FABRIZI, Nicola
Nacque a Modena il 31 marzo 1804 da Ambrogio, avvocato, e da Barbara Piretti, di famiglia comitale ferrarese. Primo di quattro figli, conseguito il diploma di notaio, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università modenese, ma presto dovette interrompere gli studi a causa di una malattia che lo tenne a letto per tre anni. A quell'epoca, dopo qualche esperienza nelle spontanee strutture aggregative degli studenti, era già entrato nella carboneria ed aveva stretto amicizia con E. Misley.
Sul finire della sua vita il F., interrogato da uno studioso sulla preparazione della rivoluzione del 1831, rispose che, informato dal Misley dell'esistenza di trattative col duca, aveva espresso all'amico, della cui lealtà a distanza di tanti anni continuava a dirsi certo, forti dubbi sulla possibilità "di una partecipazione a progetti nazionali di un Francesco IV" (lettera a T. Sandonnini del 3 ott. 1877, in Arch. emil. d. Ris. naz., II [1908], pp. 13-19). Ciò nonostante la preparazione del moto lo vide tra i collaboratori più fidati di C. Menotti: rivestendo però compiti più che altro operativi, il F. non parve influenzare la conduzione politica del tentativo di ribellione.
Il F. ebbe invece un ruolo decisivo nello scoppio dell'insurrezione, dal momento che proprio il suo arresto, la mattina del 3 febbr. 1831, indusse il Menotti ad anticipare di due giorni l'inizio. Il 6 febbraio, all'indomani della fuga del duca, il F., che era detenuto nelle carceri del palazzo comunale, fu liberato insieme con i fratelli Carlo e Luigi dalle colonne della guardia nazionale condotte dall'altro fratello Paolo; poi, il 9, fu tra i firmatari della "Deliberazione dei cittadini modenesi riuniti per la difesa della patria" con cui, dichiarato decaduto il duca, si istituiva un governo provvisorio che affidava a C. Zucchi il comando delle scarse forze disponibili. Posto alla testa del Iº reggimento di fanteria leggera, il F. seguì le sorti di questo corpo che, opposta una pallida resistenza a Rimini (25 marzo) alle truppe d'intervento austriache, si sciolse alla notizia della capitolazione di Ancona: il 29 marzo una nave battente bandiera pontificia accolse gli elementi più compromessi, e tra questi il F., ma fu intercettata al largo di Loreto dalla marina austriaca che trasportò i passeggeri a Venezia dove furono incarcerati per oltre un anno.
Sembra che la liberazione avvenisse per un intervento della diplomazia prussiana sollecitata a sua volta dal governo francese; comunque il 27 giugno 1832 il F. e i suoi compagni di prigionia sbarcarono a Marsiglia e dopo qualche traversia ottennero asilo politico. È probabile che in quella circostanza si giovassero del fatto di essere, come ebbe a notare un testimone, "tutte persone possidenti ed alcuni insigniti dell'Ordine della Corona di ferro ed altri della Croce d'onore ed il rimanente Dottori di legge, e Medicina, Chirurghi e Ingegneri" (Ruffini, p. 286).
Al F., che aveva tagliato ogni legame con Modena, donde nel 1837 gli sarebbe giunta la notizia di una condanna in contumacia a dieci anni per la parte avuta nel moto, l'esilio non offriva molte prospettive. La lezione del 1831 portava con sé la condanna del metodo carbonaro della cospirazione coi principi, elemento, questo della condanna, su cui, unitamente all'altro dell'iniziativa popolare, il Mazzini aveva dall'estate del 1831 costituito la Giovine Italia ottenendo proprio tra gli esuli una certa diffusione. Il F. venne quasi naturalmente a incontrarsi con le posizioni del Mazzini - da lui conosciuto a Marsiglia - e a diventarne uno dei più fervidi sostenitori. Quale membro della federazione di Marsiglia e col nome di battaglia di Corso Donati, il F. fu subito designato a rappresentare la Giovine Italia presso la locale famiglia dei Veri Italiani, espressione. delle idee rivoluzionarie di Filippo Buonarroti. In tale veste il primo pensiero del F. fu quello di affrettare il processo di disgregazione del gruppo del Buonarroti (da lui criticato, a quanto sembra, non tanto per il suo classismo quanto per una presunta smania di protagonismo) e di orientarne gli elementi di punta verso l'adesione al programma mazziniano; quando gli parve opportuno, il F. non esitò a fare, per sua stessa ammissione, "un pochetto l'intrigante" (Saitta, p. 224), e forse fu per questo che nel febbraio del 1833 il Mazzini lo sostituì con L. A. Melegari. Espulso successivamente dalla Francia al pari di altri democratici italiani, il F. passò in Svizzera e nel febbraio 1834 prese parte col grado di capitano alla spedizione di Savoia guidata da G. Ramorino. Il carattere del tutto improvvisato di questa azione dovette far nascere in lui i primi dubbi sulla possibilità che il mazzinianesimo colmasse mai la distanza tra la teorizzazione dell'unità nazionale (e della funzione iniziatrice dell'Italia nel moto di rigenerazione dell'Europa) e la concreta capacità di operare anche militarmente per tradurre in atto tali premesse.
Quasi a marcare questa prima divergenza dai metodi della Giovine Italia, il F., dopo un soggiorno di qualche mese a Berna dove nel giugno avanzava istanza di rinvio dell'espulsione decretatagli dalle autorità svizzere, nel novembre dello stesso 1834 raggiunse la Spagna e si stabili a Barcellona. Divampava allora la guerra civile tra carlisti e cristini, e il F., preso contatto col genovese G. Borso di Carminati che aveva creato quel reggimento di Cazadores de Oporto in cui molti altri esuli italiani avrebbero compiuto il loro apprendistato militare al servizio della causa dei costituzionali, fu per due anni addetto allo stato maggiore del corpo. In questa posizione, al di là delle operazioni militari che lo videro attivo tra la Catalogna, la zona di Valencia e l'Aragona, egli stabilì una fittissima trama di conoscenze riuscendo a proporsi come il perno di una colonia di fuorusciti che attorno a lui ruotava per le comunicazioni con l'Italia e i rapporti con le centrali della cospirazione: interessi, questi, rispetto ai quali la stessa presenza nelle vicende belliche della Spagna restava secondaria.
