Nicola Parravano
Nicola Parravano ha rappresentato, negli anni tra le due guerre mondiali, un punto di riferimento per la chimica italiana. Egli fu una sorta di capo riconosciuto e indiscusso della comunità dei chimici del nostro Paese, nella ricerca accademica e nei suoi rapporti con il mondo della produzione e la società civile. Questo rende la sua figura particolarmente rilevante, al di là del valore intrinseco della sua attività scientifica, svoltasi nel campo della chimica applicata, con particolare attenzione alle leghe metalliche.
Nicola Parravano nacque a Fontana Liri (Frosinone), il 21 luglio 1883, da Antonio e Alessandrina Nardone. Compì gli studi superiori presso il liceo ginnasio Tulliano di Arpino. Nell’autunno del 1900 si iscrisse al corso di laurea in chimica a Napoli, ma dopo un anno si trasferì alla Regia Università di Roma, dove si laureò nel 1904. All’epoca il direttore dell’Istituto chimico di Roma era Stanislao Cannizzaro, affiancato da alcuni anni da Emanuele Paternò. Sotto la guida dei due illustri scienziati Parravano divenne preparatore dell’istituto chimico nel novembre del 1905, conseguendo poi la libera docenza nel febbraio del 1908 e ricoprendo gli insegnamenti di teoria delle fasi e di complementi di chimica fisica. Per oltre tre anni, dall’aprile del 1909, lasciò i compiti universitari, essendo stato nominato chimico principale nell’appena istituito Laboratorio degli esplosivi, di cui Paternò era direttore. Per acquisire ulteriori competenze nel campo degli esplosivi fu inviato in Germania, dove ebbe anche modo di frequentare, sia pure per un breve periodo, il laboratorio del chimico fisico tedesco Walter Nernst.
Nell’ottobre del 1912 rientrò nella carriera universitaria come assistente presso l’Istituto chimico romano, diretto da Paternò dopo la morte di Cannizzaro, e pochi mesi dopo partecipò con successo al concorso come professore straordinario di chimica docimastica e tecnologica all’Università di Padova. Nella città veneta insegnò per due anni, ma dal giugno del 1915, pur non avendo ancora ottenuto la stabilizzazione, riuscì a essere comandato all’Università di Firenze, dove tenne l’insegnamento di chimica fisica. Tale avvicinamento a Roma fu dovuto probabilmente anche al suo impegno nella mobilitazione bellica, come membro, tra l’altro, della Commissione suprema di collaudo e controllo degli esplosivi.
Divenuto professore ordinario, nell’autunno del 1917 Parravano fu trasferito a Firenze sulla cattedra di chimica inorganica. Nello stesso anno gli fu conferito dall’Accademia nazionale dei lincei il premio Reale per il complesso delle sue ricerche sulle leghe binarie, ternarie e quaternarie, che erano state il principale oggetto dei suoi studi. Sempre nel 1917, grazie alla sua riconosciuta competenza in campo metallurgico, iniziò la collaborazione con l’ingegnere Ernesto Breda (1852-1918) per la realizzazione a Milano di un istituto di ricerca scientifica annesso agli omonimi stabilimenti industriali.
Alla fine del 1919, Parravano tornò per trasferimento all’Università di Roma sulla cattedra di chimica inorganica, avendo il ministero scisso, su richiesta di Paternò, il precedente insegnamento di chimica generale. Paternò, che riservò per sé la chimica organica, volle preparare in tal maniera la sua successione alla guida dell’istituto di via Panisperna. Infatti, allorché nel luglio 1923 il chimico siciliano fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età, la facoltà di Scienze dell’ateneo romano nominò Parravano nuovo direttore.
