NICOLAUS Sacerdos
Scultore e architetto attivo in Puglia durante la prima metà del 13° secolo.Il nome di N. è tramandato da due iscrizioni legate rispettivamente all'ambone in marmo della cattedrale di Bitonto e al campanile della cattedrale di Trani. L'ambone riporta, al di sotto del pavimento del lettorino, il nome dell'autore e la data di esecuzione: "Hoc opus fecit Nicolaus / sacerdos et magister anno millesimo / ducentesimo vicesimo / nono i[n]dictionis secunde". Una seconda epigrafe corre lungo il bordo inferiore della base del lettorino: "Docta manus me fecit ad hoc ut lectio vitae hic recitata ferat fructus mentis". Il complesso scultoreo, in parte ricomposto durante il sec. 18° e in parte riutilizzato nel pulpito, è caratterizzato da un ornato prezioso e raffinato e da una vivace intonazione coloristica.Di cultura varia e composita, l'opera di N. si avvale di modelli e tecniche tratti dall'arte orafa, particolarmente evidenti nell'aquila che sostiene il leggio, dove, tra le piume, compaiono incrostazioni di vetro azzurro su stucco e, all'altezza del petto, un grosso cristallo di rocca. Interessanti sono anche i confronti iconografici con l'ambone di Enrico II (Aquisgrana, Cappella Palatina) per quanto riguarda il motivo a lacunari, arricchito - nel caso di Bitonto - da rosette a forte rilievo. Alla tradizione plastica ed espressiva derivata dal Maestro di Elia si ispirano il piccolo telamone che sostiene il leggio e i simboli degli evangelisti montati sulle colonnine laterali. Nelle lastre del basamento della scala, eseguite con la tecnica a incrostazione, prevale un repertorio decorativo di antica origine bizantina e islamica, ampiamente diffuso in Puglia durante i secc. 11°-12° e ispirato a forme e modelli tratti dalle arti suntuarie.La fortuna critica dell'opera, poco giustificata sul piano della qualità, è legata alla lastra triangolare utilizzata attualmente come parapetto della scala. Inseriti in una decorazione ricca ed esuberante sono raffigurati a bassorilievo quattro personaggi, uno seduto in trono, con uno scettro tra le mani, e tre in piedi, il cui significato, ampiamente discusso, è comunque circoscritto in ambito profano e riferito a Federico II. L'interpretazione della scena è stata posta in relazione con il testo di una predica (Kloos, 1954-1955) tenuta probabilmente nella stessa cattedrale di Bitonto da un diacono di nome Nicola (la cui identificazione con l'autore dell'ambone non è concordemente accettata dalla critica), che esalta in tono millenaristico l'imperatore Federico II per aver riunito sotto il suo scettro le tre corone dell'Impero, di Sicilia e di Gerusalemme. Il rilievo, secondo questa interpretazione, rappresenterebbe dunque Federico I Barbarossa in trono e i suoi discendenti Enrico VI, Federico II e Corrado IV (Schaller, 1960). Di diverso parere sono coloro che hanno visto nella figura in trono, in base alla pettinatura e al tipo di corona, un personaggio femminile variamente identificato con Isabella di Brienne (Neu-Kock, 1978) o con la Τύχη di Bitonto (Thelen, 1980). Concorde è invece la critica, anche più recente, nel sottolineare l'importanza di rappresentare su un arredo liturgico un tema legato alla celebrazione del potere laico (Claussen, 1993).Alla lastra era probabilmente abbinata un'altra gemella, la cui esistenza è testimoniata da alcuni frammenti conservati nel vicino episcopio, tra i quali un rilievo raffigurante una piccola aquila scolpita su un fondo a racemi, del tutto identico a quello dell'ambone (Federico II, 1995, p. 503). Alla stessa struttura appartengono anche le due lastre frontali reimpiegate nel pulpito in marmo, attualmente in restauro, dove ritornano, tra motivi a intreccio arricchiti da incrostazioni, elementi vitrei variamente colorati.Calò Mariani (1984) ha attribuito alla direzione di N. i lavori di completamento della cattedrale bitontina, dove, a partire dalla terza arcata dell'esaforato sud, ritorna quel gusto per l'ornamentazione fortemente arcaicizzante che è una caratteristica, non solo dello stile di N., ma dell'intero fenomeno della plastica pugliese del 13° secolo. Si giustificano così le relazioni sia con alcune sculture del castello di Bari sia con la recinzione presbiteriale e il trono vescovile nella cattedrale barese, firmati da Pellegrino da Sessa (Shäfer-Schuchardt, 1972). Le affinità riscontrabili tanto nella tecnica quanto nel repertorio figurativo sono spiegabili, secondo Belli D'Elia (1971), assegnando a questi artisti il ruolo di progettisti dei lavori, eseguiti da maestranze locali specializzate da lunga data nella lavorazione dei marmi incrostati.Tale ipotesi è confortata dall'iscrizione sul cornicione aggettante che corona il basamento del campanile di Trani: "Nicolaus sacerdos et protomagister me fecit", appellativo che indicherebbe la posteriorità di quest'opera rispetto all'ambone di Bitonto. Nel fregio del cornicione si ritrova lo stesso ornato raffinato e prezioso, di remota origine orientale, che caratterizza l'ambone. Il basamento della torre campanaria, completata nel corso del sec. 14°, è caratterizzato da un fornice a sesto acuto, di gusto islamizzante, che accomuna la torre ai campanili delle chiese di Casertavecchia e di Barletta. Tale elemento esalta la funzione urbanistica, di collegamento tra la zona portuale e la piazza della cattedrale, svolta dal monumento, arricchito da serie di nicchie a tutto sesto, scavate nello spessore della muratura, che sembrano alludere agli antichi archi di trionfo quadrifronti romani.
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