LISI, Nicola
Nacque a Scarperia, nel Mugello, l'11 apr. 1893 da Giuseppe, piccolo possidente, e da Anna Savi. Nella sua città il L. portò a termine il corso di studi primari e poi si trasferì a Firenze, dove conseguì il diploma di perito agrimensore. Lavorò sempre presso l'ufficio tecnico della Provincia di Firenze.
Visse nel capoluogo toscano, ma la sua casa di Ponzalla, piccolo centro mugellano, rimase il rifugio delle meditazioni e la sede privilegiata delle creazioni letterarie. La vita del L. rispecchia perfettamente il suo modo di essere, modesto e diligente, benevolo e attento alle esigenze degli altri. Acuto osservatore della natura e degli uomini, dedicò la sua vita alla famiglia, alla professione e agli amici che con lui condividevano un sincero sentimento religioso. Amante dei luoghi nativi e dei suoi abitanti celebri, trascorreva lunghe ore in contemplazione dei luoghi artisticamente più rilevanti, o nei musei fiorentini. Amico di famosi pittori, raccolse una notevole collezione di quadri.
Tra il 1916 e il 1918 il L. partecipò alla prima guerra mondiale combattendo in Friuli, esperienza che incise sul suo animo mite e avverso alla violenza. A Firenze frequentò - con la discrezione che lo contraddistinse in ogni espressione personale e letteraria - l'ambiente dei caffè letterari: primo fra tutti quello delle Giubbe rosse, dove ebbe modo di conoscere artisti, scrittori e filosofi, stringendo amicizia con figure di spicco come O. Rosai e A. Palazzeschi.
Tuttavia ben presto il L. scoprì una profonda sintonia di intenti ed esigenze con due intellettuali che, come lui, non potevano essere annoverati, stricto sensu, tra gli "addetti ai lavori" e che, come lui, erano convinti credenti: P. Bargellini e C. Betocchi. Nel 1923 i tre diedero alla luce il Calendario dei pensieri e delle pratiche solari, un almanacco - che ebbe breve vita, un anno circa - stampato in una veste tipografica simile alle stampe popolari del Sette-Ottocento, nel quale erano raccolti racconti agiografici, aforismi, proverbi e apologhi moraleggianti.
Nel titolo la pubblicazione evidenziava chiaramente le intenzioni sottese: il Calendario voleva invitare al recupero di una vita attenta al passaggio delle stagioni e alle tradizioni a esse collegate, all'adesione a una vita naturale e quindi più vicina alla verità della Provvidenza.
L'avventura del mensile Il Frontespizio è di sei anni posteriore (26 maggio 1929); ancora una volta, insieme con il L., furono gli amici Bargellini (direttore dal 1931) e Betocchi a condividere l'esperienza. Nella redazione della rivista il L. incontrò scrittori di più consolidata fama, come G. Papini, A. Soffici, o esordienti destinati a lunghe e fortunate carriere, quali C. Bo e M. Luzi.
Evidentemente ispirate allo spiritualismo cattolico, nelle due riviste è palese la prevalenza sugli intenti estetici della necessità di una "letteratura aderente alla vita reale vissuta"; l'obiettivo principale consisteva nel riprodurre onestamente la realtà dell'esperienza contingente quale prova della Provvidenza e dell'amore del Creatore. Nella scrittura del L. - che si cimenta in diversi generi letterari, dal diario al teatro, dalla favola al racconto - si rilevano alcune costanti: semplicità, fede cristiana, presenza della Toscana e del Mugello. Sono questi gli elementi che mescolandosi e integrandosi danno vita a una prosa schietta e immediata, essenziale e suggestiva.
Nel 1928 il L. pubblicò un'opera teatrale sui generis: L'acqua (Firenze 1928); in seguito sarebbe tornato al teatro con La via della Croce (Milano 1953) e con Aspettare in pace (Firenze 1957).
Il primo testo, distribuito in scene corredate da didascalie, non è suddiviso in atti, ma in tre parti sostanzialmente autonome, ognuna preceduta da un titolo: Il mare, otto scene in due parti; L'acqua sulla terra, undici scene più una "scena ultima"; L'acqua consacrata, diciotto scene più una "scena ultima", in due parti. L'elemento acqua e il personaggio del girovago, che compare in tutte le parti e vive su di sé l'esperienza del dolore di tutti gli altri personaggi, sono gli elementi unificanti. A rendere omogeneo il testo, ancora più dell'acqua e del girovago, è però la continua presenza della Provvidenza: è il Creatore che controlla la tempesta della prima parte; è ancora Lui che permette di trovare l'acqua nella seconda parte e che governa la vita e la morte nella terza. Ma insieme con il divino, propulsore di bellezza e di gioia, compaiono anche il diavolo e l'inferno, che sono tratteggiati secondo i canoni della psicologia contadina e non travalicano mai i limiti dell'ortodossia cattolica.
