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MALDACEA, Nicola

di Stefania Chiocchini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)
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MALDACEA, Nicola

Stefania Chiocchini

Nacque a Napoli, il 29 ott. 1870, da Ernesto, di origine calabrese, e da Concetta De Vincentiis, napoletana; unico figlio maschio ebbe due sorelle, Evelina ed Ermelinda.

Il padre, maestro elementare presso la scuola annessa al liceo-ginnasio P. Giannone, dove anche il M. studiò, era un appassionato filodrammatico e talvolta recitava con compagnie professionali, integrando così il modesto stipendio, spesso pesantemente decurtato da un'accanita e sfortunata frequentazione del gioco del lotto; passioni, il teatro e il gioco, che trasmise entrambe al figlio.

Contestualmente all'attività scolastica vera e propria, il M. cominciò a frequentare la scuola di dizione e recitazione di C. Marroccelli, ben nota a Napoli, dimostrando notevoli doti di attore prima nei saggi scolastici e poi nelle piccole compagnie che gli allievi organizzavano e con cui giravano nei teatrini dell'hinterland napoletano (il debutto del M. avvenne nel 1888, in una imprecisata commedia di E. Scarpetta), e nelle "periodiche" - riunioni che si tenevano in case borghesi e che raccoglievano un pubblico familiare intrattenuto con numeri canori, lettura di versi, scenette -, dove il M. esordì appunto producendosi in un monologo di A. Brofferio,

I capelli, nella dizione di poesie di Ferdinando Russo e G. Capurro e in qualche canzonetta comica.

Le periodiche, di fatto, nel vivace ambiente teatrale cittadino, erano per i giovani attori un banco di prova dove, oltre a guadagnare qualche soldo, cominciavano a farsi conoscere e individuavano e si costruivano un proprio repertorio.

Appunto in una di queste occasioni, in casa del deputato P. Billi, le potenziali capacità del M. colpirono un musicista ben noto a Napoli, V. Valente, il quale gli offrì la possibilità di utilizzare tre canzoni "leggere" da lui musicate su versi di S. Di Giacomo: Canzone amirosa, Statte Peppì, Dimane t' o dico. A questo primo nucleo repertoriale il M. aggiunse una parodia dell'Otello (con A. Riccio e S. Basile), un duetto comico, La sposa e il notaio, e ancora altre canzoni comiche (per esempio tre di Albertin [A. Aversano]: 'A tabaccara, 'A cagnacavalla, 'A maestrina), evidenziando una sua collocazione "mista", come cantante-attore comico piuttosto che come buffo tout court.

Dopo neppure un anno di attività pubblica, nel 1889, il M. era abbastanza conosciuto da risvegliare l'interessata attenzione di L. Speranza, un "seratante" (venditore privato di biglietti cui l'amministrazione dei teatri affidava un certo numero di posti da piazzare) del Partenope, la cui segnalazione gli procurò una scrittura nella compagnia di Davide Petito, fratello del celebre Pulcinella Antonio. A breve, fu poi contattato da G. Pantalena, famoso attore di Scarpetta, che ogni tanto faceva compagnia per suo conto; e con Pantalena il M. debuttò al Nuovo, il 13 sett. 1890, in Scorza, Mollica e compagnia, commedia adattata dal francese - secondo l'uso corrente nel teatro d'epoca, in particolare napoletano - da V. Di Napoli-Vita e L. Campesi, i quali, anche organizzatori della compagnia, ad appena tre giorni dal debutto, lo impegnarono a prodursi, durante gli entr'actes, in qualche canzone.

Durante la permanenza nella compagnia Pantalena, il M. ricoprì ruoli comici da attor giovane in un buon repertorio dialettale; gli autori, oltre a Campesi e Di Napoli-Vita, erano G. Cognetti, N. Misasi, F.G. Starace; fra gli spettacoli cui prese parte, il testo più impegnativo fu forse 'O vuto, trasposizione in dialetto di Di Giacomo da un lavoro in lingua di Cognetti. Ma il ruolo che lo lanciò fu quello del Marchesino Chiappino in Santarella - ennesima trasposizione di Mam'zelle Nitouche, di Hervé (F. Ronger), uno dei grandi successi di Scarpetta - nel corso di una tournée a Palermo dove pure continuava a prodursi, fra un atto e l'altro, nel suo repertorio di canzoni; divenuto il beniamino dell'alta società locale, passò a recitare nei palazzi nobiliari, compiendo un salto di qualità rispetto alle borghesi periodiche.

