NICOLINI da Sabbio, Giovanni Antonio
NICOLINI da Sabbio, Giovanni Antonio. – Originario di Sabbio Chiese, nacque tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.
Non è da confondere con l’omonimo libraio attivo nel commercio napoletano tra gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento (cfr. C. Marciani, Editori, tipografi, librai veneti nel Regno di Napoli nel Cinquecento, in Studi veneziani, X [1968], pp. 457-554).
Primogenito di sei fratelli (dopo di lui nacquero Stefano, Pietro, Giacomo, Ludovico, Giovanni Maria), si trasferì a Venezia assieme almeno a Stefano e Pietro nei primi anni del Cinquecento, forse grazie ai contatti del padre Turrino (detto «sartor» nel testamento di Giovanni Antonio: Arch. di Stato di Venezia, Arch. Notarile, Testamenti chiusi, notaio Francesco Fadini, b. 414, n. 60, 10 agosto 1546, cc. n.n.).
Le sue vicende, personali e professionali, furono sempre strettamente intrecciate con quelle dei fratelli, soprattutto Stefano e Pietro, con cui condivise la casa, la tipografia e moltissime edizioni. Sabbio Chiese era a quel tempo uno dei più grandi centri di produzione cartiera al servizio dell’editoria veneziana, ciò che potrebbe spiegare l’inserimento dei Nicolini nella bottega di Andrea Torresano, suocero di Aldo Manuzio. Fu qui che – in un ambiente vivace e ricco di stimoli culturali e professionali, dove operavano, assieme ad Andrea d’Asola, Manuzio (fino alla morte nel 1515), i suoi figli e i suoi cognati – Giovanni Antonio e Stefano maturarono la loro preparazione professionale finché, attorno al 1520-21, diventati rispettivamente maestro stampatore e compositore, si misero in proprio.
Spesso nei repertori è citato come anno d’inizio dell’attività dei Nicolini il 1512, quando comparve l’opera Epistole et euangelij volgari historiade con la sottoscrizione «per Zuane Antonio & fradeli da Sabio» (Edit 16: CNCE 11344). Si tratta tuttavia di un errore dovuto a un refuso di stampa poiché molto probabilmente nel 1512 Giovanni Antonio era ancora un garzone e la data va dunque corretta in 1522. Lo stesso vale per il poemetto Geta e Birria. Novella tracta d’Amphitrione di Plauto (citato nei repertori, ma del quale non è noto alcun esemplare dalla seconda metà del Settecento), la cui data di pubblicazione, 1516, è da leggere 1526.
La nomina di Giovanni Antonio è testimoniata dalla richiesta di privilegio presentata al Senato veneziano a nome di «maestro Antonio da Sabio e fratelli stampatori» (Arch. di Stato di Venezia, Senato Terra, reg. 22, 19 novembre 1521, c. 70r-v), registrata il 19 novembre 1521 per l’opera De copia et varietate facundiae latinae di Niccolò Liburnio (Edit 16: 61148). A questa data, Giovanni Antonio era a capo di un’officina che probabilmente coincideva con la sua abitazione. Infatti, nelle note tipografiche dell’edizione citata compare «in aedibus Io. Antonii, & fratres de Sabio» (ibid.).
Stefano non fu dunque il primo ad adoperare nelle sottoscrizioni solo il nome del paese d’origine invece del cognome (Vaglia, 1973, p. 61): fin dall’inizio della loro attività a Venezia i Nicolini sottoscrivevano le loro stampe ed erano conosciuti come i fratelli da Sabbio.
La documentazioni archivistica veneziana riguardante le attività di garzoni, lavoratori e stampatori dei primi anni del Cinquecento è scarsa. Fonti primarie per ricostruire le vicende degli fratelli da Sabbio sono, oltre alle indicazioni ricavate dalle loro edizioni, due inchieste dell’Inquisizione (Venezia, Arch. Storico del Patriarcato, Arch. segreto, Criminalia St. Inquisitione, b. 1, 2 agosto 1527, cc. 340-347: Inquisitio per libro intitolato Horologio Venetijs impresso; ibid., 16 marzo 1534, cc. 455-501: Denuncia contra Joseph da Carpenedolo impressorem librorum. Blasfemia), da cui si desumono notizie circa la loro origine e la gestione della stamperia rispettivamente nel 1521 e nel 1533.
Gli anni della promozione di Giovanni Antonio a maestro e compositore coincisero con la proposta di Andreas Kunadis, mercante da Patrasso e genero di Damiano di S. Maria di Spič (sulla costa dalmata meridionale), di allestire una tipografia di libri greci. I due fratelli, probabilmente assieme a Pietro, si trasferirono nella parrocchia di S. Fantin, come riporta la stampa di Paolo Maffei nel 1521 con nota «Zuantonio e fradelli da Sabbio in Calle del Forno a s. Fantino» (Edit 16: 32070). Sotto protezione e con il supporto economico di Kunadis, Giovanni Antonio gestiva la stamperia, mentre Stefano componeva (era nota la sua competenza nella composizione di libri in greco) e manteneva i rapporti di lavoro. Ai due si aggiunse Dimitrios Zinos, un giovane greco di circa 23 o 24 anni che aveva il compito di correggere le bozze, stipendiato direttamente da Andrea Kunadis e, dopo la sua morte, verso la fine del 1522, dal suocero. Zinos, nato attorno al 1500 e morto forse già nel 1540, fu anche copista di manoscritti greci e traduttore.