Da questo momento in poi gli incarichi di consulenza tecnica e scientifica presso varie amministrazioni statali divennero per Parravano sempre più numerosi. Può essere utile ricordarne i principali, quelli per i quali il suo impegno si protrasse per periodi significativamente lunghi. Fu membro del Comitato per la mobilitazione civile, del Consiglio superiore della pubblica istruzione, del Consiglio per l’istruzione industriale, del Consiglio superiore della sanità pubblica, della Commissione per le industrie chimiche presso il Ministero delle corporazioni, della Commissione interministeriale per lo studio dei surrogati e succedanei. Presiedette la Commissione superiore per le sostanze esplosive e infiammabili, la Commissione per la farmacopea ufficiale, l’Associazione italiana di chimica, la Federazione nazionale degli industriali dei prodotti chimici. A questi incarichi si aggiungevano la partecipazione a commissioni temporanee, le consulenze a termine, nonché gli impegni accademici, quali la presidenza della facoltà di Scienze di Roma, tenuta per molti mandati, o gli insegnamenti aggiuntivi impartiti negli anni nella facoltà di Farmacia o nella Scuola di ingegneria aereonautica.
A questa lunga lista di incarichi va aggiunta, infine, la sua partecipazione fin dal 1923 a tutti i passi che portarono all’istituzione del Consiglio nazionale delle ricerche, di cui fu vicepresidente dal 1927, a fianco del presidente Guglielmo Marconi, dirigendo in particolare il Comitato per la chimica, nel quale organizzò il funzionamento di numerose commissioni di studio.
Fu membro di molte accademie scientifiche, tra le quali l’Accademia nazionale dei Lincei, di cui fu socio dal 1925. Nel 1929 Parravano fu l’unico chimico a figurare tra i primi trenta membri della neonata Accademia d’Italia che Mussolini nominò direttamente. Di tale Accademia fu anche designato amministratore.
Non mancarono i riconoscimenti internazionali, quali la medaglia Leblanc, conferitagli dalla Société chimique de France su indicazione di Henri Louis Le Châtelier. Inoltre, negli anni Trenta fu vicepresidente e poi presidente dell’Unione internazionale di chimica. Fu anche capo della delegazione italiana al IX Congresso di questa associazione, svoltosi a Madrid nel 1934. In tale occasione egli presentò, a nome del governo italiano, la richiesta di organizzare il successivo congresso nel nostro Paese. Tale richiesta fu accettata e lo stesso Parravano fu designato a presiedere l’evento, che si tenne a Roma dal 14 al 21 maggio 1938. Lo scopo del congresso per gli organizzatori fu essenzialmente ed esplicitamente propagandistico. Si voleva mostrare come l’Italia, sotto il regime fascista, fosse divenuta una grande nazione, capace di conseguire importanti risultati in tutti i campi, dalla tecnica all’economia, dall’industria all’agricoltura. Dal punto di vista organizzativo, il congresso, con circa 3000 partecipanti e oltre 500 comunicazioni presentate, fu un indubbio successo. Risultò in genere apprezzata anche l’idea di non suddividere il convegno nelle tradizionali aree del sapere chimico, ma di individuare sezioni che legavano la chimica a vari ambiti della vita quotidiana quali, per es., l’alimentazione, la casa, la salute e l’igiene, i trasporti e, inevitabilmente, la difesa.
L’organizzazione del X Congresso internazionale di chimica fu l’ultima fatica cui Parravano si sottopose. Morì improvvisamente, colpito da un attacco cardiaco, nell’agosto 1938, nella notte tra il 10 e l’11, mentre si trovava a Fiuggi proprio per riposarsi dagli sforzi compiuti negli ultimi mesi, che erano andati ad aggiungersi al gravoso carico di impegni portato avanti per anni.
Sin dall’inizio la ricerca scientifica di Parravano si indirizzò verso la chimica inorganica e in particolare verso lo studio delle leghe metalliche. Queste erano studiate dal punto di vista sperimentale esaminando la variazione del contenuto di calore di una lega liquida durante e dopo la solidificazione. Tale tipo di analisi, detta analisi termica, veniva generalmente affiancata dallo studio micrografico, vale a dire l’osservazione diretta delle leghe già solidificate. Dal punto di vista teorico queste ricerche si basavano sull’applicazione allo studio delle leghe metalliche delle leggi sugli equilibri eterogenei determinate negli anni recenti in ambito chimico-fisico.
