SPINELLI, Nicola
– Nacque a Torino il 29 luglio 1865, primogenito di Filomene, dentista originario di Chieti, e di Anna Reggianini, emiliana, discendente del compositore Isidoro Rossi e dei musicisti Asioli.
Dal 1866 la famiglia Spinelli risulta risiedere a Firenze: qui nacquero le due sorelle di Nicola, Carolina e Ida Emma, mentre il bambino fu avviato agli studi musicali sotto la guida di Luigi Mancinelli e di Ernesto Becucci. Durante gli anni Settanta, dopo un altro trasferimento, la formazione proseguì a Roma con il pianista Giacomo Trouvé-Castellani e alla ‘scuola lisztiana’ di Giovanni Sgambati. Sul finire del decennio il giovane musicista fu ammesso al conservatorio di Napoli, dove si perfezionò con Beniamino Cesi e Costantino Palumbo, diplomandosi con quest’ultimo nel 1885.
Frattanto aveva frequentato la classe di composizione di Paolo Serrao, e per le sue qualità era stato nominato ‘maestrino’, ossia assistente nell’istruzione degli allievi principianti. Quale saggio finale del corso realizzò l’operetta I guanti gialli, una commedia per musica in due atti su libretto di Enrico Golisciani. L’opera fu rappresentata nel teatrino di S. Pietro a Majella nell’aprile del 1881, approvata con favore da una commissione composta da Arrigo Boito, Amilcare Ponchielli, Filippo Marchetti e Lauro Rossi. Sul manoscritto autografo conservato nella biblioteca del conservatorio, il nome del musicista è scritto «Niccola», variante che Spinelli mantenne per l’intera carriera.
Terminati gli studi, si dedicò con esiti incoraggianti al concertismo. A seguito di un recital presso la Filarmonica di Firenze, nel maggio del 1889 fu eletto membro onorario della locale Regia Accademia musicale. Nello stesso periodo compose alcuni brani strumentali, e nel marzo del 1888 una sua Gavotta per pianoforte vinse un concorso indetto qualche mese prima dagli editori bolognesi Cocchi.
Spinelli puntava comunque ad affermarsi come operista; e quando nel luglio del 1888 l’editore Edoardo Sonzogno bandì sul Teatro illustrato un concorso per giovani autori di melodrammi inediti in un atto, non perse l’occasione di parteciparvi. Tra le settantatré opere recapitate ai commissari Amintore Galli, Pietro Platania, Francesco D’Arcais, Marchetti e Sgambati, il melodramma di Spinelli, Labilia, libretto di Vincenzo Valle (ispirato a Storia di un moscone di Francesco Domenico Guerrazzi, racconto del 1858 ambientato in Corsica), ottenne il secondo posto dietro Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Il piazzamento d’onore comportava, oltre a un premio di duemila lire, la messinscena al teatro Costanzi di Roma sotto la direzione di Leopoldo Mugnone, protagonisti il tenore Roberto Stagno e il soprano Gemma Bellincioni: la prima dell’8 maggio 1890 rivelò a pubblico e critica un compositore dotato e promettente; Labilia, tuttavia, fu in breve tempo eclissata dal dilagante successo del capolavoro mascagnano.
Nella primavera del 1893 sposò la ventinovenne romana Assunta Setth, sorella del cognato (tre anni prima Ida Emma aveva sposato Alfredo Setth). I due ebbero un’unica figlia, Maria, nata il 17 gennaio 1894 e spirata appena dodici giorni dopo.
Nello stesso 1894 andò in scena A basso porto, il dramma lirico in tre atti che consacrò Spinelli. L’autore aveva messo in programma un melodramma di più ampie proporzioni all’indomani di Labilia, sempre in collaborazione con Valle, che avrebbe dovuto ricavare il libretto dal Padrone delle ferriere di Georges Ohnet. La scelta del soggetto cadde poi su A basso porto: scene popolari napoletane (1887) di Goffredo Cognetti, mentre la verseggiatura fu affidata a Eugenio Checchi. La prima fu il 18 aprile allo Stadttheater di Colonia, in lingua tedesca (traduzione di Ludwig Hartmann), con il titolo Am untern Hafen. L’opera, che abbraccia in pieno la nuova tendenza del verismo musicale affermata da Cavalleria rusticana, inizialmente non calcò le scene italiane: forse perché affidata in proprietà per tutti i Paesi a una casa editrice straniera (Oberdörffer di Lipsia, rappresentata in Italia da Carisch & Jänichen; il libretto per l’allestimento del teatro Costanzi a Roma nel 1895 reca il marchio della tipografia del suocero, Federico Setth), o anche per via dei recenti insuccessi di melodrammi veristi analogamente ambientati negli infimi quartieri di Napoli (Mala vita di Umberto Giordano era caduta con gran clamore nella prima ripresa napoletana al S. Carlo il 26 aprile 1892). In area tedesca, invece, il nuovo stile aveva attecchito: non solo per quel folclore regionalistico così apprezzato Oltralpe, ma anche grazie alla robusta operazione promozionale che all’Esposizione internazionale di musica di Vienna (autunno 1892) aveva coinvolto Sonzogno e i suoi giovani autori di opere veriste: tra loro, oltre a Mascagni e Giordano, Ruggero Leoncavallo e Francesco Cilea, che vi presentarono Pagliacci e La Tilda.
