INTONTI, Nicola
Nacque ad Ariano Irpino il 9 dic. 1775 da Giuseppe Saverio, di nobile famiglia originaria di Lucera, e da Camilla Giannotti. Dopo gli studi giuridici entrò in magistratura, dove fece una brillante carriera nel periodo francese, pervenendo nel 1809 al grado di procuratore generale presso la gran corte criminale di Lucera.
Confermato nel ruolo dopo la Restaurazione, nel dicembre 1817 passò alla pubblica amministrazione, con la nomina a intendente della Capitanata. In questa veste avversò decisamente la carboneria, molto attiva, con diramazioni nell'esercito e nella pubblica amministrazione.
Allo scoppio della rivoluzione, agli inizi di luglio 1820, l'I. salvò a stento la testa: il sottintendente di San Severo G. Rodinò, carbonaro, ne propugnò l'uccisione, accusandolo di aver tentato di avvelenarlo qualche tempo prima, ma egli si rifugiò in casa di un nobile foggiano e riuscì a convincere Rodinò di non averne progettato l'uccisione. Rifugiatosi quindi a Napoli, stette in disparte per tutto il periodo costituzionale e nei mesi immediatamente successivi alla sua conclusione.
Dopo l'allontanamento del principe di Canosa A. Capece Minutolo e l'abolizione del ministero di Polizia (luglio 1821), l'I. fu nominato commissario generale di polizia per Napoli e provincia (mentre del resto del paese si occupava con la stessa carica F. Baratelli). Da questo momento fu al vertice della polizia del Regno per circa dieci anni, pur con incarichi nominalmente diversi: nell'agosto 1822 prefetto, sempre per Napoli e provincia; nel 1823 direttore della polizia di tutto il Regno, in sostituzione del ministro G. Clary (dall'aprile ad interim e dall'agosto in modo effettivo); infine dal 30 dic. 1824 ministro di Polizia.
In questo periodo l'I. ebbe un ruolo decisivo nel rafforzamento dello Stato di polizia, anche se in modo molto più moderato rispetto al periodo ultrareazionario del ministero Canosa (aprile-luglio 1821). Tuttavia, nei primi anni la sua azione contro la carboneria fu in linea con la fermezza senza eccessi voluta dall'Austria.
Le sue analisi del pericolo carbonaro tra 1821 e 1823 denotavano grande prudenza ed equilibrio: egli considerava il pericolo ormai superato e la carboneria più propensa a occuparsi di quello che avveniva all'estero che a cospirare, essendo ormai fallita l'alleanza tra la borghesia e i ceti popolari. Proprio nel popolo era rimasta una maggiore adesione alla setta, ma più per la crisi economico-sociale che per una vera condivisione ideologica; da qui la sua scelta di non procedere a una persecuzione, che non esitava a definire gesto "veramente impolitico" (cit. da Cingari, 1970, p. 72). Contemporaneamente egli continuava a considerare fondamentale difendere lo Stato dal pericolo ultrareazionario e provvedeva a sottoporre a controllo la setta dei calderari e gli altri amici di Canosa.
Dopo la nomina dell'I. a ministro e la quasi contemporanea successione al trono di Francesco I, lo Stato di polizia fu ulteriormente rafforzato, per il timore di congiure carbonare, bonapartiste o murattiane. Egli diramò subito ordini perentori per vigilare sulle corrispondenza di napoletani e siciliani con l'estero, l'arrivo di cittadini stranieri, il rimpatrio di esuli, le scuole e il commercio dei libri. Un'accurata sorveglianza fu predisposta nelle province per conoscere le opinioni politiche dei ceti borghesi e degli ecclesiastici. Ministro particolarmente attivo, in continua corrispondenza con il sovrano da una parte e con gli intendenti dall'altra, riuscì a dare anche la sua impronta alla vita politica napoletana durante il breve regno di Francesco, tanto che fu considerato membro di un vero e proprio triunvirato di governo, con D. Tommasi e L. de' Medici; un governo che si caratterizzava per la mancanza di qualsiasi elemento di innovazione rispetto al regno di Ferdinando I.