Uomini come M. Fanti, E. Cialdini, D. Cucchiari, i fratelli Giacomo e Giovanni Durando, N. Ardoino, C. A. Bianco di Saint-Jorioz si legarono allora al F. e ne riconobbero le qualità di sagace e paziente organizzatore. Malgrado il distacco dal Mazzini era infatti rimasto molto vivo in lui l'ideale della lotta per l'indipendenza italiana, così come - ed era questo il frutto più importante di questa parentesi spagnola - si era rafforzata la convinzione che solo un'adeguata preparazione militare avrebbe avviato a soluzione la questione nazionale. Ai suoi compagni di esilio il F. sapeva far intravedere come prossimo il momento dello scontro decisivo con gli Austriaci. e nei piani di intervento da lui predisposti era individuato nel Regno meridionale e particolarmente in Sicilia il punto in cui sarebbe stato più agevole iniziare l'azione insurrezionale che avrebbe innescato la guerra nazionale.
Quando nell'estate del 1837 proprio la Sicilia fu teatro di alcune sollevazioni, il F. si affrettò a trasferirsi a Malta, a ciò spinto in parte dalla speranza di utilizzare a vantaggio della democrazia il momento di crisi dei Regno borbonico, in parte dal timore - condiviso dal Mazzini - che tra quei fermenti prendesse sempre più piede il sentimento del separatismo isolano. Da questo momento, tuttavia, i rapporti col Mazzini, che da circa un anno aveva ripreso i contatti epistolari col F., presero lentamente a deteriorarsi, fino a che il F. decise di procedere per la propria strada, pur conservando nella teoria mazziniana un punto di riferimento ideale.
In effetti il F. aveva lasciato la Spagna con la promessa che, al primo profilarsi di un moto rivoluzionario, gli uomini di Borso sarebbero tornati in Italia per dare il loro contributo alla lotta. Ma tra la fine del 1837 e l'inizio del 1838 le lettere del Mazzini gli rivelarono una sua forte sfiducia nell'azione armata, l'ostilità verso ogni progetto di spostamento verso il Sud (e in particolare verso la Sicilia) del baricentro dell'iniziativa insurrezionale, e, in ultimo, espressa con toni sconsolati, la certezza che la sola cosa da fare fosse l'educazione del popolo.
Nasceva così la Legione italica, organismo che pretendeva di porsi rispetto alla Giovine Italia (che nell'estate del 1839 il Mazzini avrebbe rilanciato proprio per recuperare la perduta centralità) come il braccio rispetto alla mente: autoattribuendosi la direzione militare del moto futuro, il F. riservava al Mazzini compiti di pedagogo nazionale.
Primo effetto del distacco era il trasferimento del terreno d'operazione dal Nord al Sud e dalle città alle campagne. Dettata da considerazioni militari e strategiche, corroborata dalla sicurezza dell'esistenza nel Meridione di una situazione oggettivamente rivoluzionaria, argomentata allora e in seguito in tutta una serie di scritti e circolari con uno stile farraginoso e contorto, la scelta del Sud fu subito avversata dal Mazzini che respinse tutte le profferte di collaborazione fattegli pervenire dal F. a Londra nell'estate del 1839 per mezzo del fratello Paolo. Dicendosi pessimista sulla vocazione rivoluzionaria del Mezzogiorno, il Mazzini coglieva nella separazione del pensiero dall'azione il limite massimo dell'impostazione fabriziana, adombrando anche nel costituirsi di una casta di militari di professione, disponibili per ogni politica, il rischio cui la Legione italica avrebbe esposto il movimento unitario. Quanto meno dava da pensare l'indeterminatezza ideologica della nuova organizzazione e la conseguente riduzione del Risorgimento a problema cospirativo-militare.
Per quanto scongiurata dal Mazzini, la rottura tra le due linee si produsse, e a nulla valsero le pressioni fatte esercitare sul F. da compagni di fede quali F. Campanella e G. Lamberti o addirittura da persone a lui care, come Polissena Menotti. Tra il 1839 e il 1841 il programma insurrezionale della Legione fece proseliti nella Sicilia orientale, nel Napoletano, in parte della Toscana, nelle Romagne; da Malta, e poi da Bastia dove nel 1839 si era ricongiunto alla madre e al fratello Luigi, il F. fu instancabile nel legare a sé una fitta rete clandestina che, in città come Messina e Catania, si articolò in comitati segreti. Il verbo unitario penetrò così anche là dove da sempre trionfava l'idea del separatismo: ma la non risolta antitesi col mazzinianesimo, rimasta sullo sfondo e più volte ritornante nella polemica che divideva i due schieramenti, restava comunque per la Legione un fattore di estrema debolezza.
La scelta politica del F. è stata variamente interpretata dalla storiografia. E. Morelli, analizzando le varie fasi del dissidio, ha osservato che "il Fabrizi praticamente sospese la sua organizzazione al riapparire della Giovine Italia" (G. Mazzini..., p. 29); il Berti, pur senza metterne in dubbio patriottismo e lealtà, ha visto in lui "l'uomo di un'idea sola" (p. 543), l'idea dell'iniziativa meridionale, e, limitando anche troppo i contenuti etico-politici del suo progetto, ha sottolineato come esso capovolgesse le priorità assegnate al Nord dal Mazzini; il Della Peruta ha invece sostenuto che nel disegno del F. "non va vista una volontà di rottura con Mazzini" (p. 286) e che il disaccordo tra i due "non si tramutò però in guerra aperta" (p. 349), mettendo dunque in evidenza la presenza di molteplici motivi mazziniani nei Pensieri originatori della Legione Italica, il testo base diffuso clandestinamente in edizione litografata tra il 1838 e il 1839. Tuttavia, si trattasse di rottura, scisma o ricerca di autonomia, va detto che la posizione del F. comportò un recupero di metodi e frasario cospirativi ormai superati e un impoverimento ideologico e culturale del movimento rivoluzionario, specie nel Sud (il Romeo ha parlato di "latitudinarietà"); né va dimenticato che la Legione, per quanto bene strutturata, subì l'ostruzionismo decretatole dal Mazzini, fu afflitta da perenne mancanza di fondi e non sfuggi alla sorveglianza austriaca, tutti elementi, questi, che la portarono a fallire proprio su quel terreno insurrezionale dove aspirava a superare lo stallo della Giovine Italia. Cosi prima del 1848 i militari italiani non ebbero occasione di tornare dalla Spagna; il progetto d'uno sbarco in Calabria o quello alternativo, e più caro al F., d'una sollevazione in Sicilia, non si realizzarono mai; quanto al moto tentato in Romagna nel 1843 con diramazioni in Toscana e nei Ducati, col suo insuccesso rafforzò il Mazzini nella convinzione che non le bande dovessero partorire la rivoluzione - come si era tentato di fare - ma che la rivoluzione una volta scoppiata dovesse sostenersi con le bande, con ciò intendendo che i collaboratori del F. (il fratello Paolo, I. Ribotti, L. Zambeccari che aveva cercato un accordo coi moderati napoletani, e poi L. C. Farini e i fratelli P. e S. Muratori) per puntare sulla forza avevano trascurato il lavoro di penetrazione nelle masse: donde la sconfitta.