Nonostante sia la Provvidenza il fulcro di tutta la sua produzione, il L. non intese trasmettere un insegnamento o una morale. Nelle Favole (ibid. 1933) "non c'è furbizia, non c'è compiacimento moralistico, c'è soltanto contemplazione e, nell'ambito di questa contemplazione, l'espressione di una felicità fra soprannaturale e naturale che non ha mai nulla di episodico né di caratteristico" (Bo, Invito alla lettura, p. XIV).
Le favole, spesso molto brevi, tendono a riprodurre in un'immagine vivida e colorata i piccoli eventi della natura, così veri e allo stesso tempo come velati da un senso di trascendenza da lasciare il lettore in stato di sospensione.
Tale rispetto per il mistero che avvolge la vita degli esseri umani, e cioè dei figli di Dio, risulta ancora più forte nei due romanzi Ilpaese dell'anima (Firenze 1934) e Diario di un parroco di campagna (ibid. 1942), forse il libro più noto del Lisi.
Il primo, suddiviso in tre sezioni (Visioni, Racconti, Dialoghi) corredate da illustrazioni di G. Manzù, narra episodi realmente accaduti. Il luogo d'elezione, trasformato in una sorta di paesaggio edenico, è Scarperia; si tratta di un vero e proprio paese dell'anima, perché ogni esperienza è vissuta in relazione alla propria interiorità, con la consapevolezza che essa è lo specchio di quel divino da cui l'uomo ha tratto la sua origine.
Allo stesso modo, nel Diario, i piccoli eventi di ogni giorno, vissuti e annotati dal punto di vista dell'anziano parroco del paese (cioè di un semplice, come i personaggi di cui egli stesso narra), acquistano il sapore del miracolo. Tuttavia non c'è nulla di smaccato o eclatante. Le vicende, le apparizioni evangeliche e soprannaturali, scaturiscono dalla consuetudine di vivere la propria esistenza in contemplazione; sono la conseguenza necessaria e naturale della ricerca di chi, credendo ancora nell'esistenza dell'anima, coglie tutto ciò che di miracoloso accade ogni giorno: così, l'evento misterioso, avvolto nel tepore della saggezza popolare toscana, si mantiene nei limiti dell'arcano che incuriosisce, attrae e incute al tempo stesso il rispetto dell'inesplorabile. Ogni uomo deve sempre tenere ben presente il proprio limite di essere umano e attendere pazientemente la ricompensa che gli spetta: la pace dell'aldilà.
La fede, protagonista della produzione del L., non conosce dubbi, non ammette incertezze o momenti di sconforto. Alla base di essa ci sono una completa fiducia nella bontà della volontà divina e un profondo amore per le creature e la natura: Amore e desolazione. Diario 1° gennaio - 31 luglio 1944 (ibid. 1946) ne è un esempio eloquente. L'opera, nata come appunti di diario presi durante i bombardamenti su Firenze, offre testimonianze quanto mai commoventi e realistiche.
La città è naturalmente per il L. così importante, così profondamente parte del suo essere, da portarlo a scrivere: "Ma ecco, chiedo una grazia, la stessa forse di molti tra i presenti. Così penso, perché domando a Dio che Firenze sia salvata dalla guerra, mi sento dilatato in comunione e perciò uscito dall'angustia di me stesso" (p. 160). Con uno stile controllato ed elegante, con toni delicati ed essenziali, il L. affresca un dramma corale vissuto tuttavia con compostezza e in intimità.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale per il L. non fu immediato il recupero della tranquillità d'animo necessaria alla scrittura: La nuova Tebaide (ibid.) è infatti del 1950 poiché, come egli stesso scrive, "Nell'animo dell'autore ci erano voluti anni di pace per il recupero visionario. L'attesa del tempo fu, questa volta, anche l'attesa di uno spazio graziato che ebbe, per l'autore, riscontro nell'orto e prato dei francescani, dietro la maggiore collina di Fiesole" (N. Lisi, Opere, I, 1946-1973, Firenze 1976, p. 114).
Il libro si compone di una serie di racconti i cui protagonisti spesso sono angeli - simboli di eterna bellezza e splendore -, pellegrini, fedeli: figure eccezionali, specchio di una spiritualità esemplare. In queste prose l'autore mantiene un equilibrio armonico ed elegante tra il detto e il non detto, il reale e il soprannaturale grazie all'ariosità che riesce a imprimere alla sua scrittura.
