TACCHINARDI, Nicola
TACCHINARDI, Nicola (Niccolò Costantino Fedele). – Nacque a Livorno il 2 settembre 1772, da Francesco, proprietario e insegnante di una scuola di scherma, e da Vittoria Vaccari, figlia di un impiegato della Marina granducale e sorella di un capitano di nave, Gaetano. Fu battezzato l’indomani, padrino Giovanni Giuseppe Pensa. L’anno di nascita 1776, spesso ripetuto dai biografi, discende da una falsa informazione divulgata dal cantante in una lettera autobiografica indirizzata a Pietro Lichtenthal nel maggio del 1837 (Scotti, 1924).
Il documento è comunque una fonte primaria circa la famiglia e la formazione dell’artista, unico figlio maschio; il cognome si sarebbe formato quando un suo avo, Agostino Tacchi, negoziante toscano in Venezia, sposata la nobile perugina Caterina Nardi, prese ad abbinare i due cognomi, fusi almeno fin dal 1736.
Nella città natale frequentò la scuola di lettura e scrittura di Giovanni Spirito Lemmi, indi la scuola dei padri teatini a S. Sebastiano, per i primi tre anni da laico e poi da aspirante chierico. Il padre lo avviò alla pittura di ornato; ma dagli undici anni si dedicò anche allo studio della musica, impiegandosi diciassettenne come secondo violoncello nel teatro cittadino e restandovi per cinque anni. Iniziò a cantare da dilettante: prese a modello il tenore Matteo Babini, versato nel canto quanto nella recitazione. Esordì come primo mezzo carattere al teatro degli Avvalorati di Livorno nel Carnevale 1803 nell’opera buffa L’avaro di Ferdinando Orlandi (Stefanello) e nelle farse Gli assassini o sia Quanti casi in un giorno di Vittorio Trento (Astolfo) e Teresa e Claudio di Giuseppe Farinelli (Claudio), per la beneficiata di Giuseppe Naldi (Chiti - Marri, 1994, schede 91, 109 e 918). Nello stesso anno si esibì come primo tenore in quaresima al teatro dei Costanti di Pisa, nell’oratorio Il trionfo di Giuditta di Pietro Guglielmi, e in autunno al Cocomero di Firenze, nella Distruzione di Gerusalemme di Nicola Zingarelli (Manasse).
Nel 1803 Nicola sposò una parente, Maria (?) Angiola, figlia di Giuseppe Tacchinardi, anche lei cantante e, stando a fonti indirette, livornese: compaiono insieme nel citato «dramma sacro» di Zingarelli (nel libretto lei è citata come Maria; ibid., scheda 458). Che la moglie cantasse con lui, e che fosse in avanzato stato di gravidanza a inizio 1804, risulta dalla lettera del 3 marzo ad Alessandro Lanari, impresario della Pergola di Firenze, circa un contratto per il teatro di Praga, poi non concretatosi. Nel 1815, nello stato d’anime della chiesa fiorentina dei Ss. Simone e Giuda, Angiola risulta quarantenne e i coniugi, residenti da quell’anno a Firenze in via dell’Anguillara 300, hanno quattro figli: Carolina, Ulisse, Fanny (v. la voce in questo Dizionario) ed Enrichetta, di undici, dieci, otto e quattro anni. La primogenita si dedicò alla pittura a olio: divenne membro onorario dell’Accademia di belle arti di Parma; si sposò il 13 febbraio 1831 a Firenze, nella parrocchia di famiglia dei Ss. Simone e Giuda, con il medico Giorgio Caramelli. Ulisse (Firenze, 1805-1828), stando a Tacchinardi stesso nella citata autobiografia, si stava facendo conoscere come pianista. Morì giovane pure Enrichetta, detta Elisa, anche lei pianista (Firenze, 1810-1836): una locandina del novembre 1816 (Roma, Biblioteca e Raccolta teatrale del Burcardo, coll. 7-04) attesta una sua esibizione infantile con il padre in un’accademia vocale-strumentale al teatro del Pavone di Perugia.
