LAPICCOLA, Nicola (Niccolò)
Figlio di Leonardo e di Maddalena Dati, nacque a Crotone nel febbraio del 1727.
Dopo un breve soggiorno a Napoli nel 1744, il L. si trasferì a Roma all'inizio del 1747, risiedendovi stabilmente fino alla morte. Entrato nello studio dell'anziano pittore Francesco Mancini, dove ebbe al suo fianco il viterbese Domenico Corvi, il L. partecipò al clima di moderato classicismo che in quegli anni nella capitale pontificia, a opera di artisti quali lo stesso Mancini, Marco Benefial e Pierre Subleyras, veniva diffondendosi grazie a un rinnovato naturalismo e al meditato ricorso ai normativi testi pittorici di Raffaello e di Annibale Carracci.
Nel 1750 vinse il primo premio per la seconda classe di pittura del concorso clementino bandito dall'Accademia di S. Luca con il disegno, ancora conservato presso l'istituzione romana, raffigurante Giuseppe interpreta i sogni dei due servitori del faraone, foglio carico di suggestioni piranesiane - la ripresa di sotto in su, l'illuminazione delle torce, i tagli spaziali - e vicino alle contemporanee ricerche pittoriche di Corvi.
Il primo lavoro pubblico del L. finora conosciuto risale al 1757: è la pala con S. Francesco che riceve le stimmate per la chiesa di S. Lorenzo in Panisperna, il cui incarico fu ottenuto grazie all'interessamento del cardinale Alessandro Albani, negli anni futuri estimatore e mecenate dell'artista crotonese.
Nel dipinto sono già espresse le ricerche formali tese al raggiungimento di quello stile asciutto e severo che in seguito avrebbe caratterizzato la produzione religiosa e devozionale del pittore calabrese.
È del 1762 la Ss. Trinità e il beato Gregorio Barbarico per la cattedrale di S. Vincenzo a Bergamo. Gli schemi compositivi neocarracceschi mutuati da Benefial, adottati per la pala di S. Lorenzo in Panisperna, ricorrono anche nel successivo Battesimo di Cristo (1767: Patrica, chiesa di S. Giovanni Battista) e nel S. Giovannino nel deserto di S. Giovanni della Pigna a Roma (1776): opere entrambe mutuate da analoghe composizioni reniane.
La temperie di rinnovato classicismo diffusasi a Roma a partire dai primi anni Sessanta del Settecento, di cui il L. dovette essere tra i più precoci testimoni grazie ai rapporti intessuti con Johann Joachim Winckelmann e Anton Raphael Mengs sulle impalcature del cantiere pittorico di villa Albani, investì anche la produzione chiesastica del pittore.
Una ricercata essenzialità compositiva anima la tela con Il ritorno di Gesù dalla visita ai dottori per il duomo di Crotone (1767); mentre la pala con Cristo che appare al beato Bernardo Tolomei in preghiera - eseguita nel 1776 su commissione del cardinale Scipione Borghese per la chiesa romana di S. Caterina da Siena, nell'ambito di un più ampio intervento decorativo che vide impegnati i migliori artisti presenti sulla scena romana - costituisce uno degli esiti più elevati, e precoci, del classicismo riformato, sulla scorta di quanto artisti senza dubbio d'avanguardia, quali Giuseppe Cades e Corvi, venivano elaborando.
Ancora ai modi del maestro Mancini e di Subleyras risulta invece legato il Martirio di s. Ippolito, eseguito in data imprecisata, oggi nelle collezioni della Cassa depositi e prestiti del ministero del Tesoro (Faldi).
Di nuovo per interessamento del cardinale Albani, nel 1771 gli fu commissionata la pala con La Vergine che appare a s. Giuseppe da Copertino e al beato Andrea Conti per la cappella di S. Bonaventura nella basilica dei Ss. Apostoli, opera caratterizzata dal retaggio marattesco assimilato durante il primo alunnato nello studio di Mancini.
Tra il 1776 e il 1781 eseguì, su commissione del cardinale Giovan Francesco Albani, la grande tela con L'Ultima Cena per la cattedrale di S. Clemente a Velletri, cittadina di cui il porporato era vescovo.
Nell'ambito della decorazione parietale profana, a partire dai primi anni Sessanta e per oltre un venticinquennio, il L. fu attivo nei grandi cicli decorativi patrocinati dalle più illustri famiglie romane: Albani, Chigi, Borghese.
Tra il 1760 e il 1761 fu largamente impegnato nell'esecuzione di grottesche e grisailles all'antica - esemplate sui modelli della Domus Aurea neroniana e delle pitture pompeiane allora appena scoperte - in diversi ambienti della villa Albani, dietro la regia iconografica e progettuale di Winckelmann.
