JAEGER, Nicola
Nacque a Pisa il 15 ag. 1903 da Domenico e Dina Bardola, in una famiglia svizzero-tedesca protestante. Dopo aver optato per la nazionalità italiana, si laureò in giurisprudenza nel 1925 a Pisa, dove intraprese la professione forense. Avvocato dal 1928, l'anno successivo iniziò il suo insegnamento universitario come incaricato a Urbino. Nel 1930 ottenne la libera docenza di diritto processuale civile e nel 1934 divenne straordinario a Urbino, dove ricoprì anche la carica di preside della facoltà di giurisprudenza. Promosso ordinario dal 1° genn. 1937, insegnò diritto processuale civile e diritto sindacale e corporativo nelle Università di Trieste e Padova, finché, dall'anno accademico 1938-39, fu chiamato a succedere a G. Cristofolini a Pavia sulla cattedra di diritto processuale civile. Concluse la sua carriera universitaria presso la facoltà giuridica milanese, dove era arrivato nel 1944-45.
Nelle diverse università citate lo J. insegnò anche, per incarico, istituzioni di diritto pubblico, diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, procedura penale e diritto svizzero.
Come giurista, lo J. appartiene alla seconda generazione della scuola sistematica del diritto processuale, fondata da G. Chiovenda e F. Carnelutti, che annoverò tra coloro che se ne fecero interpreti quasi tutti i maggiori processualisti italiani della prima metà del Novecento; e, appunto, dal "sistema" di Carnelutti traggono ispirazione gli studi dello J. relativi al processo. Nella sua formazione, inoltre, egli avvertì fortemente l'influsso di S. Romano, come risulta dagli scritti di natura pubblicistica.
Il nucleo centrale della produzione scientifica dello J. è costituito dagli studi sul processo del lavoro.
La monografia Le controversie individuali del lavoro (Padova 1929) è dedicata all'esame delle disposizioni normative, emanate nel 1928, che soppressero i collegi dei probiviri, le commissioni arbitrali dell'impiego privato e altri simili organi, affidando la decisione delle controversie individuali del lavoro ai pretori e ai tribunali nei limiti della rispettiva competenza per valore. Nel Corso di diritto processuale del lavoro (ibid. 1933), che raccoglie le lezioni tenute agli studenti dell'Università di Urbino, lo J. tentò invece la sistemazione del processo collettivo e del processo intersindacale non collettivo, al fine di metterne in evidenza i nessi con il processo individuale del lavoro, in particolare per quanto riguarda il rapporto fra i poteri dei diversi soggetti del processo. Il suo studio sul diritto processuale del lavoro fu inserito nel Trattato di diritto del lavoro diretto da U. Borsi e F. Pergolesi (ibid. 1938), mentre altri aspetti rilevanti del processo del lavoro - quali la disciplina delle prove, la conciliazione, l'arbitrato, la revocabilità delle sentenze, il procedimento di appello - furono presi in esame dallo J. in numerosi articoli e scritti minori.
Come si è accennato, negli anni Trenta lo J. si dedicò anche all'insegnamento del diritto corporativo, al quale consacrò due monografie: Elementi di diritto corporativo (Padova 1936) e Principii di diritto corporativo (ibid. 1939). In Diritto di Roma nelle terre africane (ibid. 1938) affrontò in particolare i problemi legati all'estensione dell'ordinamento corporativo alle Colonie italiane.
Nell'esaminare i diversi sistemi vigenti in Libia e in Africa orientale italiana, egli riservò ampie funzioni agli organi del Partito nazionale fascista, nella convinzione che l'opera di quest'ultimo fosse insostituibile per un'efficace diffusione dell'ordinamento corporativo, soprattutto in Etiopia.
Più specificamente dedicate ad aspetti del diritto processuale civile sono la monografia su La riconvenzione nel processo civile (Padova 1930) e quella su Il rifiuto del pignoramento (Urbino 1933). Nel 1941 uscì la prima edizione del lavoro sul Diritto processuale civile (Torino).
