GRASSI, Nicola
Nacque a Formeaso di Zuglio, in Carnia, il 7 apr. 1682, terzogenito di Giacomo e Osvalda di Giovanni Paulini, che dopo di lui ebbero altri quattro figli. La famiglia si trasferì a Venezia qualche anno più tardi, come risulta dal fatto che il padre, il quale esercitava la professione di sarto, già nell'agosto del 1691 pagava 2 lire di tassa all'arte dei sartori della città lagunare, corporazione nella quale è documentato almeno fino al 1716. A Venezia vennero pure registrate, tra il 1694 e il 1696, le nascite delle sorelle minori del G., Maria Elisabetta, Caterina Tommasina e Caterina Bonaventura.
La famiglia del G. era dunque ormai stabilmente presente a Venezia - dove abitava in parrocchia S. Antonin - quando il giovane venne avviato alla carriera artistica. Il che ha indotto gli studiosi a rivedere la discussa questione della primissima formazione del pittore, che a lungo si era voluta ricondurre all'ambiente provinciale della terra d'origine, in particolare sulle orme del pittore, lungamente attivo in Friuli, Antonio Carneo (Fiocco, 1961). Nel più vivace e aggiornato ambiente veneziano dovette invece prender le mosse l'educazione artistica del G., sicché l'alunnato presso Nicolò Cassana - attestatoci già dal Zanetti (1771) - si può forse far risalire all'ultimo scorcio del XVII secolo. A Cassana è legato comunque il primo documento in cui troviamo registrata la presenza del G. a Venezia, quando, nel maggio del 1705, venne nominato dal maestro come teste in una vertenza contro Agostino Lama, padre della più nota Giulia, cui Nicolò aveva fatto da padrino.
Attraverso la frequentazione della bottega di Cassana il giovane allievo ebbe probabilmente modo di entrare anche personalmente in contatto con alcuni dei più importanti pittori all'epoca attivi a Venezia, pittori con cui Cassana era in stretti rapporti prima di lasciare la città lagunare per Londra nel 1711: da Rosalba Carriera a Sebastiano Ricci, a Giovanni Antonio Pellegrini. Erano gli anni in cui proprio a Venezia si misuravano, si opponevano o contaminavano tendenze e opzioni stilistiche diverse, alle quali il G. non mancò di guardare con attenzione, anche perché si trattava delle strade intraprese dagli artisti della sua stessa generazione. Da una parte c'era il risentito plasticismo chiaroscurale di Gian Battista Piazzetta e di Federico Bencovich, dall'altra lo stile luminoso e la leggerezza esornativa inaugurati da Ricci e perseguiti in direzione rococò dai vari Pellegrini, Giovan Battista Pittoni e Iacopo Amigoni. A documentare poi un precoce tirocinio del G. nel genere del ritratto - di cui il suo maestro fu un riconosciuto specialista - resta notizia nell'inventario dei quadri di un certo Giovanni Castelli, nel quale si fa menzione, oltre a vari ritratti familiari ascritti allo stesso Cassana, anche di un ritratto della moglie e del figlio del committente, di mano "del Grassi suo scolare" (Moretti, p. 16).
Alla fine del primo decennio del secolo si colloca la prima opera del G. firmata e datata, la pala con la Vergine, il Bambino e i ss. Gottardo, Antonio da Padova e Giovanni Evangelista (?) nella parrocchiale di Cabia di Arta - nei pressi di Tolmezzo e poco distante dal paesino d'origine del pittore - commissionatagli da Gregorio Lischiutta, come testimonia l'iscrizione apposta sulla tela: "1710 Gregor[i]us Lischiuta f[ecit] f[ieri] Nicolaus Grassi pinxit".
Il dipinto, ancora deliberatamente debitore per impaginazione e soluzioni iconografiche alla grande tradizione veneta cinquecentesca, con particolare riguardo al Veronese (Paolo Caliari), rivela altresì una conoscenza della più aggiornata maniera dei pittori attivi a Venezia in quel momento. Se infatti, specialmente nella figura della Vergine, si può scorgere un'influenza di Cassana, la chiarezza e la luminosità della tavolozza parlano a favore di suggestioni esercitate dai modi di un Pellegrini o di un Ricci. Solo due anni prima, nel 1708, proprio quest'ultimo aveva lasciato in S. Giorgio Maggiore a Venezia - nella Madonna in trono e santi - il brillante manifesto di questa reinterpretazione liberamente moderna della potente tradizione del Cinquecento veneziano.
A questa data, comunque, il G. doveva essere ancora in cerca di importanti commissioni veneziane, ciò che potrebbe anche spiegare una situazione economica non proprio favorevole. Nel 1712 egli venne infatti esentato dal pagamento di un tributo straordinario di 80 ducati che il governo della Repubblica impose alla fraglia dei pittori, cui l'artista restò regolarmente iscritto fino al 1747. La difficoltà di inserirsi vantaggiosamente nel circuito della committenza cittadina dovette essere compensata, e anzi favorì, una maggiore propensione per possibili occasioni di impiego in provincia, specialmente in Carnia, dove il pittore poteva evidentemente contare su una più affidabile rete di conoscenze e relazioni familiari, oltreché su una minore concorrenza.
