MAFFEI, Nicola
Figlio di Lodovico e di Vittoria Gonzaga, nacque a Mantova nel 1487, nello stesso anno in cui moriva il padre, appartenente a un ramo della famiglia Maffei originario di Volterra, trasferitosi nella città padana nel secolo precedente. Al titolo comitale ereditato dal genitore vide aggiungersi, nel 1518, la conferma dei privilegi imperiali concessi ai Maffei sui possedimenti nel territorio mantovano.
Nello stesso periodo contrasse matrimonio con una non meglio identificata Isabella, dalla quale avrà tre figli: Claudia, Carlo e Federico. Dei due maschi, il primo morirà senza eredi nel 1568; il secondo gli assicurerà la discendenza unendosi in matrimonio con la figlia naturale del cardinale Ercole Gonzaga.
Il legame con la famiglia Gonzaga e ancor più la fedeltà nei confronti del marchese - poi duca - di Mantova Federico II rappresentarono la vera costante della vita del Maffei. In virtù del saldo e leale rapporto fiduciario che seppe stabilire con il suo signore, divenne in breve uno degli uomini più influenti a corte, guadagnandosi un privilegiato ruolo di consigliere e ricoprendo importanti e prestigiosi incarichi diplomatici.
Già dal 1519 fu attivamente impegnato in mediazioni politiche di un certo rilievo per conto del giovane marchese di Mantova non ancora nel pieno dei poteri. Ma la sua prima importante missione diplomatica si svolse tra l'ottobre del 1519 e l'aprile del 1520 in Spagna, dove Carlo V aveva da poco ricevuto la notifica della sua elezione da parte dei sette elettori tedeschi. L'abilità del conte, scelto probabilmente anche per il titolo nobiliare che gli consentiva di accedere direttamente alla presenza dell'imperatore, consentì al Gonzaga di consolidare i rapporti con gli Asburgo nello stesso momento in cui stringeva alleanza con il re di Francia.
Fra i dispacci inviati periodicamente dal M. alla corte mantovana si distingue, per interesse documentario e ricchezza di dettagli, la descrizione della cerimonia della consegna ufficiale a Carlo V dell'atto di elezione, avvenuta a Molin de Rey il 1 dic. 1519.
Rientrato in Italia nel momento in cui Federico Gonzaga era nominato capitano generale delle truppe pontificie, il M. continuò a mantenere i contatti con la corte cesarea, sbrigando i più diversi affari di Stato in assenza del marchese. Nel 1522, compare nei documenti con la qualifica di "commissario generale delle genti d'arme" e da una missiva del Gonzaga si può inferire la sua diretta partecipazione alla battaglia di Pavia nel febbraio 1525.
L'anno successivo il M. fu nominato podestà di Viadana e, in seguito alla formazione della Lega di Cognac - costituita nel 1526 tra il papa, il re di Francia, Francesco Sforza e Venezia contro Carlo V -, fu inviato in missione diplomatica a verificare la solidità dei nuovi equilibri politici e a gestire la scomoda, nonché contraddittoria, posizione del Gonzaga, vassallo dell'imperatore e nello stesso tempo capitano delle truppe papali. Con ogni probabilità, l'impegno profuso gli valse, nel 1527, il gratificante e onorifico appellativo di consocius del signore di Mantova.