Nello stato d’anime dei Ss. Simone e Giuda per il 1825 Tacchinardi risulta vedovo (le annate precedenti sono andate distrutte nell’alluvione del 1966, e nello stato civile toscano di quegli anni il certificato di morte della donna non si è rinvenuto: potrebbe essere morta fuor di Toscana). Il cantante si sposò altre due volte, sempre a Firenze: il 25 marzo 1837 con una vedova di 63 anni, Caterina Tacchinardi (di Giuseppe e Giuseppa Bernardini, morta il 13 settembre 1839), e il 6 ottobre 1839 con la giovane domestica di casa, la ventiduenne Maria Cleofe Santa Della Vida (di Angiolo e Anna Luperi). Sebbene il 16 settembre 1844 il genero Giuseppe Persiani scrivesse al canonico recanatese Giovanni Paccazocchi che dalle terze nozze del tenore nacquero quattro figli, i documenti finora rinvenuti ne attestano solo due, Andrea Guido Adriano (Firenze, 10 marzo 1840-6 dicembre 1917) e Alessandro Fortunato (Firenze, 1841). Anche Guido scelse la carriera musicale: allievo di Teodulo Mabellini, fu noto compositore, teorico, autore di varie opere, e dal 1891 direttore dell’Istituto musicale di Firenze.
Iniziata tardi, la carriera di Tacchinardi decollò poi velocemente: tenore serio e di mezzo carattere, si esibì sulle principali piazze teatrali d’Italia: nel 1804 a Pisa e a Venezia; dalla quaresima all’estate del 1805 alla Scala di Milano, esordendo in Odoardo e Carlotta di Giuseppe Farinelli (Odoardo) e producendosi in opere di Giovanni Simone Mayr, Vincenzo Pucitta, Ferdinando Paer e nella ‘prima’ del Don Chisciotte de la Mancia di Pietro Generali (Carlo). Fu tra i cantanti scelti per condecorare in duomo l’incoronazione di Napoleone re d’Italia, nel maggio del 1805. Ancora in Lombardia fino al 1806 (Bergamo, Milano), si esibì per la prima volta a Roma nella stagione di Carnevale del 1807 al teatro Argentina, in Andromaca e Pirro di Giacomo Tritto (Ulisse); ma l’abilità di Tacchinardi come falsettista gli permise anche di sostituire brevemente il soprano Giovanni Battista Velluti, indisposto (Pirro). Fu occupato come primo tenore all’Argentina fino al 1810, con puntate alla Pergola di Firenze (quaresima ed estate del 1808, primavera del 1809) nonché, nel ruolo eponimo Trajano in Dacia di Giuseppe Nicolini, al Comunale di Bologna (luglio del 1809) e al Regio di Torino (Carnevale del 1811): i recensori torinesi si concentrarono sul dualismo Velluti-Tacchinardi, ravvisando nel primo la perfezione belcantistica, nel secondo l’abilità drammaturgica: «son chant devient la copie fidelle de l’action théâtrale» (Storia del Teatro Regio di Torino, 1976, p. 132).
All’estero fu primo tenore all’Odéon di Parigi, sede del Théâtre-Italien, dal maggio del 1811 al 1814; il 12 ottobre 1811 fu Don Giovanni nell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, direttore Gaspare Spontini. François-Joseph Fétis, nel fornire una descrizione della figura e dello stile del cantante (avvalorata dalle critiche coeve), riporta un aneddoto: vedutolo per la prima volta il 4 maggio 1811 nella Distruzione di Gerusalemme, gli spettatori parigini lo credettero gobbo; ma con la sua perizia canora egli fece ben presto dimenticare la propria infelice statura: «On admira la pureté de son style, sa facilité à passer de la voix de poitrine à la voix de tête sans que la différence de timbres fût sensible; enfin, son goût dans le choix des fioritures et des traits dont il était prodigue, et qu’il exécutait avec une merveilleuse facilité» (Fétis, 1865, p. 172). Stilisticamente, Fétis lo contrappone a Gaetano Crivelli, tenore del Théâtre-Italien nello stesso periodo, eccellente nel canto espressivo poco fiorito. Il contratto stipulato con i teatri di Vienna per il periodo dicembre 1816-marzo 1817 conferma la sua versatilità belcantistica, giacché venne ancora impegnato come primo tenore eroico (Argirio nel Tancredi rossiniano) e primo mezzo carattere, destinato a «Opere serie, semiserie, buffe e farse [...] quattro volte la settimana» (Ciarlantini, 1989, n. 28). L’ultimo teatro forestiero in cui si esibì fu Barcellona, dall’autunno del 1829 al Carnevale del 1831, tra l’altro in Tebaldo e Isolina di Francesco Morlacchi (Boemondo).
