GIULI, Nicola
Figlio del pittore Domenico e della ricamatrice Dorotea Pellicciari, nacque a Perugia intorno al 1722, secondo quanto si ricava indirettamente dalle notizie fornite da B. Orsini (1806, p. 61) nella biografia dedicata al Giuli.
L'omonimo avo del G., Nicola, pittore, è citato dalla letteratura locale per la sua attività di decoratore al seguito di Giovanni Andrea Carlone nella chiesa Nuova dei filippini (1667) e in S. Ercolano (1680). Tra queste due imprese si collocano gli affreschi, che vedono sempre affiancati il Carlone e Nicola, della villa Clio-Carpelli a Foligno, allora di proprietà della famiglia Jacobilli (1670).
Secondo le fonti (Orsini, 1806) il G. si sposò in tarda età ed ebbe almeno due figli, un maschio e una femmina, che non si dedicarono ad attività artistiche. Apprese i primi rudimenti dell'arte dal padre e in seguito compì un apprendistato alla bottega del pittore perugino Francesco Busti (1678-1767). Seguendo la tradizione familiare il G. praticò la quadratura e la pittura di fiori e animali. La sua bottega era nota anche per fornire apparati effimeri, disegni per ricamatrici, e ogni sorta di opera a carattere decorativo. Il raggio della sua attività fu sempre confinato in ambito locale e trasse probabilmente beneficio dall'atmosfera culturale che ruotava intorno alla risorta Accademia perugina del disegno. Non sono infatti noti soggiorni del G. al di fuori del territorio umbro o suoi contatti con i più celebri pittori "forestieri" chiamati in Umbria a eseguire pale d'altare nel corso dell'intero XVIII secolo.
Importanti committenti del G. furono i Donini, che a più riprese gli affidarono i lavori decorativi nelle loro residenze.
Nel palazzo di Perugia (1745-50), attualmente sede della giunta regionale, sono riconducibili al G. alcune pitture ad affresco con finte architetture.
Tra le volute e i ricci rocaille delle mosse quadrature prospettiche si dispongono scenografici mazzi di fiori abilmente rappresentati in scorcio. In questa, che è la prima opera nota del G., e la più lodata dalle fonti, il pittore si mostra già sicuro dei propri mezzi, e allineato con il gusto contemporaneo.
La sua opera fu ricercata anche dalla committenza religiosa; le fonti infatti citano l'attività del G. in varie chiese cittadine, per esempio nel monastero della Beata Colomba (1750) e in S. Maria Maddalena in Porta Eburnea (1765), i cui interni vennero rinnovati nel XVIII secolo.
Impresa di gran lunga più importante dovette affrontare il G. nella navata della importante chiesa Nuova dei filippini (1762-67), dove un secolo prima il suo avo Nicola aveva decorato la tribuna.
Nella chiesa oratoriana gli ornati eseguiti lungo la navata dal G. si richiamano esplicitamente, nello schema decorativo di finti stucchi e vivaci festoni floreali, a quelli eseguiti dall'avo; ma si distinguono forse per una maggiore grazia rocaille dovuta al ricorrere di elementi tendenzialmente aniconici.
Tra queste imprese e gli ultimi lavori datati del G., che risalgono al 1780, è ipotizzabile che si scalino le altre opere note o citate dalle fonti, ma a cui non è possibile dare una collocazione cronologica precisa. Il G. lavorò infatti anche nella chiesa della Carità, nella Confraternita di S. Antonio Abate, in palazzo Baldeschi al Corso, nella villa del Bucaglione presso Bettona. Gli furono inoltre affidate le decorazioni dei teatri perugini del Pavone e del Verzaro. Nel primo, in tempi moderni trasformato in cinema, rimane la struttura settecentesca a palchetti ornati di stucchi dipinti e dorati e il soffitto piano, dipinto del delicato "color dell'aria" e animato da candelabre bronzee fittamente intagliate che accennano a convergere verso il centro.
Poco dopo la metà del secolo gli Aureli rinnovarono completamente l'arredamento della loro villa nella campagna perugina; e la bottega del G. segnò ampiamente la sua presenza dispiegando le più versatili capacità nella decorazione di soffitti, mobili, porte, testate di letti.
