FASULO, Nicola
Nacque a Napoli 11 23 nov. 1754 e non l'11 nov. 1768 (come viene per lo più riportato), da Filippo, "antico uffiziale ingegnere, poi architetto civile" (D'Ayala), e da Celidea Vinacci.
La famiglia, di origine popolana, del sedile (quartiere) di S. Lorenzo, si era elevata economicamente, socialmente e culturalmente già alla fine del sec. XVII grazie all'esercizio della professione forense e delle magistrature statali da parte di molti suoi membri.
Seguì gli studi giuridici e nel 1785 era illustre avvocato con studio in alcune sue case a Regina Coeli; nello stesso periodo era fra i deputati del sedile di S. Lorenzo ("una specie di giurati che sedevano intorno ai giudici, mentre eravi magistrato un Moles", cfr. D'Ayala), dal 1787 al 1795 fu eletto presso il tribunale di S. Lorenzo (Municipio) e in seguito divenne consigliere del Sacro Regio Consiglio.
Grazie all'attività forense aggiunse ai beni della già facoltosa famiglia la casa e una villa in località Pirozzoli a Capodimonte, altre proprietà, anche onerose, come nel caso dei feudi devoluti di Carovigno e Serranova, venduti in allodio con decisione 30 maggio 1791 per 326.000 ducati (Rao, p. 70 n.); possedeva col fratello Giuseppe case e terreni che dava in affitto, un "palazzo", bassi, due masserie vicino Napoli, fittate a canoni abbastanza elevati. Il F. aveva anche altri beni a Portici e una grande casa "per villeggiatura" (Petraccone, p. 59), nonché grossi capitali investiti in arrendamenti, ma la maggior parte della sua rendita derivava da appartamenti.
La condizione di proprietario va sottolineata come dato caratterizzante di numerosi giacobini patrioti degli anni Novanta che, sotto l'influenza massonica, parteciparono alla cospirazione del 1793-94 e alla Repubblica del 1799; il F. infatti aderì alla Società patriottica di Carlo Lauberg e alla citata congiura giacobina, insieme coi fratelli Giuseppe e Alessio, e "fu a capo di un club a cui molti si iscrissero" (Croce, I lazzari..., p. 459).
La villa di famiglia ai Pirozzoli di Capodimonte fu luogo di riunione ove si dibattevano problemi filosofici e letterari ispirati alla cultura illuministica, e politici per il riflesso degli eventi rivoluzionari francesi. Scoperta la congiura, fu imprigionato il 27 febbr. 1795 a causa della sua amicizia con Luigi de' Medici, reggente della Vicaria, inviso alla regina Maria Carolina, anch'egli implicato e arrestato lo stesso giorno su denunzia di Annibale Giordano. Per quanto lo stesso F. fosse non gradito alla regina, quest'ultima cercò di attirarlo alla propria causa offrendogli un posto da magistrato. La manovra tuttavia non riuscì, anzi il processo durò a lungo, il casino di famiglia a Portici e la villa a Capodimonte furono controllati come centri di complotti politici per organizzare il salvataggio degli arrestati. Il F. rimase in carcere fino al gennaio 1799, allorché il tumulto popolare provocò la liberazione di tutti i detenuti, sia politici sia comuni.
Fuggito il re in Sicilia nel dicembre in quanto incapace di contrastare l'avanzata dei Francesi, dopo la caduta delle più importanti piazzaforti del Regno il vicario generale Francesco Pignatelli di Strongoli avozva concluso col generale J.-E. Championnet l'armistizio di Sparanise del 12 genn. 1799, col quale veniva ceduta la fortezza di Capua ed era concessa ai Francesi una contribuzione di 2.500.000 ducati; il popolo era perciò insorto assalendo i castelli e aprendo le carceri, non riconoscendo più l'autorità del vicario, costretto a fuggire anch'egli verso Palermo.Liberato insieme con molti patrioti e giacobini condannati dalle giunte di Stato negli anni precedenti, il F. si adoperò, in quel momento di grande anarchia, per facilitare l'ingresso dell'esercito francese che era alle porte della città. Si ricollegò sia con i patrioti esuli che, sotto la guida di C. Lauberg, accompagnavano il generale Cliampionnet, sia con i "generali del popolo" Girolamo Pignatelli, principe di Moliterno, e Lucio Caracciolo, duca di Roccaromana, ufficiali borbonici nominati dal popolo insorto; con essi i cospiratori napoletani formarono il "partito che in fine prevalse e a cui gli altri partiti si piegarono per timore del peggio" (Croce, I lazzari..., p. 460). Il F. fu a capo del comitato centrale di questo partito che si riuniva in via Atri e di cui fecero parte personaggi già inquisiti come giacobini negli anni precedenti, quali Prosdocimo Rotondo di Gambatesa, Michele La Greca, Domenico Bisceglia, Giuseppe Albanese di Noci e forse anche il medico Domenico Cirillo. Mentre essi si adoperavano per far occupare dai patrioti Castel Sant'Elmo, la plebe in città si dava a saccheggi e uccisioni contro i fautori dei Francesi.