Nel 1527 Giovanni Antonio e i fratelli erano già andati ad abitare nella parrocchia di S. Angelo, in casa di Domenico Contarini. È probabile, dunque, che dopo qualche anno dall’apertura dell’attività avessero deciso di adibire il locale a S. Fantin solo a stamperia e di trasferire la dimora a S. Angelo. Ciò dimostra che gli affari erano in crescita, probabilmente grazie ai numerosi contatti che Stefano riuscì a procurarsi. Lo conferma anche l’apertura di una nuova bottega a S. Maria Formosa a opera di Stefano appena tre anni dopo l’invito di Kunadis, mentre Giovanni Antonio e Pietro continuavano a stampare a S. Fantin.
Giovanni Antonio, Stefano e Pietro collaborarono fino al 1528, quando Stefano si recò a Verona con altri fratelli chiamato dal vescovo Gian Matteo Giberti per aiutarlo nella realizzazione di un progetto editoriale. Ricongiunti nel 1532, i tre ripresero a stampare a Venezia insieme e singolarmente.
Nel 1533 Giovanni Antonio abitava ancora a S. Angelo in casa di Contarini e aveva alle proprie dipendenze Giuseppe Rodella operante al torchio, il compositore Giovanni Maria Rossetto, lo stampatore Bartolomeo da Collio e un certo Marino da Pavia aiutato dal figlio Nicolò.
Nel 1542 Stefano si trasferì a Roma chiamato come compositore di libri greci presso la bottega di Antonio Blado, a cui il suo nome era stato consigliato da Paolo Manuzio, per rispondere al progetto del futuro cardinale Marcello Cervini di aprire una stamperia greca a Roma. Probabilmente fu Stefano stesso a preparare la serie di caratteri greci adoperata nelle stampe romane.
Almeno la metà della produzione di Giovanni Antonio fu su commissione (Sandal, 2002, p. 26). Dal 1521 al 1546 uscirono dai suoi torchi opere liturgiche e devozionali, libri in lingua greca, latina e in volgare e opere musicali su istanza di vari editori e librai, tra cui Andrea Kunadis, il suocero Damiano, Niccolò e Domenico Sandri all’insegna del Gesù, Lorenzo Lorio, Giovanni Battista Putelleto, Federico e Giovanni Francesco d’Asola, Giovanni Battista Pederzano, Nicolò Garanta. Giovanni Antonio servì anche cerretani e venditori di strada come Jacopo Coppa, Damonfido pastore detto il Pellegrino, Nicolò d’Aristotile detto Zoppino. Tra le collaborazioni più importanti, vi furono quelle con Francesco Marcolini da Forlì per il quale stampò sei edizioni di Pietro Aretino, e con Melchiorre Sessa, pari al 20% delle edizioni Nicolini (ibid., p. 27).
La linea editoriale della stamperia variava in relazione ai committenti e ai rapporti che Stefano riusciva a stringere, come nel caso del legame d’amicizia e di lavoro nato con il sacerdote Tullio Crispoldi durante la permanenza di Stefano a Verona.
Giovanni Antonio morì a Venezia probabilmente tra la fine del 1546 e l’inizio del 1547.
Nel testamento, redatto il 10 agosto 1546, dichiarò di essere infermo a letto nella casa di S. Angelo. Nominò esecutori testamentari il fratello Pietro e la sua consorte Maddalena, cui lasciò tutti i «beni mobeli stabeli» (Arch. di Stato di Venezia, Arch. Notarile, Testamenti chiusi, notaio Francesco Fadini, b. 414, n. 60, 10 agosto 1546, cc. n.n.) fino alla morte. Dispose un lascito di 100 ducati alla figlia Lucrezia come dote e 10 «in segno de amor» (ibid.) al figlio Nicolò. Precisò che solo dopo la morte della moglie i suoi beni sarebbero stati dati ai figli maschi ancora in vita. Chiese di essere sepolto nella chiesa di S. Angelo a Venezia.
Forse a causa della sua morte e della permanenza di Stefano a Roma (fino al 1564), la produzione veneziana andò scemando. A prendere le redini della stamperia veneziana fu Pietro, avvalendosi dei nipoti Cornelio e Domenico e del fratello Giovanni Maria. Dopo una breve e infelice avventura a Ferrara (1551-52), Giovanni Maria seguì il fratello Ludovico e il nipote Vincenzo a Brescia (1554) lavorando con il nome di Sabbi, mentre a Venezia rimasero Pietro, Giacomo con il figlio Domenico, e il comune nipote Cornelio (1559-60). Furono Domenico e i suoi eredi a perpetuare il nome dei Nicolini a Venezia fino ai primi anni del Settecento. A Brescia, invece, l’attività dei Sabbi continuò fino al 1658, quando fu rilevata da Policreto Turlini.
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