Strategicamente orientato sul versante filoasburgico, tra l'ottobre e il novembre del 1530 Federico, ora duca, inviò nuovamente il M. presso la corte cesarea, in quel tempo ad Augusta, con il preciso compito di convincere Carlo V ad annullare le sue nozze con Giulia d'Aragona - combinate dallo stesso imperatore - e ad appoggiare la sua futura unione con Margherita, figlia di Guglielmo IX Paleologo, la quale, dopo la morte della sorella Maria, già sposa di Federico, era divenuta erede diretta del defunto marchese del Monferrato. La difficoltà della missione avrebbe messo alla prova le collaudate abilità diplomatiche del M., considerato che presso la corte risiedeva già, in qualità di ambasciatore di Mantova, Sigismondo Della Torre. Le aspettative non furono tradite: la risoluta e decisa mediazione del M., i suoi mirati doni al consigliere imperiale Francisco de los Cobos - su tutti, il ritratto della sua amante Cornelia Malaspina, eseguito da Tiziano (Bodart, 1998, pp. 80 s.) - permisero l'anno successivo a Federico di contrarre matrimonio con Margherita. In occasione delle nozze, il M. si occupò personalmente della risistemazione del castello, facendo collocare nelle stanze destinate ad accogliere la duchessa anche il suo dono agli sposi: un non meglio identificato dipinto di Leonardo da Vinci, posto accanto a un Cristo in scurto di Mantegna, una S. Caterina di Giulio Romano e un S. Girolamo di Tiziano.
Morto senza eredi, nel 1533, Giovanni Giorgio Paleologo, zio di Margherita e ultimo rappresentante maschile della casata, il Gonzaga rivendicò immediatamente il suo diritto a essere investito del titolo di marchese del Monferrato. Entrato in Casale Monferrato per prenderne possesso, incontrò la resistenza dei cittadini, che occuparono il castello e invocarono l'intervento dell'imperatore. Le trattative che seguirono alla sedizione giunsero a un positivo epilogo solo tre anni dopo, nel 1536, ancora una volta grazie al determinante contributo del M., che concluse la sua carriera diplomatica con un'ultima missione presso la corte di Carlo V. L'imperatore era in quel tempo a Napoli, reduce dalla conquista di Tunisi. Compito del M. era quello di persuaderlo a concedere al Gonzaga il diploma di legittimo marchese del Monferrato, nonostante le pretese avanzate su di esso dal duca di Savoia e dal marchese di Saluzzo e l'ostilità di A.P. de Granvelle, uno dei più alti dignitari della corte imperiale. Intuendo il bisogno in cui si trovava l'esercito imperiale dell'appoggio delle truppe gonzaghesche per fronteggiare l'imminente campagna antifrancese pianificata da Carlo V, il M. riuscì a manovrare abilmente e a porre sicure basi per il positivo esito dell'incarico affidatogli.
L'autorevole posizione di cui godeva favorì anche i suoi rapporti con letterati, artisti, mercanti d'arte che gravitavano, o cercavano di introdursi, nell'ambiente culturale mantovano. Amico di B. Castiglione e personalmente coinvolto nella pubblicazione del Cortegiano, il M. è ricordato in una delle Novelle di M. Bandello (p. I, nov. 50) e nel Prologo del Marescalco di P. Aretino, che lo definì "albergo di vertù e rifugio de i vertuosi".
Cultore del bello e appassionato collezionista, nel 1517 in una lettera inviata da Roma a Isabella d'Este descriveva il suo rapimento estatico al cospetto dell'Apollo del Belvedere, annunciandole un soddisfacente acquisto di marmi, medaglie e gioielli antichi. I rapporti con i mercanti d'arte si intensificarono nel corso degli anni Trenta, con l'acquisto per conto di Isabella, di Federico Gonzaga, nonché suo, dei dipinti fiamminghi giunti a Mantova con Matteo del Nassaro e dei marmi della collezione Mainoldi.
In contatto diretto, sin dai primi anni Venti, con gli artisti di corte Lorenzo Leonbruno (Ventura) e Giulio Romano, insieme con il quale sottoscriverà numerose concessioni edilizie, agli inizi degli anni Trenta fu coinvolto da Federico Gonzaga nella realizzazione del monumento funebre del padre, anche se, nonostante le ripetute sollecitazioni da lui rivolte allo scultore ferrarese Alfonso Lombardi, il lavoro non fu portato a termine. È, invece, indirettamente documentata la corrispondenza, tra il 1530 e il 1534, con Tiziano, per il quale il M. cercò di agire da intermediario, ma senza successo, per l'acquisto di alcune terre nel Trevigiano e a cui commissionò la Cena in Emmaus oggi conservata al Louvre.