In Italia continuò a calcare i palcoscenici primari: oltre agli Avvalorati di Livorno e alla Pergola di Firenze, il Giglio a Lucca, la Fenice e il S. Benedetto a Venezia, l’Argentina a Roma, il Regio a Torino, la Scala e il Carcano a Milano, il Comunale e il Corso a Bologna, i principali teatri delle città a sud del Po, l’Eretenio a Vicenza, il teatro de’ Nobili a Senigallia e in particolare il teatro Grande a Trieste, dove esordì nella primavera del 1816 con Teodoro di Stefano Pavesi (Villuma) e I baccanali di Roma di Pietro Generali (Sempronio), ritornandovi nell’autunno del 1822, del 1824 e del 1825. Alla Fenice di Venezia, dove nel Carnevale del 1818 cantò in Lanassa di Mayr, Evellina di Carlo Coccia e L’orfana egiziana di Francesco Basili, fu contestato, con altri, dal pubblico, come attestò il suo ammiratore Stendhal in una lettera del 3 gennaio 1818: «ils ont sifflé Tachinardi, Galli et la Festa. Les deux premiers sont des dieux pour moi» (Nicola Tacchinardi, 2017, p. 256). A Napoli, al S. Carlo, si esibì soltanto nell’estate del 1824, nell’Isolina di Morlacchi (sempre Boemondo). L’ultima apparizione attestata fu alla Pergola di Firenze nell’autunno del 1832, Giacomo V nella Donna del lago di Gioachino Rossini. Fin dal 1821 era stato nominato primo tenore di camera e cappella del granduca di Toscana.
Tipico tenore baritonaleggiante, dotato di un fisico piuttosto tozzo («figura meschina, statura bassa», secondo una schedatura torinese del 1824-25; Storia del Teatro Regio di Torino, 1976, p. 180) ch’egli però sapeva ben gestire in scena, ebbe per cavallo di battaglia il ruolo eponimo nell’Otello di Rossini: mandava in visibilio gli spettatori per la mobile espressività del bel volto, sebbene si rifiutasse, pare, di scurirsi l’incarnato. Cantò l’opera, spesso accanto all’amica Rosa Morolli Morandi (Desdemona), a Venezia (1818), Firenze e Vicenza (1819), Lucca (1820), Reggio e Faenza (1821), Trieste (1825), Senigallia (1828). Sin da inizio carriera si specializzò in personaggi maestosi e fieri, dove poteva esprimere al meglio, oltre a quelle vocali, le doti sceniche: così Traiano nell’opera di Nicolini, o Marco Orazio negli Orazi e i Curiazi di Domenico Cimarosa. Nella maturità si dedicò anche a parti più romanticamente corrusche, continuando peraltro ad alternare il genere buffo e il serio: in Rossini, fu l’eponimo nel Ciro in Babilonia, Giacomo V nella Donna del lago, Almaviva nel Barbiere di Siviglia e Don Ramiro nella Cenerentola, l’eponimo nel Temistocle di Giovanni Pacini e Adriano di Montfort nel Crociato in Egitto di Giacomo Meyerbeer. A riprova che la sua voce fosse piuttosto scura, specie nell’ultimo periodo, nella Semiramide di Rossini tenne la parte di Assur, basso (Trieste 1825, Firenze e Vicenza 1826).
Appassionato delle belle arti, mise insieme un’importante collezione di dipinti, di cui fu stampato il catalogo a Parigi nel 1813 (in Strehlke, 2018, pp. 170-177); e dai marchesi Gerini acquistò nel 1825 due Cranach, un Allori e un presunto Raffaello, che però a un certo punto dovette rivendere. Sapeva di pittura scenica: nella lettera autobiografica definisce «mio maestro» lo scenografo Luigi Tasca. Negli anni trascorsi a Roma frequentò l’atelier di Antonio Canova, il quale, sempre stando alla testimonianza autobiografica, gli fece fare da un allievo un ritratto scultoreo in veste di Orazio. Un busto in marmo del cantante, già attribuito a Canova ma certamente di altra mano, è a Milano, nel Museo teatrale alla Scala.