Di nuovo a Napoli, nei primi mesi del 1891 Pantalena, ritornato nella compagnia Scarpetta, propose il nome del M., che il grande capocomico utilizzò per qualche tempo, in prova e senza paga; quindi, partendo in tournée per Roma, Scarpetta lo impegnò per il periodo successivo al suo rientro a Napoli promettendogli una paga giornaliera di 7 lire, ma senza la firma di alcun contratto. Fu durante questa fase di momentaneo stallo che il M. venne contattato dalla direzione del café chantant salone Margherita, da meno di un anno inaugurato a Napoli, nel sotterraneo della galleria Umberto I, sul modello di consimili attrazioni parigine.

Il M., partendo dalle sue specifiche doti di cantante-attore e con l'aiuto di scrittori e musicisti che lo dotarono di un ampio repertorio, seppe creare un genere particolarmente congeniale a questa nuova realtà, la macchietta, che fece di lui, per lunghi anni, un divo a livello nazionale.

Il termine "macchietta" - il M. se ne attribuì l'invenzione, e l'etimologia che ne dà è di origine pittorica - verrebbe da macchia nel senso di schizzo, colorato e colorito, che tratteggia rapidamente un personaggio, una figurina: nel breve spazio di una canzone, recitata più che cantata, i versi del poeta e l'accompagnamento musicale, fusi e arricchiti dall'interpretazione, disegnano un carattere, un tipo: "Le macchiette "letterarie" erano "mimi" autoraccontati e tipizzati con precisione fotografica e un tantino caricaturale, in una forma intermedia tra il monologo ottocentesco e la canzonetta. La musica non aveva che funzione di commento, semmai accentuando ad un punto d'arrivo ritmicamente dato, il valore di una battuta per l'effetto finale del componimentino" (Viviani, p. 701).

Al salone Margherita, dove esordì il 28 maggio 1891, scritturato per 400 lire al mese come "chanteur comique napolitain" per uno spettacolo a sera più le matinées, dagli impresari e proprietari G. Marino ed E. Caprioli, il M. passò velocemente dalle iniziali canzoni brillanti che lo avevano fatto precedentemente conoscere, alle macchiette vere e proprie.

Questa rapida evoluzione fu propiziata in particolare, almeno all'inizio, dalla fantasia e dal gusto del già citato Ferdinando Russo, giornalista, letterato, scrittore che probabilmente affidò al M. l'interpretazione della prima vera e propria macchietta, L'elegantone, parodia del nobile vanerello e sbruffone ("Non bado, sa, allo spicciolo, / mille, duemila, che! / Sono sciocchezze, inezie! / Oh! ciao, addio, Marché!"), personaggio di matrice scarpettiana, comunque uno dei tantissimi tipi di quell'antropologia napoletana che Russo e molti altri - U. Ricci (Mascarille), P. Cinquegrana, V. Ruotolo, R. Galdieri (Rambaldo), E. Murolo, E. Nicolardi (C.O. Lardini), G. Lustig, C. Veneziani, G. Capurro, A. Salustri (Trilussa), su musiche principalmente di Valente ma anche di S. Gambardella, M. Costa, G. Di Gregorio, E. Di Capua ecc. - vollero affidare all'abilità del M. per divertire il pubblico (e gran parte del divertimento consisteva nel riconoscere la fonte della macchietta, e ovviamente nell'essere riconosciuti), per guadagnare - perché per parecchi anni ogni canzone del M. fu un redditizio successo - ma anche, almeno da parte degli autori napoletani, come uno dei modi possibili per salvare un dialetto sentito come lingua e un mondo (L'oro di Napoli, sintetizzando con il titolo dei racconti di G. Marotta) che si temeva di veder scomparire nel gran calderone nazionale.

La macchietta del M., scrisse E. Corradini, "È come uno specchio di cosa veduta" (Memorie di Maldacea, p. 1); ed ecco, negli anni, i mille personaggi della vita quotidiana della città, spesso esportabili e riconoscibili anche fuori Napoli, caricaturati, parodiati ma realistici, piccole "maschere sociali": eleganti ridicoli, nobili spiantati e supponenti (Don Frichino, Le vieux garçon, Il conte Flick), frati gaudenti (Fra' Brasciola, Pozzo fa' 'o prevete, 'O bizzoco fauzo), sbirri, ciceroni ignoranti (Il cicerone), mariti traditi e contenti (Don Saverio, Il marito moderno), guappi e camorristi, nostalgici del re Borbone ('O pezzente 'e San Gennaro, 'O 'mbriaco, 'O scioglimento d'o cuorpo), cocottes (La cocotte intellettuale), madri pronte a mettere le figlie sul mercato (Il madro), vecchi maldicenti ('O rusecatore). Un'infinità di titoli (solo Russo gliene scrisse più di cinquanta), tutte tipologie che si ripropongono molte volte da parte di autori diversi, dal momento che all'apice del successo il M. macinava quotidianamente un enorme repertorio; tutti osservati con comica attenzione ma in fondo senza vera cattiveria, senza autentico sarcasmo.