L'assetto un po' rustico dei mobili è impreziosito da leggere decorazioni floreali che si stagliano su vivaci fondi azzurri, verdi e rossi, dipinti a tempera. Sulla testata di un letto, circondata da una decorazione a fitti racemi, risalta un piccolo ovale con una modesta immagine della Vergine a mezzo busto, che dà la misura di come la produzione del G. fosse confinata a un ambito artigianale. Le porte mostrano uno spiccato gusto per le chinoiseries allora di moda. Dalla medesima villa provengono due tele con mazzi di fiori, attualmente in collezione privata; qui il G., in uno dei suoi momenti migliori, articola i fiori in una studiata e scenografica ricaduta, non esente da ricordi veneto-padani, realizzata con libertà e scioltezza di tocco; la pennellata si fa spesso compendiaria e riesce a padroneggiare con sicurezza gli effetti di luce. Il G. rivela di possedere una sua peculiare cifra stilistica, pur nella dipendenza da precedenti modelli settentrionali. Il suo orizzonte formale si apre inoltre a esperienze di matrice romana, come rivelano gli sfondi paesistici e l'affinità della sua pittura di animali con alcune tele di analogo soggetto di Francesco Fernandi, detto l'Imperiali, e di Ph.P. Roos, noto come Rosa da Tivoli (Teza, 1989, p. 626 n. 53).
Intorno al 1780 il G. si mise all'opera nella villa Donini di San Martino in Campo.
Qui rimane un'anticamera interamente affrescata a grottesche, specialità in cui il G. era particolarmente apprezzato. Negli specchi lignei di due porte sono dipinti mazzi di fiori disposti entro semplici vasetti di cristallo, la cui trasparenza è resa con efficacia; i fiori sono realizzati con sicurezza e rapidità di pennellata secondo schemi che si dovettero ripetere non senza una certa monotonia. Una porta del tutto simile, ma in cattivo stato di conservazione, è stata segnalata da Teza nella parrocchia locale (1989, p. 626 n. 46), e proviene evidentemente da villa Donini.
In un camerino della stessa villa furono collocati otto teleri sagomati, tuttora in loco, su cui è stata letta la data 1780. In essi l'immagine si amplia; alle composizioni floreali si aggiungono animali domestici e un vario repertorio di natura morta e frammenti architettonici e scultorei classicheggianti che si stagliano contro sfondi paesistici; il G. studia attentamente le composizioni e dispone con cura natura morta ed elementi naturalistici secondo regole di varietà e simmetria, ma si rivela incerto nello scalare i piani in profondità e nella disposizione prospettica degli oggetti. Della sua produzione di pittore di animali si conoscono altre cinque tele in collezione privata, di cui una firmata e datata 1780, che ha consentito a Teza l'attribuzione dei teleri di San Martino in Campo. A questo gruppo di opere sono state inoltre accostate una tela con Due galli dell'Istituto per l'istruzione agraria di Perugia, due tavolette con Volatili del monastero di S. Pietro e due tele con Volatili di villa Aureli.
Il G. morì a Perugia il 13 apr. 1784 e fu sepolto nella chiesa di S. Donato.
Fonti e Bibl.: B. Orsini, Guida al forestiere per l'augusta città di Perugia (1784), a cura di B. Toscano, Roma 1973, pp. 102, 155 s., 227, 282, 285, 333; Id., Memorie de' pittori perugini del secolo XVIII, Perugia 1806, pp. 58-61; A. Rossi, Note al Morelli, in Giornale di erudizione artistica, IV (1875), p. 214; A. Briganti - M. Magnini - G. Locatelli, Guida di Perugia, Perugia 1907, p. 29; A. Lupattelli, La Pinacoteca Vannucci in Perugia descritta ed illustrata, Perugia 1909, p. 77; F. Santi, Perugia. Guida storico artistica, Perugia 1950, p. 25 n. 9; O. Marinelli, Le confraternite di Perugia dalle origini al secolo XIX. Bibliografia delle opere a stampa, Perugia 1965, p. 189 n. 1029; O. Guerrieri, Perugia. Guida illustrata, Perugia 1974, p. 51; P. Scarpellini, Guida breve di Perugia, Perugia 1978, pp. 43, 76; V. Casale et al., Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria II, Treviso 1980, p. 451 n. 575; L. Teza, La natura morta in Umbria e nelle Marche, in La natura morta in Italia, Milano 1989, pp. 621 s., 626, 634, figg. 746-753; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 206.