Nel settore, Parravano acquisì in breve grande competenza. Nella relazione della commissione dell’Accademia nazionale dei lincei che gli assegnò il premio Reale nel 1917 (V. Caglioti, Nicola Parravano e la sua opera scientifica, «Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali», 1984, pp. 261-76), si citava il riconoscimento dei suoi dati e delle sue teorizzazioni da parte della comunità chimico-fisica internazionale nei suoi più qualificati esponenti, quali Hendrik Willem Bakhuis Roozeboom e Friedrich Wilhelm Ostwald. Si dava inoltre risalto al suo lavoro pionieristico nel campo delle leghe quaternarie, mettendo in luce la rilevanza sia teorica sia applicativa di tali studi.
La sottolineatura dell’importanza a fini concreti delle ricerche di Parravano, operata dalla commissione che gli conferì il premio, va letta anche facendo riferimento al contesto storico. L’Italia e quasi tutto il resto del mondo erano immersi in una guerra cruenta, logorante che aveva coinvolto gli scienziati di ogni Paese e in particolare i chimici. Parravano fu tra gli scienziati italiani più impegnati nell’impresa bellica. In un articolo pubblicato nel 1918, dal titolo La chimica e la guerra, affermò che la chimica era finalmente salita nella considerazione dell’opinione pubblica e, non più «trastullo di qualche studioso senza alcun rapporto con la vita sociale» (La chimica e la guerra, «L’industria», 1918, pp. 8-10), era divenuta scienza che più di altre poteva assicurare l’aumento delle forze difensive e offensive di ciascun Paese. Nello stesso anno, illustrando la collaborazione con Breda, auspicava l’intensificarsi del rapporto tra scienza e industria «cresciute assieme nelle officine dei fabbri, dei farmacisti» (L’Istituto scientifico-tecnico di Ernesto Breda, «L’industria», 1918, pp. 267-72), ma recentemente separatesi con reciproco svantaggio.
La visione della chimica che Parravano fece propria fu quella di una scienza che non si chiudesse nei laboratori e non avesse come unico scopo quello di discutere intricati problemi scientifici. Gli scienziati avrebbero dovuto seguire da vicino la ricaduta dei loro risultati in campo industriale, attenti ai problemi che l’industria poneva; dovevano porsi come compito principale quello di fondere insieme questi due elementi, ricerca e applicazioni all’industria, al fine di contribuire al progresso scientifico ed economico della nazione. Parravano non era certo isolato: una parte consistente della comunità scientifica, soprattutto nell’Italia da poco uscita dall’esperienza bellica, condivideva tale punto di vista. Questo fu uno dei motivi che determinò la benevolenza con la quale, senza molte eccezioni, gli scienziati italiani e in particolare i chimici accolsero l’avvento del regime fascista, che fu visto come un interlocutore politico che finalmente si rivolgeva alla scienza e ne riconosceva un ruolo, integrato all’interno del sistema politico nazionale.
Parravano fu forse il più convinto assertore di una visione della scienza al servizio della nazione e di un suo stretto legame con lo Stato. Ciò si tradusse in una sua organica adesione al fascismo; si iscrisse ufficialmente al Partito nazionale fascista nel marzo del 1926. Praticamente in tutti i suoi articoli, dalla metà degli anni Venti fino alla morte, comparvero riferimenti inneggianti a Mussolini, indicato sempre rigorosamente con la maiuscola come il ‘Duce’ che avrebbe restituito all’Italia la gloria imperiale, o come ‘l’Uomo’ inviato dal destino, che aveva ridato a ogni italiano uno spirito nuovo. Questa fiducia incondizionata per il capo del fascismo fu ricambiata se, come detto, fu proprio Mussolini a nominare personalmente Parravano a rappresentare i chimici italiani nell’Accademia d’Italia, da lui fortemente voluta. E fu soprattutto questo rapporto privilegiato con il potere a dare al chimico romano il ruolo incontrastato di guida di una comunità pur composita come quella dei chimici italiani del periodo.