Lo J. dichiarava di prendere le mosse dai risultati cui era pervenuto Carnelutti e in particolare dal concetto di interesse: definitivamente superata la concezione che il fine del processo consistesse nella tutela dei diritti soggettivi, riproposta da S. Satta, il merito della teoria di Carnelutti, secondo lo J., risiedeva proprio nell'aver introdotto la considerazione degli interessi nelle problematiche connesse al diritto processuale. Tuttavia, mentre Carnelutti aveva individuato lo scopo dell'attività giurisdizionale nella composizione dei conflitti di interesse - composizione corrispondente a un interesse supremo della società di fronte al pericolo della soluzione violenta delle liti -, lo J. poneva piuttosto l'accento sulla determinazione dell'interesse pubblico nei riguardi di ciascuna situazione concreta. Per lo J., infatti, "l'attività giurisdizionale mira […] ad attuare l'interesse pubblico supremo, vale a dire quell'interesse della comunità politica che risulta specialmente meritevole di attenzione rispetto alla situazione sottoposta all'organo giurisdizionale". Tale concezione è utilizzabile tanto nello studio del processo civile quanto in quello del processo penale e amministrativo. In tutti questi casi, infatti, l'organo giurisdizionale è chiamato a risolvere il dubbio su ciò che esige l'interesse pubblico assoluto rispetto a una data situazione.
Anche nella definizione del processo penale lo J. prendeva le mosse dal concetto di lite elaborato da Carnelutti, da intendersi però non più in senso materiale, ossia come conflitto di interessi diretti, bensì in un senso meramente processuale, come conflitto di interessi strumentali, aventi per oggetto il modo di essere di un provvedimento, favorevole all'interesse diretto dell'una o dell'altra parte. Di qui la sua definizione del processo penale come "il processo destinato all'accertamento dell'avvenuto compimento […] di un atto […] ritenuto […] come lesivo immediatamente di un pubblico interesse e alla riparazione che l'interesse della collettività politica esige", enunciata in un articolo dedicato allo stesso Carnelutti nel trentesimo anno del suo insegnamento (La lite penale, in Riv. italiana di diritto penale, XIV [1932], pp. 315-333).
Oltre all'incarico di procedura penale, presso l'Università di Pavia lo J. tenne per sei anni anche il corso di diritto elvetico, in seguito al quale, nel 1944, furono pubblicate a Milano le Lezioni di diritto svizzero, mentre del 1951 è la prima edizione del Corso di diritto processuale civile (I-IV, Milano-Venezia).
Il 30 nov. 1955 fu eletto dal Parlamento giudice della Corte costituzionale con 642 voti e, il successivo 15 dicembre, prestò giuramento. La sua candidatura fu sostenuta dal Partito comunista italiano (PCI), anche se, nel periodo in cui lavorò alla Corte, lo J. si schierò molto spesso con i conservatori (Rodotà, p. 25).
La sua designazione aveva posto fine a una situazione di stallo che aveva impedito per più di due anni l'insediamento della Corte costituzionale. Entrata in vigore nel marzo 1953 la legge istitutiva della Corte, entro il 28 aprile avrebbe dovuto avere luogo l'elezione dei giudici spettante al Parlamento; iniziò invece un lungo braccio di ferro sul candidato proposto dal PCI, il costituzionalista V. Crisafulli. Da un lato la Democrazia cristiana (DC) rifiutava di sostenere con i suoi voti un giudice proposto dai comunisti, dall'altro monarchici e missini rivendicavano per sé la designazione del quinto candidato. La situazione si sbloccò solo dopo l'elezione alla Presidenza della Repubblica di G. Gronchi e l'insediamento del governo Segni, quando, in un mutato clima politico, fu possibile giungere a un compromesso. Grazie alla mediazione del presidente della Camera G. Leone, il PCI vide riconosciuto il proprio diritto a designare un candidato, in cambio della rinuncia al nome di Crisafulli. Il quinto candidato fu, dunque, indicato dai presidenti delle Camere in un incontro decisivo con P. Togliatti poco prima del nono scrutinio. La scelta dello J., giurista gradito al leader comunista ma non iscritto al partito, ottenne l'assenso di tutti i gruppi politici, eccettuati monarchici e missini, e consentì di completare l'elezione dei giudici costituzionali di nomina parlamentare.