Un'altra vicenda molto negativa - pur se portò ad una ripresa della collaborazione tra il Mazzini e il F. sulla base del comune desiderio di contrastare la marea montante del moderatismo - fu il tragico tentativo dei fratelli Bandiera, inseriti sin dal 1842 nella trama rivoluzionaria pur dopo essersi rifiutati di confluire con la loro società, l'Esperia, nella Legione italica.
Dopo la diserzione dalla marina veneta i Bandiera, convinti anch'essi delle inclinazioni rivoluzionarie del Sud, si apprestarono da Corfù a sbarcare sulle coste dell'Italia meridionale. Questa volta anche il F. giudicò il progetto avventato e suscettibile di compromettere piani da tempo in preparazione: perciò il 15 maggio 1844 scrisse ad E. Bandiera invitandolo a non essere precipitoso: "Non solo non approvo né intendo cooperare; ma intendo aver solennemente dichiarato il mio più aperto disparere dal fatto della natura che esprimete..." (Palamenghi-Crispi, Mazzini. Epist. ined., p. 83). Le delusioni passate avevano però reso avveduto lui, non i Bandiera, il cui sacrificio lasciò comunque un'ombra sullo stesso F., fatto oggetto insieme coi fratelli di sospetti e recriminazioni, e costretto poi a pagare il prezzo politico della cessazione delle attività della Legione italica.
Amareggiato, si trasferì da Malta a Bastia (febbraio 1945) e si ricollocò nell'antica subordinazione ad un Mazzini non meno in crisi, ora che l'opinione pubblica sembrava orientarsi verso la prospettiva riformistica. Unica strada che restasse aperta ai repubblicani era quella di inserirsi nel flusso di agitazioni pacifiche per fare emergere, con l'indicazione di obiettivi sempre più radicali, i limiti e le contraddizioni della linea moderata e della sua aspirazione più avanzata, una lega fra i principi a fini esclusivamente indipendentistici. Risultando nell'autunno del 1847 la Toscana la regione, per condizioni interne e per complicazioni internazionali, più percorsa da fremiti di insoddisfazione, il F. con G. La Cecilia e il Ribotti si portò a Livorno per cercare di dare uno sbocco antiaustriaco allo scontento popolare. La mossa fu però vanificata dal moderato ministro dell'Interno C. Ridolfi, il quale represse le agitazioni e il 14 genn. 1848 lo espulse.
Il F. respinse la misura chiedendo un regolare processo, e trovò disposti ad aiutarlo il democratico livornese E. Mayer e il Montanelli il quale, in nome delle violate libertà individuali, espresse una fiera protesta sul numero del 25 genn. 1848 dei giornale L'Italia, da lui diretto. Sia il Mayer sia il Montanelli, tuttavia, avevano nel frattempo palesato al F. l'intenzione di mirare, come scriveva il secondo, non "a rovesciamento di troni, ma a fondare larghe istituzioni liberali, e a creare una forza nazionale" (Montanelli al F., 19 genn. 1848: Sambuy, p. 838); e tale orientamento poco battagliero persuase il F., una volta ottenuta la revoca formale dell'espulsione, a lasciare la Toscana.
Intanto la rivoluzione siciliana, iniziata a Palermo, era dilagata in tutta la Sicilia: l'uomo che per anni aveva predicato l'iniziativa meridionale si affrettò allora a seguire il Ribotti a Messina, che con la cittadella presidiata dalle truppe regie era un po' il cuore delle operazioni militari nell'isola. Il governo provvisorio gli riconobbe il grado di colonnello e lo impiegò subito - scriverà poi a G. Galletti - "in tutte le accidentalità della guerra" (lettera del 28 marzo 1848, Museo centrale d. Risorg., b. 518/15), affidando paradossalmente a lui unitario la difesa della causa separatista. Forse avvertendo tale contraddizione, certo deluso dalla scelta monarchica compiuta dai moderati siciliani, appena seppe delle insurrezioni dal Lombardo-Veneto il F. si rimise in viaggio: in una situazione molto fluida si faceva strada in lui l'idea che tutto il movimento nazionale si dovesse concentrare in Roma dove la personalità di Pio IX avrebbe consentito il superamento delle discordie interne. Anche dopo l'allocuzione del 29 aprile restò in lui il convincimento, espresso ad un anonimo amico, che il Mazzini sbagliasse "a fare dell'unitarismo a Milano" e che Roma dovesse restare il fulcro dell'azione per ragioni tanto strategiche che storico-morali (lettera det 21 maggio 1848, in Museo centrale d. Risorg., b. 518/15/16).