Nella villa decorò, al piano terreno, la stanza del Canopo, la galleria del Canopo con un Baccanale da Giulio Romano al centro della volta, la sala ovale e il piccolo gabinetto con la pittura murale raffigurante Perseo e Andromeda; nella grande galleria eseguì una serie di ovali a grisaille come cornice per il celebre dipinto con il Parnaso eseguito da Mengs tra il 1760 e il 1761. Gli anni di villa Albani, trascorsi al fianco del cardinale Alessandro, di Winckelmann e dello stesso Mengs, costituirono un momento di passaggio sostanziale nell'iter artistico del L.; l'assunzione dei modelli antichi quale primaria fonte d'ispirazione, nonché catalizzatori di un più generale processo di rinnovamento legato allo stile e all'inventio, avrebbe segnato, indirizzandole, le tappe successive della sua carriera.
Intensi furono anche i rapporti con la famiglia Chigi. Tra il 1765 e il 1767 partecipò all'allestimento del salone d'Oro al piano nobile di palazzo Chigi (in parte rimodernato in occasione delle nozze del principe Sigismondo con Maria Flaminia Odescalchi), dipingendo una serie di ovali a olio con figurazioni antichizzanti, e alla decorazione della stanza da letto con giochi di putti entro ovali.
Il principe Sigismondo - complessa figura di letterato, poeta e colto mecenate - commissionò ancora al pittore, tra il 1781 e il 1782, le decorazioni di una stanza intitolata alla Poesia nel palazzo di famiglia ad Ariccia. Il registro inferiore delle pareti ospitava, divisi in due ordini e incorniciati da ornati a grottesche, diciassette riquadri di soggetto ariostesco, poi cancellati nel 1788 per fare posto alle grandi tempere di Cades con storie tratte dall'Orlando furioso (Di Macco); ancora esistente è invece il fregio monocromo della parte alta delle pareti con Apollo e le nove muse e le due memorie allegoriche dedicate a Omero e ad Ariosto.
Tra il 1771 e il 1773 dipinse a Roma Psiche davanti a Giove per la volta di una stanza al piano nobile del palazzo Borghese, all'interno di un più ampio progetto decorativo che interessò diversi ambienti dell'edificio.
Al 1773-74 risalgono le decorazioni di due gabinetti a palazzo Stoppani (oggi Vidoni-Caffarelli), commissionate dal cardinale Giovan Francesco Stoppani.
Uno dei due ambienti, oggi distrutto, era decorato a grisaille con Apollo e le muse; nell'altro, ancora esistente, una serie di grottesche all'antica incornicia il riquadro centrale della volta con il Carro di Proserpina, mutuato dai noti modelli di Guido Reni (casino Rospigliosi Pallavicini) e di Gian Francesco Barbieri detto il Guercino (casino Ludovisi).
In qualità di pittore dei Sacri Palazzi apostolici, carica assegnatagli nel 1768 alla morte di Stefano Pozzi, il L. fu impegnato nel 1772, insieme con gli allievi Bernardino Nocchi, Stefano Tofanelli e Marcello Leopardi, nel restauro degli affreschi cinquecenteschi di villa Giulia; tra il 1768 e il 1779 eseguì, a più riprese, i cartoni per i mosaici con i quattro Padri della Chiesa per i pennacchi della cupola della cappella Gregoriana in S. Pietro.
Ancora per il cardinale Giovan Francesco Albani, nel 1776 eseguì insieme con i giovani allievi lucchesi Nocchi e Tofanelli - poi divenuti tra gli artisti di maggior spicco nel panorama artistico romano dell'ultimo ventennio del Settecento - la decorazione a grottesche del salone Riario dell'episcopio di Ostia.
Accademico di S. Luca dal 1766, nel 1780 fu nominato sottocustode dei Musei Capitolini; nel 1785 tenne per un anno la carica di direttore della scuola del nudo in Campidoglio.
Rilevante fu anche la sua attività di antiquario e di mercante di scultura antica.
Nel 1779 vendette al costituendo Museo Pio-Clementino la celebre scultura della Venere al bagno, mentre nel 1789, grazie alla mediazione di Francesco Piranesi, la nota Minerva Pacifera, da poco scoperta e acquistata dal pittore, fu ceduta a Gustavo III di Svezia e trasferita nella galleria d'antichità del palazzo reale di Stoccolma, ove tutt'oggi si conserva.
Il L. morì a Roma nel 1790.
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