Il dipinto è citato per la prima volta nel 1581, in una lettera di un agente mantovano residente a Roma, Camillo Capilupi (Rebecchini, 1995, p. 44), che richiedeva a un suo cugino mantovano di commissionare a Lorenzo Costa il Giovane una copia del Christo che andava in Emmaus di Tiziano, conservato in casa di Federico Maffei, erede del conte Nicola. Passato successivamente al primogenito di Federico, che si chiamava anche lui Nicola, nel 1589 il quadro risulta ancora fra i beni di famiglia, e compare nell'inventario stilato in occasione della prematura morte del nipote del Maffei. Il cervo rampante, stemma araldico della famiglia, è oggi appena distinguibile, sotto una ridipintura, sullo sgabello in basso a destra. In alto a sinistra, celata per metà da una colonna, è invece bene in evidenza un'aquila, arma dei Gonzaga, ma anche intenzionale allusione all'insegna imperiale. La precisa collocazione nel dipinto dei due riferimenti araldici - sono collocati in corrispondenza degli apostoli che assistono alla miracolosa epifania di Cristo - ha indotto la critica a identificare nei volti di Luca e di Cleofa i ritratti di Federico Gonzaga e del Maffei. Pur rimanendo aleatoria la possibilità di verificare questa ipotesi, è la stessa presenza degli stemmi, e in particolare la doppia valenza semantica del blasone gonzaghesco-imperiale a definire efficacemente le coordinate entro le quali si svolse la vicenda del personaggio.
Nel corso della sua missione diplomatica a Napoli, le precarie condizioni di salute del M. si aggravarono, inducendo Federico Gonzaga a richiamarlo a Mantova nel marzo del 1536. Affetto da idropisia, il M. fu costretto a rientrare in città su una lettiga. Avvertendo l'approssimarsi della fine, il 15 giugno dettò il suo testamento al fidato amico Giovan Battista Portanova, nominando eredi universali i suoi figli. Lasciava loro anche la discreta raccolta di antichità che era riuscito a formare nel corso della sua vita, riservando al duca di Mantova il diritto di prelazione su di essa: il vincolo di non alienare le preziose sculture era infatti subordinato alla volontà "dello eccellentissimo signor duca nostro, che sia patron di quello piacerà a sua signoria" (Rebecchini, 2002, p. 61).
Il M. morì a Mantova il 19 giugno 1536 senza poter assistere all'ingresso del Gonzaga in Casale Monferrato. In ossequio alle sue ultime volontà, fu sepolto in abiti da frate nella chiesa di S. Bartolomeo (in seguito distrutta).
Fonti e Bibl.: M. Bandello, Le novelle, a cura di G. Brognoligo, II, Bari 1928, p. 222; P. Aretino, Teatro, a cura di G. Petrocchi, Milano 1971, p. 5; G. Rebecchini, Tiziano e Mantova: la Cena in Emmaus per Nicola Maffei, in Venezia Cinquecento, n.s., V (1995), pp. 41-68; D.H. Bodart, Tiziano, Federico Gonzaga e l'affare delle terre del Trevigiano, in Quaderni di Palazzo Te, II (1995), pp. 28 s.; L. Ventura, Lorenzo Leonbruno. Un pittore a corte nella Mantova di primo Cinquecento, Roma 1995, pp. 50 s., 66, 260 s., 282; G. Rebecchini, Per una biografia di N. M., in Civiltà mantovana, XXXI (1996), pp. 75-92; D.H. Bodart, Tiziano e Federico II Gonzaga. Storia di un rapporto di committenza, Roma 1998, pp. 80 s., passim; G. Rebecchini, N. M. ambasciatore presso Carlo V nel 1519-20, in Quaderni di Palazzo Te, n.s., V (1999), pp. 98-103; Id., Private collectors in Mantua. 1500-1630, Roma 2002, pp. 52-68, 273 s.