Le fasi iniziali della guerra federale lo avevano richiamato al Nord riportandolo per qualche giorno nella città natia che, per decisione del governo provvisorio, lo nominava inviato straordinario presso il corpo di spedizione del generale G. Pepe, amico di vecchia data del F. e suo predecessore nella formulazione di una iniziativa rivoluzionaria del Sud. La missione, svoltasi tra maggio e giugno 1848, aveva lo scopo di convincere il Pepe, allora a Ferrara, a porre le truppe napoletane al servizio del governo modenese; fu invece il F., dopo che Modena aveva optato per la fusione col Piemonte, a seguire il Pepe a Venezia dove, come colonnello addetto allo stato maggiore, si occupò della creazione di una forza locale di difesa. Avvalendosi dei suoi antichi contatti col mondo settario reclutò qualche elemento nelle Romagne (settembre 1848), ma la guerra all'Austria richiedeva ben altro; così il 15 ottobre D. Manin lo inviò in missione in Toscana e a Roma per trattare la formazione di un esercito comune. Tra il novembre '48 e il gennaio '49 il F. rivide a Firenze il Montanelli, che accettò l'idea di un concentramento di truppe a Bologna; la stessa proposta, presentata al governo romano, fu però superata dall'invasione francese che "assorbì ogni cura di quel Governo, e fece richiamare la maggior parte delle sue forze alla difesa della Capitale" (come scriveva il F. a ignoto, 29 luglio 1849, Museo centrale d. Risorg., b. 518/14/13). Lo stesso F. a quel punto ottenne dal Pepe di poter restare a Roma come ufficiale di collegamento presso il comando delle truppe romane. Combattente a Velletri contro i Napoletani, alla vigilia della capitolazione propose inutilmente, d'accordo con C. Pisacane e in opposizione al progetto garibaldino di abbandono militare di Roma, di "tener ricucita la forza, se non altro ad imbarazzare l'entrata dei Francesi, a protezione e rispetto del decoro dell'armata e del paese" (ibid., b. 518/14/14).
Iniziò così il secondo esilio del F. che, vistosi negare il permesso di sbarcare a Malta, prese stanza a Bastia. La riflessione sul recente passato lo portava a meditare, oltre che sulla scarsa maturità militare del Garibaldi, anche su talune responsabilità del Mazzini, rispetto al quale restavano dunque valide le ragioni di una certa autonomia dottrinale e l'ipotesi di un rilancio dell'iniziativa meridionale, una scelta avvalorata (e presto condivisa da personaggi quali il Pisacane e, in parte, dallo stesso Mazzini) dalla necessità di fronteggiare le conversioni al moderatismo di molti esponenti della democrazia. Pur non dando troppa importanza al murattismo, che riteneva enfatizzato dalla "passività colla quale se ne accetta per reale un valore ipotetico" (cfr. Bartoccini, p. 89), il F. tendeva a sua volta a sfumare la pregiudiziale repubblicana con la scelta tattica della "bandiera neutra", ma riaffermava il carattere irrinunciabile della soluzione unitaria. Intanto da Malta, ove era stato riammesso nel 1853, rimetteva in moto la collaudata macchina cospirativa, puntando questa volta, dopo che la repressione borbonica ebbe disarticolato la rete siciliana, sul collegamento con elementi napoletani.
Di questa fase tra il 1854 e il 1857 resta, ed è molto importante come fonte, il carteggio del F. con R. Pilo da una parte, col Comitato di Napoli dall'altra. Le lettere al Pilo, spesso prolisse e tortuose, offrono la testimonianza di un F. molto scettico sul ruolo nazionale del Piemonte e sempre attratto dal miraggio del Sud; quelle al Comitato napoletano presentano un F. più autentico, il tenace costruttore di piani insurrezionali spesso incline ad illudersi e a giocare un lavoro di anni per qualche pallida speranza di riuscita. Stimolato da un Pisacane più impaziente di lui e seguito da un Mazzini esitante, il F. fu tra i più colpiti dal tragico esito della spedizione di Sapri anche perché si trovò nella scomoda posizione di chi aveva ancora una volta sbagliato i calcoli. Non a caso qualche anno dopo, divampando aspre polemiche tra alcuni dei superstiti, il F. con un opuscolo su La spedizione di Sapri e il Comitato di Napoli. Al generale Garibaldi (Napoli 1864) avrebbe tentato opera di conciliazione e mostrato il vivo desiderio che il passato non fosse dissepolto.
Nel 1859, di fronte alle prospettive aperte dall'alleanza franco-sarda, l'atteggiamento del F. non parve discostarsi molto da quello del Mazzini; in realtà ad A. Mordini confidava il 24 marzo 1859 di non ritenersi più "esclusivo repubblicano" ma "esclusivo nazionale" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Fondo Fabrizi, scatola 1/5/42), adombrando l'inizio d'una evoluzione che presto lo avrebbe avvicinato alla monarchia costituzionale. L'esito del conflitto gli lasciò un senso d'insoddisfazione profondo; per superarlo entrò in contatto, una volta tornato a Modena, col dittatore L. C. Farini, da cui ottenne fondi per una iniziativa rivoluzionaria che, colpendo il Regno meridionale, portasse al compimento dell'Unità anche contro la volontà di Napoleone III. D'intesa col Crispi, il F. avviò la consueta procedura di raccolta di armi e di collegamento col movimento clandestino siciliano; poi però, tra fine 1859 e inizi 1860, si mostrò molto esitante e restio ad erogare i fondi ricevuti, tanto da provocare i pesanti rimbrotti di un Mazzini peraltro subito pronto a scusarsi per "qualche espressione che sembra implichi dubbio e non implica se non desiderio vivissimo che si faccia..." (Scritti, LXVII, p. 90).
Nonostante i 23 anni di "teoria esclusiva" a favore di un moto nel Sud (a Mazzini, 25 genn. 1860, Museo centrale d. Risorg., b. 511/27/19), alla vigilia della spedizione dei Mille il F. non era affatto tranquillo, memore forse di quanto avvenuto solo tre anni prima. R probabile che, come avrebbe in seguito sostenuto, il celebre telegramma cifrato da lui inviato da Malta il 26 aprile per sollecitare Garibaldi alla partenza e letto invece come un invito a sospendere ogni iniziativa per l'insuccesso del moto palermitano fosse stato interpretato male; ma anche a spedizione iniziata la condotta del F. risentì di qualche sfasatura - un suo carico d'armi per gli insorti non giunse mai a destinazione - e presto si ingenerò in lui la certezza di essere "il più sfortunato uomo che abbia potuto idearsi" (al Crispi, 22 maggio 1860, ibid., b. 521/47/1).