Forte della propria esperienza di palcoscenico, nel 1830 diede alle stampe il trattatello Dell’opera in musica sul teatro italiano e de’ suoi difetti (Firenze; unicum a Bologna, Accademia filarmonica, Libro antico 83), firmandosi semplicemente «N. T. artista toscano». Nel 1833 uscì una seconda edizione, identica ma con il nome in tutte lettere (edizione moderna in Ciarlantini, 1989, pp. 88-111; facsimile a cura di F. Gatta, Modena 1998). Si può presumere che, lasciando la carriera, l’artista volesse accreditarsi come esperto, attirando vuoi allievi vuoi incarichi gestionali in ambito teatrale.
L’«opuscolo» (così lo definì l’autore stesso) è una delle fonti più eloquenti circa la prassi del teatro d’opera italiano nel primo Ottocento: pur ispirato da una poetica che poneva in primo piano la verosimiglianza drammatica, rifuggiva dalle disquisizioni teoriche e aveva un taglio pratico, da manuale destinato a giovani artisti, impresari, uomini di teatro e spettatori esigenti. Riferimenti intellettuali sono i trattati di Antonio Planelli (1772), Stefano Arteaga (1783-1788), Pietro Napoli Signorelli (1787-1790), Pietro Lichtenthal (1826); ma rispetto a costoro il trattato di Tacchinardi ha il pregio di testimoniare la realtà del sistema teatrale dal di dentro, in particolare nella prospettiva dell’attore-cantante. Esso consta di otto sezioni o «articoli»: origini dell’opera in musica e sue caratteristiche formali, comprese le «qualità», ossia i generi della musica melodrammatica; la corretta pronuncia teatrale; gli stili di canto propri di ciascun genere (serio, buffo, semiserio), con consigli per ottenere la miglior resa in ogni ambito; l’esatto modo di vestirsi in scena seguendo, come unici consiglieri, «pittura e scultura»; la gestualità e il giusto atteggiarsi in palcoscenico, con l’ausilio della scherma e della scuola di declamazione; il ritratto veritiero degli abusi perpetrati, nei citati ambiti, sulle scene d’Italia; infine, nelle ultime due sezioni, la descrizione e la critica delle «convenienze teatrali», il vetusto sistema di pertinenze legato ai ruoli e al rango dei cantanti, costrittivo del talento di librettisti e compositori.
Al tramonto della carriera Tacchinardi espresse in altro modo la propria esperienza del teatro. Nel periodo 1823-28 aveva dato vita a una società con l’impresario Alessandro Lanari, cui restò sempre legato da profonda amicizia, e con il coreografo Lorenzo Panzieri, per la gestione del teatro della Pergola a Firenze. In tale veste diede prova di buon fiuto, incoraggiando la carriera del tenore Giambattista Genero, del soprano Sofia Dall’Occa Schoberlechner e del compositore Persiani, marito di sua figlia Fanny (di lui interpretò le ‘prime’ di Attila in Aquileja, Parma 1827, e di Gastone di Foix, Venezia 1828). Si prestava anche come direttore di scena: in una lettera a Lanari del 22 luglio 1836 ricordava di aver curato un allestimento milanese della Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini e gli forniva puntuali consigli per programmare la stagione estiva del teatro degli Avvalorati di Livorno (Ciarlantini, 1989, pp. 73 s.). Alla sua scuola di canto, oltre alla figlia Fanny, si formò il soprano Erminia Frezzolini, figlia del basso Giuseppe.