La fama di "patrioti" (termine col quale nel 1799 si designavano i giacobini coinvolti nelle congiure degli anni precedenti) dei componenti della famiglia (i fratelli, ma anche la madre e la sorella Margherita) comportò, il 3 genn. 1799, che la casa in via Atri fosse presa d'assalto e saccheggiata, su delazione di un servitore, mentre vi erano riuniti in una cena patriottica i membri del comitato, che intendevano appunto organizzare l'occupazione a sorpresa di Castel Sant'Elmo, caduto la mattina dopo in mano ai giacobini grazie ad uno stratagemma.
Il F., dopo una iniziale resistenza e mentre gli altri giacobini si nascondevano in un pozzo, affrontò i lazzari e fu portato al mercato e poi al castello del Carmine per essere fucilato ma, grazie alle sue qualità oratorie e con astuzia, riuscì a prender tempo. Rimase per cinque giorni nel castello del Carmine, fino al 23 gennaio, e fu liberato dai Francesi ormai entrati in città. Fu opera tuttavia del comitato la proclamazione della Repubblica a Napoli il 22 gennaio, prima dell'arrivo dei Francesi, il che consentiva allo Championnet di presentarsi non come conquistatore, ma come liberatore e sostenitore dei patrioti e giacobini napoletani. Durante la Repubblica il F. fu membro del governo provvisorio (in cui gli avvocati erano il gruppo professionale più numeroso), creato il 23 gennaio e durato fino al 15 aprile, e fu presidente dei comitato centrale giacobino e del comitato di Polizia.
"E furon precise le istruzioni da lui date a Ippolito Porcinari capo della Corte de' conti nazionali, l'antica Camera della Sommaria, a Giacinto Dragonetti ch'era alla Gran Corte, e a Filippo Mazzocchi del supremo Consiglio nazionale, in che fu mutato il sacro regio Consiglio" (D'Ayala, p. 269). Contro di lui si espressero in marzo alcuni patrioti riuniti in deputazione che ne chiesero al governo la destituzione, insieme con quella di Cesare Paribelli e Prosdocimo Rotondo, accusati tutti perché "malversavano le rendite e l'amministrazione della repubblica" (De Nicola, p. 109), ma il F. rimase al suo posto. Disprezzato da Galanti (G. M. Galanti, Memorie..., pp. 123 [ma 133]) che lo definì "paglietta de' più ordinari, ma ricco. È stato carcerato come autore di una costituzione preparata per Napoli. Era fargli troppo onore" (p. 126 [ma 136v]), fu anche dallo stesso citato come esempio nella critica al dispendio e alla dissipazione del governo del 1799, per l'abitudine di molti di ostentare le virtù repubblicane in abiti riccamente adornati; egli infatti "ha disposto a ciascuno del provvisorio un abito riccamente adorno, della spesa di ducati 230", proposta subito eseguita (p. 137 [ma 151v]). Ancora Galanti (p. 140 [ma 154v]) citava la sua protervia asserendo che, incontratolo come membro del governo provvisorio (comitato di Polizia), di cui era ministro E. Mastellone, faceva da capo tra i giovani del comitato, e si dava importanza tanto che lo stesso Mastellone aveva di fronte a lui un'aria dimessa.
Visse intensamente la breve esperienza del 1799 e fu perciò oggetto di invidia e di accuse svariate, ma si schierò nella discussione delle più importanti leggi, come quella sull'abolizione della feudalità: egli sostenne la posizione moderata insieme con Pagano e Bisceglia (col quale aveva stretto amicizia in carcere tra il 1794 ed il 1798), contro il progetto più radicale di Albanese, Logotera, Cestari, Lauberg e Paribelli che erano per l'abofizione senza alcun compenso dei diritti feudali e, per i diritti prediali, ritenevano che i proprietari dovessero dimostrare la legittimità dei loro possessi. Il F. sostenne che gli ex feudatari dovevano dare un compenso alla nazione per la rinuncia "al suo dominio eminente, alle devoluzioni, e servigi militari" e che le doveva rimanere la devoluzione di quei feudi i cui possessori fossero privi di successori (Petraccone, p. 54).