La volontà comune della chimica nazionale, al seguito del proprio leader, di porsi come principale scopo quello di una ricerca volta a surrogare la carenza italiana di alcune cruciali materie prime ebbe origine dall’esperienza vissuta dal nostro Paese nel corso della Prima guerra mondiale. Essa si rafforzò all’inizio degli anni Trenta durante la crisi economica che raggiunse l’Europa e l’Italia dopo il tracollo economico statunitense del 1929. Fu in quel periodo che molti chimici italiani svilupparono o intensificarono ricerche aventi come scopo lo studio di possibili diverse fonti e metodologie per ottenere l’alluminio, la cellulosa, i carburanti, sostanze organiche di elevato valore industriale. Tra questi si possono citare chimici di indubbio spessore scientifico come Gian Alberto Blanc, Umberto Pomilio, Mario Giacomo Levi, Giulio Natta. Ciò a testimoniare come questa ricerca non fu sempre, come si potrebbe credere, di scarso livello o limitato respiro internazionale. Essa, nelle sue migliori espressioni, riguardava possibili linee di studio che all’epoca erano comunque sviluppate anche in altre nazioni, come l’autotrazione a gassogeno o la famigerata fibra tessile ottenuta dalla caseina. Alcune delle ricerche allora intraprese si sarebbero rivelate di grande importanza in epoca successiva e in un ben diverso contesto: si pensi all’uso dell’alcol carburante o all’ottenimento di benzine dalle rocce asfaltiche. Esse furono però sviluppate in forme e condizioni che ne compromisero fortemente l’esito. Ricerche che richiedevano tempi non brevi, onde verificarne la fattibilità teorica, applicativa ed economica, risorse adeguate e collaborazione internazionale, furono invece condotte in modo affrettato, con penuria di mezzi e isolatamente. Il fine, peraltro mai sottaciuto, era la subordinazione dell’impresa scientifica alle necessità di una guerra prevista per un futuro che appariva non lontano. La responsabilità del mondo scientifico, o per lo meno della comunità chimica italiana, fu quella di accettare questo quadro di riferimento imposto dalla politica del regime, contribuendo con la propria autorevolezza a far passare per già realizzabili, a breve tempo, nella pratica quelle che spesso erano al più solo delle ipotesi di ricerca ancora da mettere a punto.
L’impegno dei chimici italiani di porsi al servizio della nazione, che finiva per tradursi in un allineamento e in una subalternità della disciplina al regime, raggiunse il suo acme nel periodo autarchico. Come è noto, l’inizio dell’autarchia viene fatto risalire alla promulgazione contro l’Italia delle sanzioni economiche da parte della Società delle nazioni, a seguito dell’aggressione all’Etiopia nell’ottobre del 1935. Le sanzioni economiche contro il nostro Paese furono applicate da novembre e di fatto vennero abrogate nemmeno un anno dopo, il 14 luglio 1936, pochi mesi dopo la conquista di Addis Abeba. Il loro effetto diretto sulla nostra economia non fu perciò particolarmente significativo. Tuttavia, ben più grande fu l’effetto psicologico, in una campagna propagandistica, ben orchestrata dal regime, che tese a definire le ‘inique sanzioni’ un’enorme ingiustizia consumata contro l’Italia. Dalle sanzioni si esplicitò appunto il progetto di realizzare il prima possibile l’autosufficienza del nostro sistema economico, mediante la massima riduzione delle importazioni e il massimo sfruttamento delle risorse interne. Ed erano gli scienziati, e in primo luogo i chimici, a essere chiamati dal regime a mobilitarsi per rendere possibile il disegno autarchico. Quasi la totalità della chimica italiana, anche nei suoi esponenti meno esposti sul versante politico, aderì all’appello. Inevitabilmente, Parravano fu in prima fila e in un articolo giunse a descrivere il ruolo dello scienziato con le seguenti parole:
lo scienziato fascista è oggi non solo uomo di cultura, ma tecnico applicatore ed individuo etico e politico, e l’opera di lui si integra con quella della Nazione e dello Stato. Egli sente nel suo lavoro le stesse ansie che agitano i soldati e le camicie nere in Africa Orien-
tale, e, abbandonata ogni attitudine agnostica, cerca di creare ordini nuovi, così nel campo morale che in quello scientifico e tecnico (Il fascismo e la scienza, «La chimica & l’industria», 1936, 18, pp. 222-26).