Lasciata finalmente Malta il 1º giugno con una ventina d'esuli siciliani, il giorno dopo il F. sbarcò a Pozzallo, presso Ragusa; di qui si portò a Catania dove giunse il 20 giugno, e nella marcia di avvicinamento alle-truppe garibaldine la sua colonna, che fu detta dei Cacciatori del Faro, raccolse circa 300 uomini. La disciplina e il valore di cui essa, inquadrata nella 15a divisione, diede prova nei combattimenti di Cariolo e di Santa Lucia vicino Milazzo (16 luglio) e poi all'assedio di Messina furono molto apprezzati da Garibaldi che, al momento di varcare lo Stretto, promosse il F. al grado di generale d'armata, assegnandogli quindi, ai primi di agosto, il comando militare di Messina.
In verità il F., allora in urto con G. Medici, avrebbe preferito passare sul continente. Erano quetli i giorni in cui l'Abba, vedendolo, gli dedicava espressioni tali ("Semplice, non mai accigliato, pare che spanda intorno un'aura di benevolenza; passa e si vorrebbe mettersi a camminargli dietro...") da spiegare il fascino che la sua figura da condottiero biblico avrebbe sempre esercitato sui contemporanei.
A metà settembre entrò come ministro della Guerra nel governo del nuovo prodittatore A. Mordini, il quale avendo di fronte, oltre al problema militare della riorganizzazione dell'esercito del Sud, anche quello politico dell'annessione, diversamente dal predecessore A. Depretis cercò di lasciare ogni decisione in materia ad una Assemblea siciliana liberamente eletta. Fallita questa linea e celebratosi il plebiscitO, il 30 nov. 1860 il governo prodittatoriale si sciolse e il F. tornò a Malta. Nelle elezioni dell'11 gennaio 1861 fu sconfitto (collegio di Augusta), e ciò accrebbe in lui la sfiducia verso una Sinistra che gli appariva come disorientata, affrancata dal Mazzini ma ancora incapace di affermarsi come forza politica alternativa. Personalmente, dopo essersi dimesso anche dall'esercito meridionale, credeva di aver fatto i conti con il passato "ma rispettoso accettando lealmente - scriveva all'editore del Malta Times - la sovranità della nazione in ogni parte ove essa ne ha pronunciati i destini, senza rinunziare a quella libertà di opinione cui aprono via di ragione o di diritto le libere istituzioni" (Scirocco, I democratici..., p. 171).
In effetti il F. era diviso tra due orientamenti non facilmente conciliabili ma ugualmente sentiti: il compimento dell'Unità per mezzo della rivoluzione e il rafforzamento delle istituzioni. Nel 1861 perseguire il primo di questi obiettivi voleva dire schierarsi con Garibaldi; per il secondo il F. ebbe un punto di riferimento in E. Cialdini, antico compagno di cospirazione, poi commilitone nell'esilio spagnolo, infine generale assai vicino a Vittorio Emanuele II.
Questa amicizia del F. col concittadino Cialdini, rinsaldata dalla comune avversione per l'invadenza e le pretese accentratrici del ceto dirigente subalpino, getta una luce nuova su alcuni aspetti della realtà italiana postunitaria e indica una delle strade seguite dalla Sinistra nella marcia verso la propria parlamentarizzazione. Nell'estate del 1861, ad esempio, col Cialdini luogotenente a Napoli alle prese col problema del brigantaggio, fu il F. che gli garantì ("un po' troppo", avrebbe osservato G. Nicotera [Capone, L'opposiz. merid., pp. 104 s.]), l'appoggio delle forze sociali legate alla Sinistra, ricevendo in cambio, oltre alla carica di ispettore generale della guardia nazionale mobile in Basilicata, Terra di Lavoro e Principato citeriore, l'emarginazione dell'elemento exborbonico e assai vaghe promesse di adesione al programma garibaldino. Fu un accordo di vertice, che non puntò ad una soluzione dei veri mali del Sud ed ebbe invece di mira la neutralizzazione delle spinte centrifughe insorte soprattutto dopo la morte del Cavour; in questo e per questo già da allora il F. si segnalava tra i collaboratori del Garibaldi come colui cui stava più a cuore frenarne gli eccessi.
Nel 1862 il F., dal dicembre del 1861 eletto al Parlamento nel collegio di Trapani, scese in Sicilia con altri tre colleghi (G. Cadolini, S. Calvino e il Mordini) per far desistere Garibaldi da un tentativo che a suo giudizio lo avrebbe posto fuori legge ridando per di più fiato al separatismo isolano. La missione fallì, ma al ritorno a Napoli il F., il Mordini e il Calvino, accusati di essere coinvolti nel progetto rivoluzionario conclusosi sull'Aspromonte, furono arrestati per ordine del La Marmora, che si può supporre volesse lanciare in tal modo un segnale al non amato Cialdini.
