad un medesimo ambiente culturale e possono considerarsi frutto di un'unica ispirazione.
Il D. mantenne a lungo e suo malgrado un semplice rapporto di collaborazione con lo Studio vaticano. Ne entrò a far parte soltanto il 15 luglio 1816 (Petochi-Alfieri-Branchetti, 1982, pp. 25 s.) come "nuovo aggiunto", date le prove di abilità fornite in più di diciotto anni, per decisione del congresso straordinario indetto da monsignor Dandini allo scopo di riorganizzare lo Studio sconvolto dall'amministrazione francese negli anni 1811-1814. Delle prove di abilità fornite dal D. nel periodo precedente questo evento non restano testimonianze; anzi nel 1810 è ricordato tra i dipendenti dello Studio non come mosaicista, ma come impiegato addetto alla classificazione degli smalti. Tuttavia, bisogna pensare che quel ruolo fosse l'unico da poter assegnare a un artista valente ma esterno, in un momento in cui il lavoro scarseggiava e in cui la critica situazione politica rendeva impensabili iniziative e progetti.
Con il passaggio alle dirette dipendenze della Corona imperiale di Francia dello Studio del mosaico, il 15 febbr. 1811, la situazione si capovolse. Il governo francese incrementò la produzione di mosaici, apportò cambiamenti nell'organico introducendo nuovi elementi, favorì la produzione di mosaici minuti che si eseguivano in uno studio detto "piccolo". Nel quadro di tali vicende si inserisce la partecipazione del D., documentata nell'agosto 1814, all'esecuzione del tavolo tondo detto lo Scudo di Achille, in cui ebbe una parte - imprecisata -negli "spicchi".
Lo Scudo di Achille, iniziato nel 1812 e compiuto nel 1818 su disegno dell'ispettore dello Studio Michele Koeck, presenta la decorazione distribuita in tre zone concentriche. All'interno è un clipeo in cui figurano la terra, il cielo e i segni zodiacali; segue la zona mediana spartita in dodici spicchi, contenenti scene figurate trattate con ricchezza di valori cromatici; all'esterno infine, a mo' di nastro, chiude il mitico fiume Oceano solcato da guizzanti delfini. Il tavolo, montato su un tripode in bronzo di stile pompeiano, fu donato nel 1824 da Leone XII a Carlo X re di Francia e si trova oggi nel Museo di Versailles (D. Ledoux Lebard, Un présent de Léon XII à Charles X, in Antologia di belle arti, 1977, 2, pp. 212 ss.).
Certamente feconda fu l'attività che il D. svolse in privato nel primo decennio del secolo. L'ipotesi è suffragata dall'importanza che assumono nella storia del mosaico minuto alcuni suoi piccoli capolavori. È noto infatti che i mosaici in stile minuto - realizzati sfruttando la possibilità di filare lo smalto, si da ridurlo in bacchette sottilissime da cui ricavare tesserine minute - raramente risultano firmati. Una spiegazione dell'anonimato che circonda questa produzione, tipica della Roma di fine '700 e dell'800, è da individuare nella consuetudine di ripetere, sovente senza varianti, forme e soggetti. Un'eccezione è costituita proprio dal D. che firmò una placca in mosaico rappresentante un gruppo di Anatre, eseguita probabilmente intorno al 1800.
La placca orna una tabacchiera in tartaruga ed oro (Roma, coll. priv., esposta nella mostra romana del 1986); tutto l'insieme misura cm 8,1 di diametro. La presenza della firma indica che il D. proponeva al pubblico un tema nuovo o comunque trattato originalmente. Questa placchetta rivela interessanti effetti spaziali e cromatici, oltre ad un particolare taglio delle tessere che perdono il profilo squadrato, caratteristico del primo affermarsi del mosaico minuto, per assumere contorni irregolari. L'innovazione del taglio delle minuscole tessere si attribuisce proprio al D. e a Giacomo Raffaelli, capostipite della tecnica del minuto.
Nel 1804 un quadretto del D. rappresentante Europa, valutato 24 zecchini, era compreso in un elenco di oggetti scelti da A. Canova, allora ispettore generale delle Belle Arti dello Stato pontificio, per essere donati alle personalità che Pio VII avrebbe incontrato nel corso del viaggio a Firenze e in Francia, dove si recava per l'incoronazione imperiale di Napoleone (Pietrangeli, 1982). A completare questo piccolo corpo. di memorie, testimonianti il prestigio goduto dai lavori del D. nel primo decennio dell'800, provvede il Giornale del Campidoglio (1º sett. 1810, n. 114, p. 408) che, tra i premiati della prima esposizione capitolina dedicata all'industria e all'artigianato, menziona un Antonio De Vecchis: è lecito pensare si tratti invece di Nicola De Vecchis.