Nei giorni successivi alla votazione sulla figura dello J. si scatenò un'accesa polemica, ampiamente riportata dai quotidiani dell'epoca. Da un lato, furono evidenziati i suoi precedenti fascisti, in particolare gli studi sul diritto corporativo e la partecipazione al II Convegno di studi sindacali e corporativi organizzato da G. Bottai nel 1932; dall'altro, L'Unità pubblicò un profilo dello J. nel quale si sottolineava la sua "partecipazione attiva alla lotta di Liberazione e al movimento comunista". Secondo l'organo del PCI, infatti, lo J. nel 1942 sarebbe stato in contatto con i gruppi antifascisti dell'Università di Pisa e avrebbe preso parte al movimento di liberazione dell'Oltrepò pavese, ricoprendo in seguito anche incarichi specifici all'interno del partito. Interpellato dalla stampa, lo J. rifiutò di fare commenti, dichiarando solo di non essere mai stato iscritto ad alcun partito politico.
Negli anni del suo incarico alla Corte costituzionale, lo J. pubblicò, nel Trattato di diritto civile diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Il fallimento e le altre forme di tutela giurisdizionale (Milano 1964), nel quale sono esaminati l'esecuzione forzata e i procedimenti concorsuali, sia dal punto di vista della funzione sia da quello più propriamente processuale. Dopo aver partecipato ai lavori della Corte costituzionale fino al termine del mandato, nel dicembre 1967, lo J. tornò a Milano dove riprese l'insegnamento con particolare riguardo al diritto processuale costituzionale.
Dalla fine degli anni Cinquanta alcune riflessioni dello J. sui rapporti tra fede e diritto, nonché sul valore etico di quest'ultimo, presero corpo in una serie di articoli e interventi e, poi, nel volume Il diritto nella Bibbia. Giustizia individuale e sociale nell'Antico e nel Nuovo Testamento (Assisi 1960).
Dai genitori lo J. aveva ricevuto un'educazione calvinista ma - entrato in una crisi religiosa verso il compimento del ventiseiesimo anno di età, secondo quanto egli stesso ebbe a dichiarare - a 36 anni si era poi convertito al cattolicesimo, divenendo scrupoloso osservante.
Condirettore di Studi urbinati e del Monitore dei tribunali, lo J. collaborò a molte riviste giuridiche italiane e straniere. Membro dell'Istituto lombardo di scienze e lettere dal 1941, ottenne anche la medaglia d'oro di benemerenza della scuola, della scienza e della cultura.
Nel 1934 aveva sposato Jole Maria Guadagni, dalla quale ebbe due figli, Pier Giusto e Daniela.
Lo J. morì a Milano il 10 genn. 1975.
Fonti e Bibl.: Necr. in Riv. di diritto processuale, XXX (1975), pp. 677 s.; sulle polemiche relative all'elezione dello J. presso la Corte costituzionale cfr. Corriere della sera, 1° e 2 dic. 1955; Il Messaggero, 1° e 2 dic. 1955; L'Unità, 1° dic. 1955; vedi anche: N. Tranfaglia, Per una storia politica della Corte costituzionale, in Dallo Stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano 1973, pp. 210 s.; G. Tarello, Profili di giuristi italiani contemporanei: F. Carnelutti ed il progetto del 1926, in Materiali per una storia della cultura giuridica, IV, Bologna 1974, p. 503 n. 10; G. Ferrari, Sulla difficile nascita della Corte costituzionale, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, XXI (1988), pp. 13 n. 13, 14 nn. 22 e 24; F. Bonini, Storia costituzionale della Repubblica. Profilo e documenti 1948-1992, a cura di P. Scoppola, Roma 1993, p. 69; Id., Storia della Corte costituzionale, Roma 1996, pp. 104-107, 126, 145, 185; C. Rodotà, Storia della Corte costituzionale, Roma 1999, pp. 25, 155; 1949-1998 Repubblica Italiana - 50 anni di Parlamento, Governi, Istituzioni, Roma 2000, pp. 872, 876 s.; Chi è? 1948, p. 490; Panorama biografico degli italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, Roma 1956, II, p. 804; F.P. Gabrieli, J. N., in Novissimo Digesto italiano, VIII, Torino 1962, p. 118.