Detenuto fino al 6 ott. 1862 nel napoletano Castel dell'Ovo, il F. si difese sostenendo che era andato in Sicilia solo in nome della pacificazione nazionale: "se avessimo avuto altro scopo da perseguire avremmo nascosta la medaglia di deputati e vestita la camicia rossa, non nuova alle nostre spalle" scrisse con fierezza al suo difensore P. S. Mancini (Palamenghi Crispi, Carteggi polit. ined., lett. del 4 ott. 1862, p. 168). Concetti simili espresse dopo la scarcerazione per amnistia in un discorso alla Camera il 27 nov. 1862 in cui "fece stupendamente la parte sua, e fu ascoltato con religiosa attenzione", annotò in quella circostanza il repubblicano G. Asproni, che in seguito non gli avrebbe risparmiato giudizi anche molto duri, arrivando fino a metterne in dubbio la lucidità mentale. Il fatto è che per l'Asproni, come già per il Mazzini, la lotta andava portata fuori dalle aule parlamentari e rivolta contro quelle istituzioni la cui funzione appariva, invece, al F. insostituibile anche quando votava contro la convenzione di settembre e firmava gli ordini del giorno contro i governi della Destra. Finché poté, tuttavia, il F. evitò di schierarsi nettamente; ma nel 1865, al tempo della polemica Mazzini-Crispi, dopo avere invano tentato di sopire il contrasto, dovette scegliere e si pronunciò per il Crispi, del quale, condividendone in pieno le scelte filomonarchiche, presto sarebbe stato considerato un seguace quasi passivo. In realtà, rispetto al Crispi e al Mordini il F. mantenne qualche remora ideologica, che era più che altro di origine sentimentale e derivava dal suo ideale di una grande Sinistra in cui avrebbe visto volentieri anche Mazzini e la sua pattuglia. Ciò gli attirò nuovi strali polemici dell'Asproni che lo raffigurava come una cariatide della democrazia, e nel 1866, al tempo della guerra contro l'Austria dal F. combattuta come capo di stato maggiore dei volontari garibaldini, bollò in lui quella che gli appariva la degenerazione di un passato glorioso, capace di riproporsi ormai solo nelle forme del narcisismo. Eppure nel F. era ancora assai vivo l'attaccamento all'ideale unitario, tanto che la campagna del 1867 lo vide (ancora come capo di stato maggiore) occuparsi prima a Terni degli aspetti logistici della spedizione (e il contatto col Crispi gli garantiva un canale di comunicazione con U. Rattazzi, presidente del Consiglio), poi vicino a Garibaldi dal 30 ottobre alla sfortunata giornata di Mentana quando, scriverà il Guerzoni, "sereno e impassibile in mezzo alle palle implorava pochi istanti di resistenza" (Garibaldi, II, p. 542). Tra l'altro la partecipazione a questo tentativo lo pose in urto col Cialdini che gli avrebbe rimproverato l'adesione ad una iniziativa suscettibile di compromettere, provocando l'intervento francese, l'indipendenza stessa dello Stato. Eppure alla vigilia della crisi di Mentana il F. aveva mediato tra il Cialdini e il Mordini per la formazione di un governo d'unità nazionale, quasi prevedendo quell'esito sfortunato che in una successiva relazione scritta avrebbe attribuito per un verso alle diserzioni dei volontari, per l'altro al fallimento della progettata insurrezione romana.
Poi cominciò un lento declino. Sempre eletto al Parlamento dalla IX alla XV legislatura in rappresentanza di Modena, sempre molto attivo nella Sinistra, sempre vicino al Crispi nella vita parlamentare (ad es., all'atto del voto contro il macinato o per l'inchiesta sulla Regia cointeressata dei tabacchi o, nel 1871, nell'opposizione alla legge delle Guarentigie), il F. col tempo aveva guadagnato in autorevolezza ed incisività. Basta citare gli episodi del 1870, quando con una lettera a stampa invitò i colleghi della Sinistra a vigilare sulle esitazioni del governo in merito alla liberazione di Roma, o del giugno 1874, quando partecipò alla stesura del programma di governo con cui la Sinistra si candidava alla guida del paese. Più notevoli ancora sarebbero stati l'opposizione risoluta al Depretis e, più tardi, l'appoggio al primo ministero Cairoli - in ciò divergendo dal Crispi - e il discorso alla Camera del 29 apr. 1881 che, facendo seguito ad una prima presa di posizione antifrancese e preannunciando l'astensione sul voto di fiducia al governo Cairoli per la crisi tunisina, sosteneva la necessità di una politica estera meno rinunciataria ed auspicava sostanzialmente l'alleanza con la Germania. Partendo da tali tesi il F. avrebbe, come altri osservatori del tempo, dedicato una riflessione al problema militare (e fu questo l'ultimo suo intervento scritto di un certo rilievo, con l'opuscolo Della difesa nazionale e delle spese militari, Roma 1882) per chiedere una politica più rigorosa e adeguata alle nuove aspirazioni dell'Italia e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di potenziare l'apparato difensivo anche nel Meridione, quasi ad attestare una presenza più attiva nel Mediterraneo.
Sul finire della vita, con la graduale scomparsa di tutti gli antichi compagni di lotta, il Risorgimento si fece in lui culto di valori patriottici da lasciare ai giovani. Ai suoi ricordi e al suo archivio attingevano spesso gli studiosi, e il F. poteva trarre dal suo passato la testimonianza preziosa per i primi biografi del Mazzini o del Fanti, per lo storico del 1831 o l'indagatore della spedizione di Sapri: non sempre preciso e puntuale, aveva però assai forte il senso dell'impegno e dei sacrifici occorsi per liberare il paese ed unificarlo. Poco prima di morire volle da Modena farsi portare a Roma, ove si spense il 31 marzo 1885.
Fu poi seppellito a Modena nella tomba di famiglia, e tra i tanti che lo commemorarono alla Camera va ricordato il Crispi che, dopo averne celebrato la lunga milizia, non mancò di sottolineare l'assoluto disinteresse del F. e dellà sua famiglia nel porsi al servizio della causa nazionale. Lo stesso Crispi avrebbe presieduto il Comitato per il monumento nazionale a M. Fabrizi, costituitosi nell'aprile del 1885.
Fonti e Bibl.: Alla sua morte l'archivio del F., uno dei più ricchi tra quelli degli esponenti della Sinistra risorgimentale, finì al Crispi e da questo al nipote Tommaso Palamenghi Crispi che ne utilizzò il materiale di più immediato richiamo per i periodici Roma (1898-1899), Rivista di Roma (1900-1902) e Riv. stor. del Risorgimento ital. (1913). L'archivio si divise quindi in vari tronconi, il più consistente dei quali passò nel 1936 al Museo centr. del Risorgimento di Roma (un totale di circa 6.000 carte divise in 19 buste, su cui cfr. E. Morelli, I fondi archivistici del Museo centr. d. Risorgimento. L'archivio di N. F., in Rass. st. d. Risorgimento, XXV [1938], pp. 553 ss.; per un altro spezzone acquisito nel 1964 cfr. Id., I fondi archivistici..., XXXIII, Italiani in Corsica: i Fabrizi, C. Pigli, A. S. Padovani, ibid., LVII [1970], pp. 461-464). Altri blocchi di carte dei F. furono inoltre versati all'Archivio centr. dello Stato di Roma (Fondo Fabrizi, scatole 1-4, con corrispondenza e minute relative agli anni 1857-1863), presso la Biblioteca comunale di Forlì (Raccolta Piancastelli), presso la Biblioteca Estense di Modena e la Società siciliana di st. patria di Palermo.
