Nicola di Autrecourt
Filosofo e teologo (Autrecourt tra 1295 e 1298 - Metz 1369). Formatosi a Parigi, intorno al 1318 divenne magister artium, nel 1325 conseguì il baccelierato in diritto civile e quindi la licenza in teologia. Membro del collegio della Sorbona dal 1330, commentò tra il 1335 e il 1336 le Sententiae di Pietro Lombardo, intrattenendo una fitta corrispondenza con il francescano Bernardo d’Arezzo. Nel 1340 fu convocato ad Avignone per rispondere di alcune tesi sostenute nel corso delle sue lezioni; l’elenco delle proposizioni erronee arrivava a 66 quando, nella primavera del 1346, fu costretto a ritrattare per la prima volta; dopo la seconda ritrattazione, davanti all’univ. di Parigi, il 25 nov. 1347, venne condannato a bruciare pubblicamente le sue lettere a Bernardo d’Arezzo e il trattato Exigit ordo executionis. Seguirono l’esilio (N. si ritirò a Metz), l’interdizione dall’insegnamento e la privazione del titolo di maestro in teologia. Partendo da presupposti teorici di tipo occamista, e sicuro che l’unica possibilità di conoscenza certa risieda o nell’evidenza razionale del principio di identità e non contraddizione o nell’evidenza empirica, N. elabora una radicale critica dei concetti di sostanza e di causa ed effetto con conseguenze estreme nell’ambito della dottrina teologica e metafisica. La possibilità di dimostrare l’esistenza dell’anima così come intesa da Aristotele, la sua immortalità una volta separata dal corpo, come pure l’esistenza di Dio, risalendo la catena delle cause, è decisamente negata. Ai fedeli non resta dunque che accettare le verità di fede, riconoscendo l’impotenza della ragione, cui non è concesso di superare il limite dell’opinabile e del probabile. La soluzione di N., vicina alle posizioni averroiste circa il rapporto tra fede e ragione, fu considerata dai giudici parigini una excusatio vulpina. La filosofia naturale di N. si richiama all’atomismo.