Quando nel 1816 l'artista fu ammesso stabilmente alle dipendenze della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, lo Studio del mosaico viveva una crisi economica che doveva trovare fine soltanto nel 1819, anno in cui si decise di porre sette degli undici mosaicisti impiegati alle dipendenze dell'Erario pontificio, con il compito di esercitarsi per tre anni nel mosaico in grande. Il D. fu tra questi e negli anni successivi partecipò alla vita dello Studio, prendendo parte a restauri di antichi pavimenti rinvenuti nella tenuta di Tormarancio e a quelli dei mosaici della cupola vaticana. Ma il settore in cui si espresse con maggior maestria restò sempre il mosaico minuto. L'asserzione risulta avvalorata non dalle opere, di cui si son perse le tracce, ma da un giudizio formulato da Vincenzo Camuccini nel suo ruolo di direttore dello Studio del mosaico. Il 10 maggio del 1825 il Camuccini, scrivendo all'economo della Fabbrica, menziona il D. insieme con Michelangelo Volpini come il più esperto nei lavori in minuto, aggiungendo che i soggetti più adatti a tale lavoro sono vedute di Roma, prospettive, ecc., opere che i pontefici erano soliti donare ai sovrani d'Europa (Arch. d. R. Fabbr. di S. Pietro, 1 piano, s. 3, pacco 14, c. 653).
Nel periodo tra il 1826 e il 1829 il D. lavorò al quadretto della Vergine in orazione del Guercino, di cui "cura il libro e le mani considerate di particolare difficoltà", e al Salvatore di Leonardo da Vinci come si apprende da una sua lettera autografa (ibid., III piano, s. 29, fasc. 2).
Nel 1830 il D. pose a mosaico il "campo" nel quadro raffigurante S. Pietro, tratto da Guido Reni, in cui Raffaele Cocchi eseguì le "carni". Dal 1832 al 29 ag. 1834 collaborò invece con Vincenzo Cocchi all'esecuzione del tondo con Triregno e chiavi, da collocarsi nel pavimento della cappella del coro. Nello stesso periodo attese anche al mosaico raffigurante il S. Giovanni Battista tratto dal Guercino (oggi nel castello di Compiègne); il lavoro, eseguito senza collaboratori, rimase incompiuto a causa della morte (fu completato dopo il 1841 da R. Castellini), avvenuta prima del 15 sett. 1834, data in cui alcuni mosaicisti appoggiarono la richiesta del mosaicista romano Filippo Fedi all'economo della Fabbrica di succedere nello Studio al posto del D. defurito (Petochi-Alfieri-Branchetti, 1982, p. 58).
In seguito all'incendio che nel 1823 devastò la basilica di S. Paolo fuori le mura, fu intrapresa una vasta opera di ricostruzione cui parteciparono anche i mosaicisti dello Studio vaticano. Forse il D. vi prestò la sua opera durante la prima fase dei lavori - sotto il pontificato di Gregorio XVI - riguardanti il rifacimento dei mosaici dell'arco trionfale e dell'abside. In seguito Pio IX con una bolla del 14 maggio 1847 prescrisse la serie dei duecentocinquantotto medaglioni dei pontefici e la decorazione della facciata, per la quale fornì i disegni N. Consoni.
Tra i mosaicisti impiegati dallo Studio vaticano esclusivamente per la straordinaria lavorazione dei medaglioni, compaiono un Giovanni e un Pietro De Vecchis. Quest'ultimo restò poi al servizio della Fabbrica fino all'8 luglio 1879. La loro relazione di parentela col D. è solo ipotizzabile.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Arch. della Rev. Fabbrica di S. Pietro, I piano, serie 3, pacco 14 C: Studio de' musaici, mosaicisti, ecc., cc. 126-127 (agosto 1814); pacco 14, cc. 170 (1810), 606-610 (24 genn. 1820), 653 (10 maggio 1825); Ibid., III piano, serie 29, fascio 2 (lettera autografa del D.); J. A. Furietti, De musivis..., Romae 1752, p. 105; V. Bricolani, Descrizione della sacrosanta basilica vaticana, Roma 1828, pp. 100 s.; E. Gerspach, La mosaique, Paris s. d. [1899], p. 212; L. Hautecoeur, I mosaicisti sampietrini del '700, in L'Arte, XIII (1910), p. 458; A. González Palacios, The art of mosaics... (catal.), Los Angeles 1977, pp. 14, 53; C. Pietrangeli, Mosaici in piccolo, in Boll. dei Musei comunali di Roma, XXV-XXVII (1978-80), 1-4, p. 83; D. Petochi-M. Alfieri-M. G. Branchetti, I mosaici minuti romani..., Roma 1982, pp. 9, 19, 25 ss., 57 s., 102 fig. 24, 109, 118 s., 174; C. Belloni, Francesco Belloni, il mosaicista del Louvre, in L'Urbe, XLI (1978), 4, p. 1; C. Pietrangeli, Pio VII a Firenze e Parigi nel 1804-1805 …, ibid., XLV (1982), 5, pp. 172 s., 176; A. González Palacios, Mosaici e pietre dure, Milano 1982, pp. 19, 24 s., 28, 30, 35; Mosaici minuti romani del '700 e dell'800 (catal.), Roma 1986, pp. 111 fig. 79, 169.