La posizione centrale avuta dal F. nel Risorgimento fa sì, inoltre, che sue lettere si trovino in tutti i fondi archivistici lasciati da esponenti della Sinistra ovvero risultino edite in molte raccolte di fonti; in proposito tra i titoli principali si segnalano: L. De Monte, Cronaca del Comit. segr. di Napoli sulla spedizione di Sapri..., Napoli 1877, passim; B. E. Maineri, D. Manin e G. Pallavicino. Epistolario politico, Milano 1878, pp. LVI-LIX, 538 s.; N. Fabrizi, In morte di L. Bacciolani al maggiore A. Damiani, s. l. né d.; G. Pupino Carbonelli, N. Mignogna nella storia dell'Unità d'Italia. Con lettere ined...., Napoli 1889, pp. 143, 155, 166-173; N. Bernardini, Per le nozze Celano-Del Vasto. Lettere ined. di N. F., Lecce 1892; G. Sforza, L'espulsione di N. F. dalla Toscana nel 1848, in Riv. st. d. Risorgimento it., II (1897), pp. 454-460; N. Fabrizi, Lettera a T. Sandonnini, in Arch. emil. d. Risorgimento naz., II (1908), pp. 13-19; F. Crispi, I Mille..., Milano 1911, ad Indicem; T. Palamenghi Crispi, Carteggi polit. ined. di F. Crispi, Roma 1912, passim; V. Azzariti, Lettere ined. del generale N. F., Molfetta 1914; T. Palamenghi Crispi, N. F., C. Pisacane, R. Pilo. Nuovi docc, in Il Risorg. it., VII (1914), pp. 321-408, 526-544; F. Crispi, Lettere dall'esilio (1850-1860), a cura di T. Palamenghi Crispi, Roma 1918, ad Indicem; L. Rava, N. F., F. Crispi e L. C. Farini nella preparaz. della spediz. dei Mille, in Rass. st. d. Risorgimento, XVIII (1931), Suppl., 1, pp. 360-368; E. Michel, Lettere corse di N. F., in Arch. st. di Corsica, XVII (1941), pp. 503 ss.; Id., N. F. ed E. Conneau, ibid., XVIII (1942); A. Saitta, F. Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita, Roma 1950, II, pp. 223 ss.; A. De Stefano, Lettere di N. F. a R. Pilo, 2 voll., Palermo 1956-1961; L. Marchetti, Le carte di A. Bertani, Milano 1962, ad Indicem; G. Luseroni, Ilviaggio di N. F. dalla Toscana alla Sicilia nel febbraio 1848. Lettere a G. Montanelli, in IlRisorgimento, XXVIII (1976), pp. 195-203; G. Greco, Le carte del Comit. segr. di Napoli (1853-1857), Napoli 1979, ad Indicem.
Tra le numerose raccolte di fonti contenenti materiale riferibile al F. cfr. in particolar modo: S. Mirone, Ricordi polit., Torino 1872, pp. 7 s.; J. White Mario, Della vita di G. Mazzini, Milano 1885, pp. 167 s., 199 s., 276 ss., 288 s., 366 ss., 396, 398, 421; A. Lineker, La vita e i tempi di E. Mayer, Firenze 1898, ad Indicem; G. Canevazzi, Ricordanze di L. Generali, in Arch. emil. d. Risorg. naz., I (1907), pp. 101, 111, 113, 15; G. Garibaldi, Scritti polit. e milit...., a cura di D. Ciampoli, Roma [1907], ad Indicem; A. Luzio, I fratelli Bandiera, in Studi e bozzetti..., Milano 1910, II, p. 359; G. E. Curatolo, Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, Verona 1911, ad Indicem; T. Palamenghi Crispi, G. Mazzini. Epist. ined. 1836-1864, Milano 1911, ad Indicem; Id., Gli Italiani nelle guerre di Spagna, in Il Risorgimento it., VII (1914), pp. 45-122, 161-208; G. Sforza, Ildittatore di Modena B. Nardi e il suo nepote Anacarsi, Roma-Milano 1916, ad Indicem; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, Imola 1906-1943 (per la consultaz. si rinvia a Indici, II, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen); Protocollo della Giovine Italia. Congrega centr. di Francia, 6 voll., Imola 1916-1922, ad Indicem; M. Rosi, A. Mordini critica il "mazzinianismo"... (lett. al F.), in Il Risorg. it., VII [1914], pp. 481-509; F. Orsini, Lettere, a cura di A. M. Ghisalberti, Roma 1936, ad Indicem; C. Pisacane, Epistolario, a cura di A. Romano, Milano-Napoli 1937, ad Indicem; Le carte di G. Lanza, a cura di C. M. De Vecchi di Val Cismon, III, Torino 1936, p. 93; XI, ibid. 1943, p. 72; G. La Cecilia, Mem. storico-politiche, a cura di R. Moscati, Roma 1946, ad Indicem; G. A. Carbone, Alcune lettere inedite dal carteggio Pepe-F., in Nova Historia, 1952, pp. 648-652; Docc. dipl. it., I serie, 1861-1870, I, II e VI, Roma 1952-1981, ad Indices; La Repubblica veneta nel 1848-1849, II, Padova 1954, ad Indicem; C. Dossi, Note azzurre, Milano 1964, ad Indicem; R. Pilo, Lettere, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad Indicem; E. Morelli, Tra i democratici allo scadere del 1855, G. Medici e N. F., in Storiografia e storia. Studi in onore di E. Duprè Theseider, Roma 1974, pp. 1011-1016; G. Garibaldi, Epistolario, VI, a cura di S. La Salvia, Roma 1983, ad Indicem; G. Asproni, Diario polit., II-VI, Milano 1976-1983, ad Indicem; G. C. Abba, Ediz. naz. delle opere... Scritti garibaldini, I, Brescia 1983, pp. 411-420.