Il 2 apr. 1713, infatti, la sua presenza è nuovamente documentata in terra natale, dove, in veste di capitano di quartiere, firmò una soluzione di vertenza. A questa congiuntura si suole far risalire la realizzazione di due tele destinate alla chiesa di S. Michele a Formeaso, l'Orazione nell'orto e il Cristo deriso, che gli vengono quasi unanimemente attribuite e denunciano un momento di più ampie e variegate curiosità, in direzione della pittura di Bernardo Strozzi e di Domenico Fetti (Rizzi, 1982).
Qualche anno più tardi, nel 1717, il G. era residente a Venezia, in affitto in una casa di Michiel Morosini, sita in corte Bottera, nella parrocchia di S. Maria Formosa, dove pagava una pigione di 80 ducati l'anno, segno che le sue condizioni economiche si erano fatte nell'intanto un poco più agiate. Proprio in questo giro d'anni il G. venne chiamato a prender parte all'impresa decorativa dell'interno della chiesa di S. Maria dei Derelitti, popolarmente nota come l'Ospedaletto. Già Zanetti ricordava qui i soprarchi della navata centrale con "figure" e "profeti" (1733, pp. 254 s.).
Se il riconoscimento degli evangelisti Marco e Luca resta pacifico, recentemente - a conferma dell'affidabilità della fonte settecentesca - le figure tradizionalmente descritte come S. Giacomo Minore e S. Filippo sono state invece identificate con i profeti Ezechiele e Geremia (Aikema - Meijers, p. 175). Meno unanime, al contrario, il giudizio circa l'autografia del mistilineo raffigurante gli apostoli Ss. Pietro e Paolo. Si trattava evidentemente di una commissione prestigiosa, per cui il G. si trovò a lavorare accanto al giovanissimo Giovanni Battista Tiepolo, e non per caso nei pennacchi dell'Ospedaletto è più deciso l'impatto della corrente dei "tenebrosi", con un vigoroso modellato chiaroscurale che ricorda Piazzetta, se già non risente della forza cromatica di Tiepolo. Con l'ambiente dell'Ospedaletto, d'altra parte, il pittore doveva essere già stato in contatto, se gli si può ascrivere il ritratto di Alessandro Pandolfo (Venezia, Istituzioni di ricovero e di educazione), che della pia istituzione era stato benefattore ed era morto nel 1712, come recita l'iscrizione accanto all'effigie.
Verosimilmente sempre per una committenza veneziana il G. dipinse, alla fine del secondo decennio, il quadro con Rebecca ed Eleazaro al pozzo, oggi in S. Francesco della Vigna, dove pervenne, insieme con il Sacrificio di Isacco di Giambattista Pittoni, dal vicino oratorio della Scuola delle Sacre Stimmate (poi di S. Pasquale Baylon).
L'originaria destinazione dell'opera dovette però essere un'altra - e tuttora ignota - visto che Zanetti, solitamente bene informato, ne tace tanto a proposito della Scuola delle Stimmate, dove però cita un "Cristo che scaccia i mercanti dal Tempio della maniera di Nicola Grassi", quanto a proposito della contigua Scuola di S. Francesco, dove invece ricorda una serie di cinque quadri con Miracoli del santo realizzata dal pittore e oggi perduta (1733, p. 236).
Sebbene tra terzo e quarto decennio del secolo al G. fossero affidati ripetutamente incarichi ufficiali nell'ambito del Collegio dei pittori di Venezia (ne fu sindaco continuativamente dal 1722 al 1724 e nel 1727; quindi venne nominato consigliere nel 1730 e "tansador" nel 1733 e nel 1739), tutte le opere maggiori della sua maturità sono frutto di commissioni provenienti, quasi senza eccezioni, dai piccoli o minuscoli paesi della Carnia.
Per limitarsi ai dipinti di più sicura autografia e più significativa qualità, basterà ricordare: il quadretto con S. Antonio da Padova e il Bambino, commissionato da Antonio Salvina nel 1722 (Udine, Musei civici); la pala della parrocchiale di Sutrio, con la Vergine, il Bambino e i ss. Osvaldo, Antonio e Floriano, collocabile intorno al 1728, data che pare leggibile sulla tela stessa; le pressoché contemporanee tele per la parrocchiale di Ampezzo, con Daniele nella fossa dei leoni, gli Evangelisti e l'Addolorata; la Pietà di Endenna (Bergamo), firmata e datata 1731.
Sono tutte opere in cui la maniera ormai collaudata del G. si declina secondo specifiche esigenze locali, indulgendo di volta in volta a sottolineature espressive e consuetudini iconografiche genericamente sentimentali, come nel S. Antonio di Udine, o pateticamente popolari, come nelle figure dell'Addolorata ad Ampezzo ed Endenna.