Nel successivo governo di A. J. Abrial, commissario organizzatore della Repubblica, non ebbe alcun incarico. Il 13 giugno, con la caduta della Repubblica, la folla assalì nuovamente la sua villa ai Pirozzoli e la giunta di Stato lo condannò a morte il 26 agosto.
Fu impiccato, a Napoli nella piazza del Mercato il 29 ag. 1799, con Michele Marino, Gaetano De Marco, Antonino d'Avella, Nicola Fiani, e i beni di famiglia furono confiscati.
Si evitò che il cadavere subisse la stessa sorte di quello di Fiani, abbrustolito e mangiato, grazie alla compagnia dei Bianchi della Giustizia che ottenne dalla giunta di Stato la pronta sepoltura nella chiesa di S. Alessio al Lavinaio.
Anche la madre e la sorella Margherita sono da ricordare per la loro fede giacobina: a quest'ultima, nata a Napoli il 10 ottobre 1758, nel 1799 Francesco Ciaia affidò le sue poesie e "nella minaccia del saccheggio le nascose nella cavità d'una cisterna". Il 19 gennaio, quando la casa fu assalita, nascose una cassetta piena di coccarde francesi e bruciò la lista dei congiurati del Comitato centrale (Fasulo, pp. 14 s.). In quanto fautrice zelante della Repubblica fu il 13 giugno 1799 trascinata dai lazzari per le strade della città e rinchiusa nel carcere della Maddalena. Condannata dalla giunta di Stato a ritirarsi per un anno in un conservatorio, pena poi commutata a un anno di deportazione dal Regno, si recò a Parigi con la madre ottuagenaria, soffrì la miseria e sopravvisse solo grazie agli aiuti del comitato degli emigrati e di altri esiliati. Qui sposò un esule, Nicola Falcigni, avvocato, che era stato rappresentante del popolo nel 1799 e dal 15 febbraio membro dei governo provvisorio, a fianco del F. nel comitato di Polizia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Nota dei beni confiscati ai rei di Stato: Carte dei rei di Stato, ff. 3, 5, 6, 45, 76, 102; Napoli, Parrocchia di S. Maria dei Vergini, Battesimi 1753-59, registro XXII, pp. 63, 193; C. De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1825, Napoli 1906, I, pp. 16, 84, 91, 106, 271, 293, 388, 399; Correspondance inédite de Marie Caroline reine de Naples e de Sicile avec le marquis de Gallo, a cura di M.-H. Weil-C. Di Somma Circello, Paris 1911, I, p. 274; II, pp. 41, 49; M. Battaglini, Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica napoletana 1798-1799, Napoli 1983, pp. 164, 233, 379, 381, 383, 385, 388, 400, 406, 519, 586, 726, 863, 914, 991, 1018 s., 1547, 1612. Al F. accennano quasi tutti i lavori sulla Repubblica Napoletana. Cfr. tuttavia Nota di beni confiscati ai rei di Stato, Napoli 1800, p. 85, e G. M. Galanti, Memorie storiche, a cura di D. Demarco, Napoli 1970, pp. 123 (ma 133), 126 (ma 136v), 137 (ma 151v), 14Q (ma 154v); G. M. Arrighi, Saggio storico per servire allo studio delle rivoluzioni politiche e civili dei Regno di Napoli, Napoli 1813, III, pp. 205 s.; M. D'Ayala, Vite degli italiani benemeriti della libertà della patria…, Roma 1883, pp. 268 ss.; L. Conforti, Napoli nel 1799, Napoli 1889, pp. 230, 288; N. M. Fasulo, N. F. ministro e martire della Repubblica napoletana, Sorrento 1899; F. Guardione, Il generale G. Rosaroll nella rivoluzione del 1820-21 in Sicilia, Palermo 1900, p. 37; A. Sansone, Gliavvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Palermo 1901, pp. 282, 322; Un decennio di carboneria in Sicilia (1821-1831), II, Documenti, a cura di V. Labate, Roma-Milano 1909, p. 65; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1912, pp. 29, 215, 322 ss., 351; Id., "I lazzari" negli avvenimenti del 1799, in La Critica, XXXII (1934), pp. 458-464; A. Simioni, Le origini del Risorgimento politico nell'Italia meridionale, II, Messina 1925, p. 223; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1969, I, pp. 323, 386; II, p. 15; A. M. Rao, L'amaro della feudalità, Napoli 1984, p. 70 n.; C. Petraccone, Napoli nel 1799: rivoluzione e proprietà, Napoli 1989, pp. 38, 49, 52 s., 59; Dizionario del Risorg. naz., III, p. 44.