Quanto alle biografie, per il F. si può parlare più che altro di brevi profili anche abbastanza datati; i più utili sono i seguenti: G. Biancheri, N. F., in Annuario biograf. univ...., a cura di A. Brunialti, Roma-Napoli 1885, pp. 481-493; P. Messineo, Per la commemoraz. di N. F, Palermo 1885; G. G. Seraffini, N. F., Roma 1885; N. F., numero unico, Roma 1886; S. Mirone, Cenni storici del gen. N. F. ed alcune sue lettere, Catania 1886; C. Gojorani, N. F., Pisa 1888; E. Socci, N. F., in IlRisorgimento it. Biografie st. politiche, a cura di L. Carpi, IV, Milano 1888, pp. 121-142; T. Palamenghi Crispi, Ilgen. N. F. nel Risorg. it., in Rass. st. d. Risorg., XXII (1935), pp. 495-499; Diz. d. Risorgimento naz., III, sub voce; Enc. Ital., XIV, sub voce; G. Boccolari, N. F. cospiratore e combattente, in Figure modenesi del Risorg., Modena 1962, pp. 29-51; A. Barbieri, Modenesi da ricordare. Politici, diplomatici e militari, Modena 1973, pp. 46 s.; G. Gabrielli Rosi, N. F. Patriota del Risorg., in Riv. di archeologia, storia, economia e costume, VI (1978), pp. 35-44. Queste indicazioni si possono integrare con quelle fornite da F. Della Peruta, I democratici dalla Restauraz. all'Unità, in Bibliografia dell'età del Risorg. in onore A. M. Ghisalberti, I, Roma 1971, pp. 274 s., e da A. P. Campanella, G. Garibaldi e la tradiz. garibaldina, II, Ginevra 1971, ad Indicem. Relativamente aggiornato il profilo che si ricava dagli atti del convegno su N. F. patriota, cospiratore, deputato (1804-1885), in Rass. stor. toscana, XXXV (1989), pp. 77-145.
Alcuni saggi sono stati dedicati all'illustraz. di taluni momenti particolari della vita del F.: tra questi G. Sforza, L'espulsione di N. F. dalla Toscana, in Riv. st. d. Risorg. it., II (1897), pp. 454-460; E. di Sambuy, G. Montanelli, N. F. e i moti di Livorno del gennaio 1848, in Il Risorg. it., VII (1914), pp. 810-856; A. Monti, Lo scisma mazziniano del 1839-1840alla luce di un importantedoc. ined., in Rend. del R. Ist. lomb. di scienze e lettere, LVII (1924), pp. 291-301; E. Casanova, Professione di fede di N. F., in Rass. st. d. Risorg., XVII (1930), pp. 385-393; G. Natali, N. F. commissario del governo modenese presso il gen. G. Pepe (maggio-giugno 1848), in Saggi e docc. di storia del Risorg. it., Bologna 1933, pp. 41-70; A. Morselli, Polissena Menotti e N. F. (da un carteggio ined.), estr. da Memorie st. e docc. sulla città e sull'antico principato di Carpi, Carpi 1952; Id., N. F. in Sicilia dopo Garibaldi, in Aspetti e problemi del Risorg. a Modena, Modena 1963, pp. 291-299; Unità e democrazia nel Risorg., a cura di P. Bognoli, Firenze 1990, pp. 141-176.
Per un inserimento dell'attività del F. in un ambito politico-ideologico più vasto è però necessario rifarsi a studi più ampi; tra i maggiori si segnalano: G. Guerzoni, Garibaldi, Firenze 1882, ad Indicem; M. Rosi, Il Risorg. it. e l'azione di un patriota cospiratore e soldato, Torino 1906, pp. 33, 46, 48, 64, 85, 119, 121 s., 134 s., 138 s., 142, 144 s., 155 ss., 167, 177 s., 180 s., 238, 264 s., 271-289, 297, 313, 364; Id., I Cairoli, Torino 1908, ad Indicem; G. Sforza, La rivoluz. del 1831 nel Ducato di Modena, Roma-Milano 1909, ad Indicem; R. Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera, Milano 1909, passim; G. Ruffini, Le cospiraz. del 1831 nelle memorie di E. Misley, Bologna 1931, pp. 25, 29 s., 39 s., 52, 100, 111, 183, 227, 232, 310; C. Agrati, I Mille nella storia e nella leggenda, Milano 1933, ad Indicem; Id., Da Quarto al Volturno, Milano 1937, ad Indicem; E. Michel, Esuli it. in Corsica (1815-1861), Bologna 1938, ad Indicem; Id., Esuli it. in Tunisia (1815-1861), Milano 1941, ad Indicem; E. Morelli, G. Mazzini. Saggi e ricerche, Roma 1950, pp. 28-65; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, ad Indicem; L. Tomeucci, La guerra di Messina nel '48, IV, Messina 1953, pp. 55 s., 67; G. Carocci, A. Depretis e la polit. interna it. dal 1876al 1887, Torino 1956, ad Indicem; D. Mack Smith, Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino 1958, ad Indicem; F. Bartoccini, Il murattismo..., Milano 1959, ad Indicem; S. Mastellone, Mazzini e la Giovine Italia (1831-1834), Pisa 1960, ad Indicem; G. Berti, I democratici e l'iniziativa merid. nel Risorg., Milano 1962, ad Indicem; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1964, ad Indicem; A. Capone, G. Nicotera e il "mito" di Sapri, Roma 1967, ad Indicem; L. Cassese, La spediz. di Sapri, Roma 1969, pp. 10-32; A. Scirocco, I democratici it. da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969, ad Indicem; A. Capone, L'opposiz. merid. nell'età della Destra, Roma 1970, ad Indicem; A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1973, ad Indicem; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari it. Il "partito d'azione" 1830-1845, Milano 1974, ad Indicem; J. Ridley, Garibaldi, Milano 1975, ad Indicem; Correnti ideali e polit. della Sinistra it. dal 1849 al 1861, Firenze 1978, ad Indicem.