Sotto la sua direzione "la polizia invadeva il dominio riservato ad altre autorità dello Stato, s'imponeva come un potere superiore e inesorabile, sprezzando talvolta leggi affidate a la sua tutela" (Genoino, p. 347). I controlli nelle province erano sempre maggiori, ai funzionari era lasciata "ampia facoltà di colpire, anche nei legittimi interessi, i cittadini invisi" (ibid.). L'intransigenza, fino al dominio della paura, era perseguita soprattutto nei confronti dei liberali, considerati ormai più pericolosi dei canosini. Spesso venivano scoperte congiure, che però - secondo Calà Ulloa (1933) - erano più ipotetiche che reali, fomentate dai funzionari di polizia per impaurire la corte e comprovare l'indispensabilità dell'azione di polizia. Dopo la partenza dell'esercito austriaco (febbraio 1827) l'I. incrementò la repressione contro studenti e ufficiali creduti carbonari (ma considerati del tutto innocenti dall'opinione pubblica). Era fedele allo schema della monarchia pura, senza ingerenze da parte di organismi consultivi, né tanto meno rappresentativi: "quanto di buono e di utile potrebbero fare Camere, Parlamenti e simili sinagoghe lo farà, senza schiamazi e lungaggini, un Consiglio di ministri provetti, zelanti e fedeli al sovrano" (Genoino, p. 324). Perciò condivise e appoggiò l'azione di de' Medici per una riduzione dei poteri della Consulta.
Tuttavia l'I. era più moderato dell'altro principale custode dell'ordine pubblico del Regno, il comandante della gendarmeria F.S. Del Carretto, con cui entrò in aperto contrasto nel 1828 in occasione della feroce repressione del moto carbonaro nel Cilento, quando tentò invano di fermare Del Carretto e condannò la distruzione a cannonate della cittadina di Bosco. Nei mesi successivi fu comunque protagonista dell'azione anticarbonara a Napoli, che sfociò in alcune condanne a morte, al carcere o all'esilio. Nel 1829 il re lo gratificò con il titolo di marchese. Attento anche ai movimenti democratici di altri paesi europei, mediante propri corrispondenti riuscì a prevedere la rivoluzione parigina del luglio 1830 e a informare per tempo del pericolo Francesco, che si trovava colà ospite di Carlo X.
Dopo la morte di Francesco, in novembre, fu proprio quest'attenzione ai movimenti insurrezionali fuori del Regno a indurlo a cercare di indirizzare il nuovo re Ferdinando II verso le riforme e la ripresa della politica dell'amalgama nei confronti dei murattiani, attuata da de' Medici dopo la parentesi costituzionale del 1820-21: una politica mirata a scongiurare tentativi rivoluzionari analoghi a quelli francesi.
Alla notizia dello scoppio del moto a Modena e di disordini a Roma, nel febbraio 1831 decise di forzare la mano al sovrano: temendo e allo stesso tempo ingigantendo le volontà e le capacità insurrezionali della carboneria napoletana, tra il 13 e il 15 presentò al giovane re un progetto di scioglimento del governo, di sostituzione dei ministri più conservatori con liberali moderati o murattiani, di istituzione di organi consultivi e rappresentativi in vista di una prossima concessione di una costituzione. L'I. guadagnò inizialmente l'adesione del re al suo programma, ma essa fu passiva e si esaurì subito, anche a causa delle pressioni degli ultrarealisti, in particolare del generale G.B. Fardella. Di fronte alle resistenze di Ferdinando II, quindi, non esitò a prospettare come prossima la rivolta, fomentandone alcuni focolai. La manovra non riuscì: Ferdinando II giudicò il suo programma pericoloso per la monarchia e l'effetto del più puro trasformismo. Il contemporaneo tentativo dell'I. di spingere il governo a presentare le dimissioni al sovrano fu respinto con fermezza dal presidente del Consiglio, C. Avarna duca di Gualtieri, e dal ministro degli Esteri A. Statella principe di Cassaro.