Il M., piccolo e rotondetto, naso corto e labbra sottili, una voce non forte nel canto, ma capace di un dialetto elegante e tuttavia assolutamente verace e autentico, curava molto il trucco: nasi finti e parrucche; e l'abbigliamento, sufficientemente ma mai eccessivamente caricaturale, talvolta femminile. Furbesco, ammiccante, l'inclinazione elusiva e fondamentalmente incruenta della satira che il M. porgeva con grazia, corrispondeva perfettamente alla sua recitazione, abilissima nell'alludere senza dire, facile a cadere nel doppio senso, malizioso fino alla licenziosità e spesso alla volgarità.

Il suo successo fu immediato e dilagò presto oltre Napoli e anche oltre la tradizionale direttiva dell'Italia meridionale, prima a Roma poi anche al Nord; nei cafés chantants che si erano via via aperti in tutto il Paese, il M. fu, negli anni fra il 1890 e il 1920, il divo che chiudeva lo spettacolo insieme con le prime donne che simboleggiarono la belle époque come Lina Cavalieri o la Belle Otero. Duettista con le diseuses e soubrettes nazionali e internazionali (Emilia Persico, Amina Vargas, Eugénie Fougère, la Tortejada, Lucy Nanon, e soprattutto con la napoletana Amelia Faraone), guidò anche proprie compagnie, ma la sua celebrità era strettamente legata al café chantant e non sopravvisse a lungo alla scomparsa, dopo la guerra mondiale, della temperie sociale e culturale che l'aveva prodotta.

Il potenziale comico più autentico del M., al di là del doppio senso licenzioso, era troppo legato alle figure di un mondo divenuto inattuale; tuttavia il genere - la macchietta, modificata e aggiornata - transitò nelle varie forme di intrattenimento che derivarono dal café chantant (varietà, avanspettacolo, rivista, fino alla radio e alla televisione).

Il M. aveva guadagnato molto ma molto aveva speso anche in quel vizio del gioco che aveva rovinato il padre. Costretto a lavorare comunque, dalla seconda metà degli anni Venti, già avanti negli anni, prese la via delle piccole piazze della provincia meridionale che così poco aveva frequentato da giovane; nel 1933 un incidente, la falsa notizia della sua morte a Catania, dopo una reale brutta malattia, lo riportò alla memoria di un pubblico che lo aveva quasi scordato.

Il quotidiano napoletano Roma pubblicò a puntate le sue Memorie dettate al giornalista F. Verdinois (secondo altre versioni a G. Petriccione), edite nel 1933 con il titolo Memorie di Maldacea: vita, morte e resurrezione di un lazzaro del XX secolo dal napoletano Bideri, che pubblicò anche una scelta molto ampia delle sue macchiette, Repertorio scelto: macchiette e monologhi, ai cui indici si rimanda per un elenco esaustivo del repertorio del Maldacea.

Negli ultimi anni lavorò per il cinema sia pure in parti secondarie; fra i film più noti cui partecipò: Il feroce Saladino (regia M. Bonnard, 1937), Kean (G. Brignone, 1940), Miseria e nobiltà (C. D'Errico, 1941).

Il M. morì il 5 marzo 1945 a Roma, povero e oramai veramente dimenticato.

Aveva sposato la sorella di Amalia Faraone, Ersilia, da cui ebbe il figlio Eugenio.

Fonti e Bibl.: S. Manca, N. M.: appunti biografici, Palermo s.d.; A. Narciso, Napoli col suo manto di sole, Napoli 1946, p. 21; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, ad ind.; V. Paliotti, Il salone Margherita e la belle époque, Napoli 1975, passim e in partic. pp. 119-127; Follie del varietà, a cura di S. De Matteis - M. Lombardi - M. Somaré, Milano 1980, ad ind.; R. De Angelis, Café-chantant. Personaggi e interpreti, a cura di S. De Matteis, Firenze 1984, ad ind.; C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi, Firenze 1984, ad ind.; F. Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Roma-Bari 1988, ad indicem.

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