Dal 1731 al 1734 il pittore ebbe l'incarico di preposto alla Fabbrica della chiesa di S. Maria delle Grazie a S. Pietro di Zuglio, dove lasciò un'immagine dell'Assunta, oggi perduta. In questo stesso torno di tempo, segnato da un'alacre attività, licenziò pure la sua impresa più impegnativa: il ciclo di dipinti destinato al duomo di Tolmezzo. La serie si compone di diciassette tele, di formato e dimensioni pressoché identici, che raffigurano la Crocifissione, la Madonna, il Salvator mundi, gli Apostoli, vari Santi, nonché il ritratto (Tolmezzo, Museo carnico) di Giacomo Linussio, che commissionò l'insieme decorativo e volle essere ricordato su ogni dipinto con un monogramma delle sue iniziali.
A scalare poi tra il 1731 e il 1735 si susseguono altre più o meno importanti allogazioni locali, come i due quadri della parrocchiale di Sezza: Rebecca al pozzo e Giacobbe e le verghe; la pala della Vergine e i ss. Matteo e Nicolò a Casasola di Chiusaforte, pagata da Matteo Rizzo e Valentino Linasso nel 1735, come recita l'iscrizione sullo stesso dipinto; il ciclo degli Apostoli e il Redentore per la chiesa della Trasfigurazione a Moggio Udinese.
Ma i legami del G. con la propria terra d'origine non furono soltanto di natura artistica e i documenti rimastici fanno luce sulle alterne e talvolta incerte vicende legate agli interessi economici che il pittore coltivava, in patria come a Venezia. Si sa così che nel 1733, anno della morte del padre, egli investiva a più riprese cospicue somme in una sorta di subaffitto in immobili dell'arte dei pistori (fornai), in S. Marco e in Rialto, ma negli stessi giorni si vedeva pure costretto a eleggere un certo Giovan Battista Paulini - forse parente della madre - procuratore per tutelare i beni posseduti a Formeaso e ancora a nominare un altro avvocato per difendere una propria causa a Vicenza. Questo forte rapporto del G. con il borgo natale è confermato dalle estreme volontà testamentarie, che egli stese di suo pugno il 29 sett. 1741. Nel testamento disponeva infatti che i beni lasciati ai fratelli e alla sorella venissero devoluti, dopo l'estinzione di questi, a beneficio della parrocchiale di S. Michele a Formeaso.
Durante gli ultimi anni l'attività del G. si divise tra lavori destinati a centri di una certa importanza e impegni profusi, come sempre, per località decisamente minori. Intorno al 1740 è databile l'Adorazione dei magi (Udine, Musei civici), proveniente dall'altare Goro, nella chiesa udinese di S. Francesco, in cui l'artista tornò a fondere componenti diverse, antiche e moderne, impianto cinquecentesco e ariosità settecentesca, Veronese e Pittoni.
È a Giovanni Antonio Guardi che si richiama invece la composizione, di poco posteriore, dell'Ultima Cena, richiestagli insieme con un Battesimo di Cristo per la chiesa degli zoccolanti ad Augusta, in Germania.
Meno impegnativa rispetto a queste ultime realizzazioni - sia sul piano delle suggestioni culturali sia sotto il profilo dell'invenzione iconografica - appare la redazione della pala che il 2 dic. 1741 il Comune di Fielis (ora in provincia di Udine) commissionò al G. per la chiesa parrocchiale, con la consueta sacra conversazione di tradizionale impaginazione: la Madonna della cintola con i ss. Ilario (?), Sebastiano, Rocco e Borromeo. Il pittore dovette però realizzarla probabilmente a Venezia, se è qui che, nel 1742, risulta effettuato il pagamento dell'acconto "per l'imprimitura di detta pala" (Gallo, 1961, p. 5).
Tra le ultime fatiche del G. si può ancora ricordare il dipinto dell'Assunzione per la chiesa di S. Valentino a Udine, posteriore al 1744, disperso a seguito delle soppressioni napoleoniche ma valutabile almeno attraverso il sopravvissuto bozzetto (Udine, Musei civici). Infine, al 1747 si data la decorazione della chiesa parrocchiale di Villa del Conte, ora in provincia di Padova, dove lasciò tre soffitti con la Sacra Famiglia, la Trinità e le Ss. Caterina, Margherita e Agata, nonché la pala d'altare dedicata a S. Vincenzo Ferrer.
Il G. morì il 6 ott. 1748, nella casa veneziana in corte Bottera, dove da anni viveva con la sorella Caterina Bonaventura, che ne divenne l'erede.
Alla pubblicazione del testamento, avvenuta il 1° febbraio dell'anno seguente, i beni del pittore ammontavano a 3973 ducati, oltre alla metà del valore di una casa posseduta a Formeaso. Il G. era iscritto, naturalmente, alla Scuola dei pittori, ma anche a quelle della Madonna della Cintola, di S. Francesco e di S. Vincenzo. Venne sepolto nell'arca del Santissimo a S. Maria Formosa.
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