NICOLA di Autrecourt (Nicolaus de Ultricuria)
Pensatore del sec. XIV, uno dei più notevoli seguaci di Guglielmo di Occam e il più deciso nel ricavare dall'occamismo le sue estreme conseguenze scettiche. Nato a Autrecourt, nella diocesi di Verdun, sul principio del secolo, studiò a Parigi e divenne magister artium e baccalaureus theologiae alla Sorbona. Chiamato nel 1340 ad Avignone dal papa Benedetto XII, per giustificare le sue dottrine, non riuscì a evitare la loro condanna e dovette nel 1347 sconfessarle, rinunciando contemporaneamente a proseguire l'insegnamento. Che dopo ciò egli si rifugiasse presso l'imperatore Ludovico il Bavaro, è quasi certamente leggenda, creata per analogia col comportamento di Guglielmo di Occam. Nel 1350 divenne decano del duomo di Metz, e da questo momento in poi non si hanno più sue notizie.
I suoi scritti principali (che N. dovette bruciare dopo la condanna, dinnanzi a tutti i docenti dell'università) sono il trattato Exigit ordo executionis e le lettere al francescano Bernardo d'Arezzo. Il primo, a cui propriamente appartenevano le tesi condannate, è stato ritrovato in un manoscritto di Oxford da A. Birkenmayer, che ne prepara l'edizione; delle lettere sono note la 2ª e la 14ª, pubblicate da J. Lappe nei Beiträge del Bäumker (VI, 11, Münster in V. 1908) insieme con gli altri minori documenti del pensiero di N., cioè una lettera a un certo Egidio, con la risposta di questo, e gli atti del processo con le tesi incriminate, riprodotte del resto già da più antiche stampe. N. conduce l'empirismo occamistico a conclusioni così negative per l'oggettivismo scolastico, da meritare a buon diritto il nome, che gli è stato dato, di Hume medievale. Considerando come fonti della conoscenza da un lato il solo principio d'identità e dall'altro l'osservazione sperimentale, egli nega che il nesso causale possa mai essere conosciuto analiticamente, in base a quel primo principio, e lo riduce quindi a una constatazione empirica della successione di due fatti. Così, non è possibile conoscere alcuna sostanza in sé, che sia distinta dagli attributi sensibili onde essa è composta nell'esperienza dell'anima. Questo empirismo conduce d'altronde N. a respingere tutta la metafisica e la fisica aristotelico-scolastica, e a propugnare in sua vece una concezione atomistica del reale. Con tutto ciò, egli cerca di mantenere il contatto con la tradizione religiosa, per ciò che concerne i suoi comandamenti morali e il suo concetto della vita futura, considerando questi come indipendenti dalla vicenda delle dottrine filosofiche, in cui non è se non la vittoria del più probabile sul meno probabile.
Bibl.: H. Rashdall, N. de U., a Medieval Hume, in Proceedings of the Aristotelian Society, n. s., VIII, Londra 1907, pp. 1-27; J. Lappe, N. v. A., sein Leben, seine Philosophie, seine Schriften, Münster in V. 1908 (nei Beiträge del Bäumker, VI, i: è l'opera fondamentale su N.); É. Gilson, La philosophie au Moyen Âge, II, Parigi 1922, pp. 110-22. Più minuta bibliografia in Ueberweg-Geyer, Grundriss. d. Gesch. d. Philos., II, 11ª ed., Berlino 1928, p. 783.