Morì nel sonno, per congestione cerebrale, il 14 marzo 1859 a Firenze.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Stato civile toscano, Matrimoni dell’anno 1837, Comunità di Firenze, Registro 10683, atto n. 221; Matrimoni dell’anno 1839, Comunità di Firenze, f. 4682, atto n. 577; Stato civile toscano, Morti nell’anno 1859, comunità di Firenze, f. 7310, atto 993; Firenze, Archivio storico della chiesa dei Ss. Simone e Giuda, Stato dell’anime, anni 1815-1817 e 1825; Registro matrimoni, 1818-1831; Firenze, Biblioteca nazionale, Carteggi vari, N. T., cassetta 411: 32 lettere, tra cui 27 all’impresario Lanari, parzialmente pubblicate in Liburni Civitas, VI (1933), f. 6, pp. 4-11; Forlì, Biblioteca comunale, Fondo Piancastelli, Autografi sec. XIX, f. N. T. (5 ritratti e 4 lettere); Iconografia musicale ovvero ritratti e biografie dei più celebrati maestri, professori e cantanti moderni, Torino 1838, p. 34 (scheda sul cantante, e fuori testo un ritratto litografico); Livorno, Archivio storico della curia vescovile, Registro dei battesimi della collegiata, anno 1772, p. 386; Roma, Archivio storico del Vicariato, Stati d’anime della parrocchia S. Maria ad Martyres, anno 1806, p. 84 (indica la residenza di Nicola Tacchinardi nel vicolo detto di Sant’Ignazio, presso al Pantheon); G. Fiori, necrologio, in Teatri, arti e letteratura, t. 71, n. 1789, 14 aprile 1859, p. 39; F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, Torino 1860, pp. 512-514; F.-J. Fétis, N. T., in Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique, VIII, Paris 1865, pp. 172 s., X, 1888, p. 560; Jarro (G. Piccini), Memorie di un impresario fiorentino, Firenze 1892, p. 125; G. Radiciotti, Lettere inedite di celebri musicisti annotate e precedute dalle biografie di Pietro, Giovanni e Rosa Morandi a cui sono dirette, Milano 1892, pp. 127 s.; V. Scotti, Ricordando N. T., in Corriere di Milano, 9 settembre 1924 (riporta l’autobiografia in forma di lettera indirizzata nel 1837 a P. Lichtenthal); R. Celletti, N. T., in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, coll. 620-622; Storia del teatro Regio di Torino, a cura di A. Basso, II, Torino 1976, pp. 131 s., 180; M. Rinaldi, Due secoli di musica al teatro Argentina, I, Firenze 1978, pp. 377-379; M. De Angelis, Le cifre del melodramma. L’archivio inedito dell’impresario teatrale Alessandro Lanari nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1815-1870), II, Firenze 1982, p. 362; P. Ciarlantini, Una testimonianza sul teatro musicale degli inizi dell’Ottocento: il saggio “Dell’opera in musica” di N. T., in Bollettino del Centro rossiniano di studi, XXIX (1989), pp. 63-135 (elenco dei documenti autografi di Nicola Tacchinardi in archivi e biblioteche italiani, pp. 68-70, n. 17, e carriera teatrale in Appendice II, pp. 112-135); G. Appolonia, Le voci di Rossini, Torino 1992, pp. 160 s.; R. Chiti - F. Marri, Testi drammatici per musica della Biblioteca Labronica di Livorno, parte II, in Quaderni della Labronica, 1994, n. 56, schede 91, 109, 118, 458, 918; A. Sessa, Il melodramma italiano, 1861-1900, Firenze 2003, p. 459 s., s.v. Guido Tacchinardi; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1810 bis 1836, Wien 2007, ad ind.; J. Mongrédien, Le théâtre-Italien de Paris, 1801-1831, Lyon 2008, ad ind.; M. Ingendaay, «I migliori pennelli». I marchesi Gerini mecenati e collezionisti nella Firenze barocca: il palazzo e la galleria, 1600-1825, I, Milano 2013, p. 229, II, p. 133; N. T., in Piccolo dizionario musicale stendhaliano, a cura di A. Bottacin, Milano 2017, pp. 255-257; C.B. Strehlke, N. T., ténor du bel canto, scénographe et collectionneur d’art, in Regards sur les primitifs. Mélanges en l’honneur de Dominique Thiébaut, a cura di J.-L. Martinez, Paris 2018, pp. 160-179.
Si ringrazia Alessio Costarelli per i ragguagli sul busto del Museo teatrale alla Scala.