In occasione del già ricordato X Congresso internazionale di chimica (Roma, maggio 1938), Parravano curò la preparazione di un grosso volume, da distribuire ai congressisti, volto a propagandare la nuova immagine della chimica italiana. Nell’articolo che faceva da introduzione al volume egli delineò ulteriormente la sua immagine degli scienziati fascisti visti «in forma di falange, di militi chiamati dal dovere, mobilitati per lo sforzo immane di creare con lo spirito ricchezza dalla povertà della natura» (La chimica in Italia dal 1906 al 1938, in La chimica in Italia, 1938, p. 14).
Dopo l’introduzione, nei capitoli successivi i chimici italiani più importanti dell’epoca, ciascuno nella specificità delle proprie competenze e del proprio stile, presentavano i successi nazionali della disciplina in vari settori. Tra essi erano presenti molti degli scienziati che costituiranno anche negli anni successivi, dopo la guerra e la caduta del fascismo, il gotha nazionale della chimica, quali, per es., di nuovo Natta e Levi, e ancora Giovan Battista Bonino, Giacomo Fauser, Luigi Casale, Henry Molinari.
La sua scomparsa nel 1938, ancora vari anni prima della caduta del regime, ha fatto sì che a Parravano fosse attribuita la responsabilità della subordinazione di una parte della scienza ‒ e certamente della chimica ‒ al fascismo. Il suo ruolo fu centrale in tali vicende, ma il rapporto degli scienziati, e in particolare dei chimici, con il regime è questione ben più ampia, e non certo limitata alla sola esperienza di Parravano.
L’analisi termica, «Rendiconti della Società chimica di Roma», 1908, pp. 167-86.
Ricerche teoriche e sperimentali sulle leghe metalliche, «Annali di chimica applicata», 1918, pp. 1-86.
La chimica e la guerra, «L’industria», 1918, pp. 8-10.
L’Istituto scientifico-tecnico Ernesto Breda, «L’industria», 1918, 32, pp. 267-72.
Il problema italiano dei combustibili, «Giornale di chimica industriale ed applicata», 1930, pp. 383-87.
La chimica e la fertilizzazione del suolo in Italia, «Giornale di chimica industriale ed applicata», 1930, pp. 431-38.
Possibilità italiane di carburanti nazionali, «Giornale di chimica industriale ed applicata», 1932, pp. 485-90.
Il fascismo e la scienza, «La chimica e l’industria», 1936, pp. 222-26.
La chimica e l’autarchia economica della nazione, «La chimica e l’industria», 1936, pp. 333-38.
La chimica in Italia dal 1906 al 1938, in La chimica in Italia, a cura di N. Parravano, Roma 1938, pp. 5-14.
F. Giordani, Nicola Parravano: commemorazione, «Annuario della Reale accademia d’Italia», 1941, pp. 5-24.
V. Caglioti, Nicola Parravano e la sua opera scientifica, «Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali», 1984, pp. 261-76.
G. Marino, I chimici italiani ed il regime fascista, Atti del III Congresso nazionale di storia e fondamenti della chimica (Cosenza 1990), a cura di F. Abbri e F. Crispini, Cosenza 1991, pp. 255-63.
F. Calascibetta, A. Clericuzio, C. Padovani, I contributi italiani al X Congresso internazionale di chimica (Roma 1938), «Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali», 1999, pp. 309-31.
R. Maiocchi, Gli scienziati del duce. Il ruolo dei ricercatori del CNR nella politica autarchica del fascismo, Roma 2003.
F. Calascibetta, Nicola Parravano ed il suo ruolo nella chimica italiana degli anni venti e trenta del XX secolo, «Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di matematica», 2004, pp. 89-109.
F. Calascibetta, I chimici italiani e l’autarchia, «Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali», 2009, pp. 91-106.