Per eliminare le pericolose velleità riformatrici dell'I. (considerate poi un po' superficialmente un tentativo di colpo di Stato), il 17 febbraio Ferdinando II lo fece accompagnare alla frontiera dalla gendarmeria, con il pretesto di una urgente missione a Vienna, per la quale lo avrebbero raggiunto credenziali e maggiori istruzioni. Del Carretto ebbe l'incarico di sostituirlo come ministro della Polizia. Era di fatto l'esilio: l'I. sulla via di Vienna fu fermato a Milano; dopo essere rimasto in questa città diverse settimane, gli fu comunicata la dispensa dal recarsi a Vienna e l'autorizzazione a risiedere dovunque volesse, salvo che nello Stato pontificio e nel Regno.
Vagò per l'Italia per circa due anni. Tappe principali del suo esilio furono Firenze, Lucca, dove risiedette per un anno, e Livorno. I suoi rapporti con la Corona non erano tuttavia definitivamente compromessi. Era stato rimosso dalla funzione, ma non dal grado di ministro segretario di Stato; nel novembre 1832 Ferdinando II lo ricevette a Genova, dove si trovava per il matrimonio con Maria Cristina di Savoia. L'anno successivo gli fu consentito di tornare a Napoli, dove visse in disparte, ospite della sorella Carolina Intonti Merenda e del nipote Nicola Merenda, commissario di polizia.
L'I. morì a Napoli l'8 maggio 1839.
Fonti e Bibl.:Il Regno delle Due Sicilie e l'Austria. Documenti dal marzo 1821 al novembre 1830, a cura di R. Moscati, Napoli 1937, ad ind.; N. Flammia, Storia della città di Ariano, Ariano 1893, p. 265 (fissa erroneamente al 1854 la data di morte, ripresa da altri); N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, Napoli 1908, I, pp. 58-60, 71-73, 102; II, pp. 10-12; G. Paladino, A Napoli nei primi mesi del 1831, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli 1926 passim (sulla congiura del 1831); N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero, I, Bari 1927, ad ind. (sulla congiura del 1831; contiene inoltre testimonianze tratte dalle memorie di liberali quali L. Settembrini, P.S. Leopardi, G. Ricciardi, F.A. Gualterio, G. Raffaele); P. Calà Ulloa, Il regno di Francesco I, a cura di R. Moscati, Napoli 1933, ad ind. (sull'operato dell'I. come ministro di polizia); A. Genoino, Le Sicilie al tempo di Francesco I, Napoli 1934, ad ind.; R. Moscati, Ferdinando II di Borbone nei documenti diplomatici austriaci, Napoli 1937, ad ind. (sulla congiura del 1831); A. Lucarelli, I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi documenti, Foggia 1939, ad ind. (sul periodo foggiano dell'I.); P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, ad ind.; F. Pasanisi, Principali personaggi di polizia a Napoli sotto i Francesi ed i Borboni, Viterbo 1959, pp. 22 s. (brevi e sommarie ma documentate notizie biografiche: riporta tra l'altro, desunta dall'atto di battesimo, la data di nascita, diversa da quella riportata da alcuni autori, e notizie sull'esilio, il ritorno a Napoli e la morte dell'I.); G. Serricchio, G.T. Giordani e il liberalismo dauno del 1820, Napoli 1961, p. 39 (sul periodo foggiano dell'I.); H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861), Firenze 1962, ad ind.; P. Calà Ulloa, Il regno di Ferdinando II, a cura di F. de Tiberiis, Napoli 1967, ad ind. (sulla congiura del 1831); A. Lepre, Storia del Mezzogiorno nel Risorgimento, Roma 1969, ad ind.; G. Cingari, Mezzogiorno e Risorgimento. La Restaurazione a Napoli dal 1821 al 1830, Bari 1970, ad ind.; Id., Ferdinando II e il "colpo di Stato" del ministro N. I. (1830-1833), in Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, II, Settecento e Ottocento, a cura di I. Zilli, Napoli 1995, pp. 125-135, 137-141 (con notizie sull'esilio, il ritorno a Napoli e la morte dell'I.; contiene inoltre la migliore ricostruzione dei fatti, delle motivazioni e dei presupposti politici della congiura del 1831); G. Talamo, Napoli da Giuseppe Bonaparte a Ferdinando II, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, ad ind.; G. Coniglio, I Borboni di Napoli, Milano 1981, p. 332.