Sull’onda dell’immediata popolarità in Germania e in Austria, dove le repliche furono numerose fino allo scoppio della prima guerra mondiale, A basso porto trovò accoglienza sui palcoscenici italiani. A partire dalla prima del Costanzi (11 marzo 1895), e per oltre un lustro, l’opera fu rappresentata con il costante favore del pubblico, suscitando al contempo una reazione critica contraddittoria: le lodi riservate alla pregevole elaborazione musicale e agli effetti coloristici di alcuni pezzi (la canzone del tenore Mare d’argento, il preludio al terz’atto con mandolino concertante) erano controbilanciate – come spesso accadeva per i melodrammi veristi – dagli aspri giudizi avverso la volgarità plebea del soggetto inscenato. Del resto il librettista Checchi aveva messo le mani avanti fin dalla prima edizione del libretto, dichiarando che la «difficoltà» era consistita per lui nel «tentare di mettere d’accordo [...] la volgarità dell’ambiente e delle persone, la naturalezza spesso brutale del linguaggio, e [...] il rispetto dovuto alle forme poetiche»: e del tentativo si assunse, «rassegnato, tutta la responsabilità».
Di questa contrastata recezione critica risentì la progettazione di un nuovo melodramma, la cui fonte, la commedia in tre atti La trilogia di Dorina (1889) di Gerolamo Rovetta, aderiva a un verismo ‘medio’, depurato dagli eccessi naturalistici. Luigi Illica fu incaricato di stenderne il libretto. Ma l’opera non venne realizzata. Per Spinelli ebbe infatti inizio un periodo doloroso, segnato dalla morte del padre nel 1900 e, soprattutto, dal manifestarsi dei primi sintomi di una malattia nervosa. Nel tentativo di favorire la composizione, si fece ospitare per qualche tempo a villa Patrizi, appena fuori Porta Pia; ma la cronicità del male, che lo avrebbe condotto all’infermità mentale, provocò una graduale e irrimediabile inabilità.
Morì nel pomeriggio del 17 ottobre 1909 nella sua abitazione romana di via Quintino Sella, dove viveva con la moglie e la madre.
La notizia fu riportata da molti quotidiani e da quasi tutte le riviste artistico-musicali, a riprova della considerazione goduta dall’ancor giovane compositore. Un importante critico, Ippolito Valetta (1909), così lo ricordò sulla Nuova Antologia: «Lo Spinelli era un colto e coscienzioso artista che il concorso operistico del 1890 indetto dal signor Edoardo Sonzogno rivelò favorevolmente come compositore teatrale mediante la Labilia, che vi ebbe il secondo premio: un secondo lavoro A basso porto l’aveva messo ancora più in vista: la sua sempre malferma salute troncò a mezzo le speranze che di lui si avevano ed egli visse questi ultimi anni travagliato da male continuo» (p. 337).
Fonti e Bibl.: Antenati. Gli archivi per la ricerca anagrafica, Sistema archivistico nazionale del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (http://www.antenati.san.beniculturali.it/; 30 giugno 2018); Il Teatro illustrato, giugno 1890, pp. 82-87; Il Giornale d’Italia, 19 ottobre 1909; Il Messaggero, 19 ottobre 1909; I. Valetta, Necrologio, in Nuova Antologia, CCXXVIII (1909), 910, pp. 333-339; Dizionario universale dei musicisti, a cura di C. Schmidl, II, Milano 1938, p. 445; V. Frajese, Dal Costanzi all’Opera, IV, Cronologia degli spettacoli (1880-1960), Roma 1978, ad ind.; G. Berutto, Il Piemonte e la musica 1800-1984, Torino 1984, p. 223; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, VII, Le biografie, Torino 1988, pp. 405 s.; Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, V, München-Zürich 1994, pp. 751-753; The new Grove dictionary of music and musicians, XXIV, London-New York 2001, p. 183; M. Sansone, La malavita nell’opera. A basso porto, I gioielli della Madonna, in Francesco Cilea e il suo tempo, a cura di G. Pitarresi, Reggio Calabria 2002, pp. 369-384; A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900, Firenze 2003, pp. 455 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XV, Kassel 2006, col. 1186.