Di nove anni più tardi è La faccia della terra (ibid. 1959), in cui il L. recupera sia la tecnica compositiva delle Favole, sia lo stile conciso e la visione delle cose, colte dal punto di vista del semplice, di colui che incarna il legame tra la natura e il Creatore. Nella prima parte i testi sono prossimi alle dimensioni e ai contenuti dell'aforisma; nelle altre tre parti, invece, la prosa si dilata e in qualche modo preannuncia (si vedano le ultime prose che s'intitolano tutte Parlata su…) l'ultima sua opera: La parlata dalla finestra di casa (ibid. 1973), preceduta da La mano del tempo (ibid. 1965).
Quest'ultima si compone di quattro parti dedicate alle stagioni, consistenti di 52 brevi prose ciascuna (tranne la Primavera che ne conta 53), bozzetti veloci, essenziali e agili, fittamente tramati di colori e di profumi. Oltre alla classica trasfigurazione del reale, si assiste a una sorta di antropomorfizzazione della natura: l'inverno è "ormai un vecchio che la desiderosa fanciulla riconduceva a casa […] nei giorni già fioriti di mandorli aerei e profumati di mammole erbose" (p. 224); mentre la presenza umana diminuisce ed è sempre e solo allusa, mai esplicita, e sempre più forte è la presenza del Divino che si manifesta negli eventi naturali scanditi dal trascorrere del tempo e delle stagioni.
La parlata, scritta da un L. ormai ottantenne, ripercorre l'intero arco della sua vita procedendo non in ordine cronologico, ma secondo associazioni di idee, ricordi, immagini.
Il punto di partenza è, naturalmente, l'amato Mugello, animato da quelle figure di paesani che, esulando da un qualsiasi rischio di provincialismo, divengono il paradigma del mondo autentico. Nel corso della conversazione il L. ricorda le figure di amici e conoscenti, dai celebri intellettuali fiorentini ai semplici contadini di Scarperia. E nel rievocare tutto ciò, confessa, lasciandolo trasparire, il senso della sua scrittura: come per Beato Angelico, o come per Giotto, il desiderio più grande è quello di dipingere con gioia l'Eterno. Tramite un'auscultazione attenta e accurata del reale e delle anime, il L. scopre di far parte del creato e di un progetto proiettato ben oltre i confini dell'umano: in tal modo prendendo le distanze da quel sentire novecentesco di tipo esistenzialistico, caratterizzato da profondo disagio e dall'assenza di speranza.
Negli ultimi anni il L. si era dedicato alla preparazione di una raccolta di tutte le sue opere che fu pubblicata, postuma, da Vallecchi (I, 1928-1944; II, 1946-1973, Firenze 1976).
I due volumi contengono tutte le opere del L. come egli stesso le aveva preparate, in alcuni casi smembrate, oppure arricchite e fuse. Un esempio è quello delle Favole, che egli arricchì con 41 pezzi attingendo da La faccia della terra (1ª ed., ibid. 1959).
Il L. morì a Firenze il 24 nov. 1975.
I figli Giuseppe e Cecilia, dopo la morte del L., donarono i suoi manoscritti e i documenti all'Archivio contemporaneo "A. Bonsanti" presso il Gabinetto scientifico G.P. Vieusseux; i volumi della sua collezione furono donati alla Biblioteca municipale di Scarperia.
Fonti e Bibl.: P. Gonnelli, N. L., in Letteratura italiana. I contemporanei, II, Milano 1963, pp. 1037-1050; P. Pancrazi, N. L., o il magico quotidiano, in Id., Ragguagli di Parnaso, Milano-Napoli 1967, pp. 145-153; L. Del Zanna, N. L. viandante pacifico, in Scrittori italiani, II, Cicognani, Papini, Giuliotti, L., Sanminiatelli, Tecchi, Cecchi, Milano 1971, pp. 95-130; C. Bo, Invito alla lettura, in N. Lisi, Opere, I, 1928-1944, Firenze 1976, pp. V-XX; L. Baldacci, Nota, ibid., pp. XXI-XXV; C. Bo, La geometria celeste di L., in L'Approdo letterario, XXII (1976), 73, pp. 3-19; F. Del Beccaro, N. L., in Letteratura italiana contemporanea, a cura di G. Mariani - M. Petrucciani, Roma 1980, II, pp. 495-501; M. Luzi, Per ricordo di L., in Id., Discorso naturale, Milano 1984, pp. 35-40; E. Baccheretti, N. L., in Narratori italiani del primo Novecento. La vita, le opere, la critica, a cura di G. Luti, Roma 1985, pp. 99 s.; M. Guidacci, L., o la celeste assenza, in N. Lisi, Voci da una parlata e altri segni, Pistoia 2003, pp. 119-124; L. Piccioni, L. uomo di pace, ibid., pp. 9-16; D. Scarpa Di Zanni, La parola e il silenzio: primi piani sull'invisibile e La vita e le opere, ibid., rispettivamente alle pp. 17-20, 115-118; Panorama biogr. degli italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, Roma 1956, II, p. 863.