Villani, Nicola
Poeta e critico (Pistoia 1590 - Roma 1636). Nelle due opere con le quali intervenne nella polemica sull'Adone del Marino provocata dallo Stigliani, L'Uccellatura di Vincenzo Foresi e le Considerarioni di Messer Fagiano, il V. ricorre spesso all'esempio di D. per avvalorare i suoi giudizi sul poeta secentesco informati a criteri di equilibrio. La familiarità con D. è attestata anche dalle frequenti reminiscenze verbali presenti nelle sue opere poetiche.
Nell'Uccellatura adduce l'esempio di D. per giustificare nel Marino la scelta del protagonista non perfetto (" l'uomo reo che si vuole emendare "), nel Tasso la personificazione della fortuna, e in genere la scienza fatta oggetto di poesia, nel che D. fu " miracoloso " poiché " ha rappresentato tutta la natura intellettuale e 'l mondo stesso intelleggibile con idoli e immagini bellissime ". Difende pure con D. l'uso di vocaboli presi ad altre lingue, i bisticci, vari modi grammaticali e stilistici, metafore e similitudini, che nel Marino erano stati biasimati, e incidentalmente propone un'interpretazione di borni (If XXVI 14), contro il Landino e il Vellutello che intendevano ‛ di cattiva vista ' derivandolo dal francese, come voce toscana sinonimo di " bernoccoli ", che i due pellegrini si sarebbero fatti ai piedi e alle mani.
Nelle Considerazioni dedica a D. una lunga digressione che supera l'interesse per la polemica mariniana intervenendo in quella su D., mai del tutto sopita dopo le battaglie del tardo Cinquecento. Con l'intenzione di temperare anche qui gli opposti eccessi delle opinioni correnti, dichiara di voler moderare per insegnamento ai giovani gli entusiasmi di chi lo tiene " eccellentissimo " e " divino ", sentenza in generale " ragionata e buona " che non deve però far tacere vari difetti. Non manca di rilevare qualche contraddizione o preteso errore, di muovere biasimi morali, come quello di mescolare il sacro al profano, di eccedere nella maldicenza o, come nelle Notae alla Historia del Mussato, di adulare a modo di ‛ cliente ' Cangrande, in cui identifica il Veltro. Ma il più della sua critica verte sulla lingua e sullo stile, particolarmente sulle metafore. Anche gli appunti alla lingua nascono più volte non tanto da difetto di cognizione storica della lingua del tempo di D., quanto da avversione alla parola allontanata dal suo senso proprio senza una precisa determinazione logica: così critica cotenna di Pd XIX 120, perché si dice anche della pelle umana, di cui non si muore, e quindi l'uso metaforico per " cinghiale " ne restringe arbitrariamente il senso; il pregio de la borsa (Pg VIII 129) perché equivoco in quanto ‛ borsa ' può anche essere traslato per " moneta ". Ma più spesso il suo giudizio riflette l'avversione alla metafora audace (non approva gli strali di pietà ferrati, If XXIX 44) e il gusto schivo del parlare " basso " che denota in lui una cospicua eredità cinquecentesca. Più in generale rivela una concezione intellettualistica della metafora o della similitudine che ignora le rapide intuizioni fantastiche delle analogie e delle allusioni e reseca quanto non sia rigorosamente finalizzato all'espressione del concetto. Così ammette le metafore logicamente continuate purché non " enimmatiche " e non interrotte da altre che a esse si sovrappongano, come in Pg XXXIII 67-78. Tuttavia la polemica antimarinistica lo guida a cogliere il preziosismo in cui indugia a tratti l'esercizio retorico dantesco come, ad esempio, in Marte e Giove che si scambiano le penne in Pd XXVII 13-15, perché " le comparazioni si vogliono prendere dalle cose che sono o che esser possono; altrimenti se vano sarà questo fondamento, svanirà con esso ancora la similitudine ".
Nel Ragionamento sopra la poesia giocosa, dopo aver detto che D. fu forse il primo a distaccarsi dalla poesia d'amore componendo " un giusto poema di gravi azioni ", sia pure introducendovi come guida la " sua innamorata ", l'inserisce tra i poeti satirici o comici, riconoscendo nella Commedia i caratteri della commedia antica, della mezzana e della nuova. Lo elogia inoltre per la ricchezza linguistica manifestata fra l'altro con le parole " miste " italolatine che ottengono " una grave e bella maniera di poetare "; e con ciò sembra correggere l'opinione espressa nelle Considerazioni, che abusasse delle parole forestiere e fosse poco felice nell'inventare e derivare le voci.
Nel complesso il V. dimostra, sia personalmente, sia per il pubblico al quale rivolge il suo discorso critico, il vivo interesse e l'ammirazione che al suo tempo suscitò il poema di D., e, non senza oscillazioni, pur fra le remore di una concezione intellettualistica delle immagini e di una diffidenza ancora cinquecentesca per il linguaggio realistico e popolare di D., ne avverte la singolare grandezza.
Bibl. - L'Uccellatura di Vincenzo Foresi all'Occhiale del cav. fra Tomaso Stigliani, Venezia 1630; Considerazioni di Messer Fagiano sopra la seconda parte dell'Occhiale del cav. Stigliani, ibid. 1631; Ragionamento dell'Acc. Aldeano sopra la poesia giocosa de' Greci, de' Latini e de' Toscani, ibid. 1634. Le Notae al De Gestis Henrici 7. Caesaris historia augusta sono in Rer. Ital. Script. X, Modena 1727.
Sul V.: F. Ridolfi, in L. Magalotti, Lettere famigliari, Firenze 1769, 112-118; G. Fontanini, Dell'eloquenza italiana, Roma 1726, 138; U. Cosmo, pref. all'edizione delle Osservazioni alla D.C. di D.A., contenute in N.V., Considerazioni, cit., Città di Castello 1894; A. Ceccon, Di N.V. e delle sue opere, Cesena 1900; recens. di E.G. Parodi a E. Benvenuti, L'Accademia degli Apatisti, in " Bull. " XXII (1915) 103-105; ID., in " Giorn. d. " XXVI (1923); U. Limentani, La fortuna di D. nel Seicento, in " Studi Settecenteschi " V (1964) 3-49.