GIANNETTASIO, Nicola Partenio
Nacque a Napoli il 5 marzo 1648. Nel 1656 perse l'intera famiglia a causa di una terribile pestilenza. Compì pertanto studi assai irregolari, in gran parte da autodidatta, dimostrando non comune capacità di apprendimento. Imparò facilmente la grammatica e le lettere latine, ma si interessò soprattutto di matematica. Apprese inoltre il greco e l'ebraico e, a soli quindici anni, avviò lo studio della filosofia e della giurisprudenza. Il 7 sett. 1666 entrò nella Compagnia di Gesù, intraprendendo, dopo il tirocinio, la carriera di insegnante, prima di lingua latina e greca presso il collegio di Amantea, in Calabria, quindi di teologia a Palermo e a Napoli, infine di scienze filosofiche a Reggio Calabria. Nel 1679, ormai affermato, venne richiamato nel collegio di Napoli, ove insegnò senza interruzione matematiche pure e miste fino al 1705.
Appunto in questo periodo conquistò un posto importante non solo nell'ambiente culturale cittadino ma anche all'esterno. Già alla fine del Seicento doveva aver raggiunto una certa notorietà se l'anonimo autore, verosimilmente un gesuita, del Giannettasius, vel De animarum transmigratione Pythagorica (un dialogo filosofico rimasto manoscritto fino all'edizione del 1978) lo faceva personaggio principale della sua opera. A Napoli, in particolare, la sua erudizione versatile gli permise d'intrattenere amicizie con personaggi anche appartenenti ad ambienti eterodossi: esemplare da questo punto di vista l'ammirazione che sempre gli dimostrò Giuseppe Valletta, nome di punta del circolo dei novatori, atomisti e antigesuiti.
Nei sedici anni trascorsi a Napoli produsse la maggior parte delle sue opere. A parte i testi per l'insegnamento, come gli Universalis cosmographiae elementa (Neapoli 1688) e gli Universalis geographiae elementa (ibid. 1692), vennero pubblicate, tutte a Napoli, varie racc0lte di versi, tra cui Piscatoria et nautica (1685), Halieutica (1689), Bellica (1697) e soprattutto i primi tre poemi sulle stagioni: Aestates Surrentinae (1696), Autumni Surrentini (1698) e Ver Herculanum (1704). Il quarto, composto dalle quindici Hyemes Puteolanae, fu inserito successivamente nell'edizione postuma uscita con il titolo Annus eruditus (1722). Tale raccolta rappresenta bene la poesia del G., erudita, densa di notizie storiche, geografiche e topografiche e caratterizzata da uno stile piuttosto lineare, scevro di qualsiasi reminiscenza concettistica.
Nel 1705 il G. lasciò l'insegnamento e si ritirò a Sorrento, conducendo negli anni che seguirono una vita appartata, dedita agli studi. Curò l'edizione completa in quattro volumi delle sue opere (Opera omnia poetica, Neapoli 1715), finanziata dal suo mecenate, il conte Antonio Rambaldo, e soprattutto ultimò la Historia Neapolitana in tre tomi (ibid. 1713), commissionatagli molti anni prima dall'ormai defunto (1702) arcivescovo di Napoli, il cardinale Iacopo Cantelmo, suo protettore e ammiratore, che lo aveva tra l'altro condotto con sé a Roma per il giubileo del 1700 in veste di teologo personale.
La Historia ebbe una lunga gestazione. Intrapresa nel 1701, venne ultimata verosimilmente verso il 1711 e pubblicata nel 1713. Consta di tre volumi, ciascuno diviso in due decadi: il primo parte dalle origini e arriva al 1282, toccando in particolare le vicende dei Vespri siciliani; il secondo segue le vicissitudini del Regno sino al 1462, sino cioè alle conquiste di Ferdinando II d'Aragona; il terzo, infine, dopo essersi dilungato sulle vite di Carlo V e di Filippo II, si spinge fino al 1582. Una quarta parte, pure annunciata, non venne mai portata a termine. Già ai contemporanei la Historia del G. apparve tuttavia priva di originalità e consistenza. Pietro Giannone nell'Introduzione al suo Dell'istoria civile del Regno di Napoli (ibid. 1723) svela con toni sarcastici che l'opera del G. è un vero e proprio plagio ai danni dell'Istoria della città e Regno di Napoli (ibid. 1675) di G.A. Summonte. In effetti il G. si dimostra storico decisamente poco rigoroso, mal documentato nelle parti - specie quelle iniziali - nelle quali si discosta dalla sua fonte, rinunciatario nei giudizi e persino poco incisivo nell'uso della lingua latina, in altri luoghi pur così lodevole. La sua Historia rimane in sostanza un'opera su commissione, frutto di una penna che aveva trovato altrove, specie nei versi latini, la sua vena migliore.
Il G. morì il 10 sett. 1715.
Fonti e Bibl.: Giannettasius, vel De animarum transmigratione Pythagorica dialogus, a cura di L. De Franco, Firenze 1978; A. Zeno, in Giornale dei letterati d'Italia, VI (1711), p. 519; XII (1712), pp. 422-424; XXXVIII (1727), pp. 269-289; P. Giannone, Dell'istoria civiledel Regno di Napoli, Napoli 1723, Introduzione, pp. n.n.; G.M. Crescimbeni, Le vite degli Arcadi illustri, IV, Roma 1727, pp. 62, 73; V, ibid. 1751, p. 143; F.S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 616; F.A. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napolitani, I, Napoli 1781, pp. 282-285; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, Roma 1785, pp. 287, 309, 405; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 148; F. Nicolini, Per la biografia di Giambattista Vico, in Arch. stor. italiano, s. 7, t. IV (1925), p. 207; N. Badaloni, Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, p. 181; S. Mastellone, Note sulla cultura napoletana al tempo di Francesco D'Andrea e Giuseppe Valletta, in Critica storica, I (1962), p. 611; G. Bianchini, Sui rapporti tra Federico Nomi e Antonio Magliabechi, in Studi secenteschi, XXVIII (1987), p. 281; Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, coll. 1386-1390.