BOMBACCI, Nicolò
Nacque a Civitella di Romagna (Forlì) il 24 ott. 1879, da Antonio e Paola Gaudenzi. Insegnante elementare, all'inizio dell'età giolittiana esordì nel campo sindacale nel solco aperto dalla Federazione dei lavoratori della terra. Nel 1911, al congresso di Padova, fu eletto nel consiglio nazionale della Confederazione del lavoro, cui fu riconfermato nel successivo congresso di Mantova, nel maggio del 1914. Allineatosi con le correnti intransigenti e rivoluzionarie, la sua ascesa al vertice del partito socialista si svolse fra il convegno nazionale consultivo del febbraio 1917 e il XV congresso del settembre 1918, favorita tanto dalla ondata radicalizzatrice emergente nelle file del movimento operaio italiano e internazionale, quanto dalla falcidia di quadri determinata dalle persecuzioni antisocialiste seguite ai moti di Torino e alla disfatta di Caporetto. Fu, con Costantino Lazzari e con Giacinto Menotti Serrati, uno dei massimi promotori del convegno clandestino di Firenze del novembre 1917, in cui emerse una linea nettamente rivoluzionaria dall'incontro delle varie frazioni estreme, vecchie e nuove.
Il 24 genn. 1918 fu arrestato, insieme con il Lazzari, come vicesegretario del partito, sulla base del decreto Sacchi, per "disfattismo": l'imputazione investiva la sua corresponsabilità nelle circolari della segreteria volte a riaffermare la piattaforma intransigente e a combattere ogni forma di collaborazione socialista sul fronte interno. Giudicato a piede libero e condannato a 2 anni e 4 mesi, continuò a dirigere il partito, con Bacci, Gennari e pochi altri, fino a che non fu arrestato di nuovo, in seguito alla sentenza definitiva della Corte di cassazione il 31 ottobre.
Attraverso questa vicenda, la sua linea e il suo prestigio acquistarono un notevolissimo peso, che divenne particolarmente evidente al congresso di Roma del 1º-5 settembre, in cui figurò come delegato dell'Unione socialista della capitale. Ma già in quella occasione vennero alla luce, al di là delle sue spiccate capacità di oratore popolare, le oscillazioni politiche e il rivoluzionarismo verbale di una posizione ideologica che aveva la sua matrice diretta nel massimalismo prebellico, che il B. non riuscì a superare, né allora né poi, indulgendo sempre a una visione della storia e della lotta sociale tipicamente catastrofica. Fautore dell'espulsione di Turati per l'atteggiamento assunto dal leader riformista dopo Caporetto, quando Modigliani minacciò il distacco dal partito di tutta la rappresentanza parlamentare, esitò, e assieme al suo gruppo, si accontentò di vincere il congresso su una posizione di principio che ribadiva la subordinazione dei deputati alle delibere della direzione.
Scontato un breve periodo di carcere, dal 31 ottobre al 20 novembre, del 1918, quando fu liberato per la sopravvenuta decadenza del decreto Sacchi, consolidò la sua posizione vincendo i congressi provinciali di Bologna e Firenze, nel gennaio e febbraio del 1919. Vicesegretario del partito, con Arturo Vella, al congresso nazionale di Bologna dell'ottobre dello stesso anno pronunziò la replica dei massimalisti-elezionisti, sostenendo che la lotta fra le classi era giunta ad un periodo cruciale, avendo scisso il blocco borghese in due campi contrapposti e aperto una via rivoluzionaria al proletariato internazionale. Eletto deputato nella circoscrizione di Bologna nel novembre del 1919, diede le dimissioni dalla segreteria del partito e fu sostituito da Gennari, ma continuò a esercitare nella direzione una forte influenza. Suo fu, al consiglio nazionale di Firenze (febbraio 1920), l'ordine del giorno che invitava il partito a iniziare il dibattito e il lavoro per la costituzione dei soviet. Nel complesso, fra il 1918 e il '20, tenne una linea scarsamente originale, limitandosi di massima ad affermare e ripetere che il movimento operaio e il socialismo italiano dovevano ("fare come in Russia", seguendone cioè l'esempio rivoluzionario.
Nel luglio-agosto del 1920 partecipò, con Serrati e Graziadei, alla delegazione italiana presso il II congresso del Comintern, e nella corrente massimalista fu uno dei primi a sostenere l'uscita dal partito socialista. Dislocato ormai all'estrema sinistra, il 15 novembre firmò il manifestoprogramma della frazione comunista, con Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano, Polano e Terracini, e al congresso di Livorno del gennaio 1921 passò al Partito comunista d'Italia. Ma la debolezza teorica e morale di questa conversione politica - che risultò poi nel confronto con i due gruppi più influenzati dall'esperienza leninista, guidati da Bordiga e da Gramsci - tardò a rivelarsi pienamente, coperta com'era dal clima estremistico prevalente nella maggioranza del movimento operaio, dalla radicalizzazione del conflitto politico in atto nel paese, nonché dall'attivismo oratorio e giornalistico di una personalità tanto esuberante, e in fondo ingenua e piuttosto primitiva, come quella del B., che sembrava ritagliata su misura per riscuotere il plauso delle folle e delle stesse avanguardie della periferia sovversiva.
Al congresso socialista di Livorno la presenza del B. è segnata da un clamoroso e significativo incidente con Vacirca, che lo accusò di avere estremizzato il movimento bolognese in modo del tutto controproducente, favorendo la reazione fascista. Alla bruciante accusa del suo contraddittore ("rivoluzionario del temperino") il B. estrae e mostra la rivoltella; ma nel suo successivo intervento ripete il discorso delle "due anime" del partito socialista e - contrariamente a quanto accade a Bordiga - è accolto dagli applausi ironici degli avversari quando afferma che l'Italia è "isolata e da sola non farà mai la rivoluzione"; ma proprio per ciò, secondo il B., il movimento italiano doveva rinnovare la sua adesione alla III Internazionale, sulla base dei ventuno punti di Mosca.
Aderì quindi alla scissione partecipando al primo congresso del Partito comunista d'Italia, venendone eletto membro del comitato centrale (21 genn. 1921). Fra il 1920 e il 1921 il B. aveva comunque dispiegato al massimo grado la sua attività: fondò e diresse Il Comunista di Bologna-Imola, organo della fazione comunista, e dal 19 febbraio al 4 luglio del 1921 fu direttore dell'Avanti comunista, che si pubblicava a Roma. Il suo nome figura inoltre in questo periodo tra i collaboratori - con Bordiga, Gramsci e Terracini - dell'Internazionalecomunista (Pietrogrado-Roma), dell'Internazionaledella gioventù e del Fanciullo proletario.
In realtà il rivoluzionarismo del B., nella violenza suggestiva delle sue espressioni verbali, che gli sviluppi della situazione italiana misero presto a dura prova, celava un notevole margine di spontaneità irriflessa e irrazionale. Tipiche, a questo proposito, le formulazioni contenute nel progetto per la costituzione dei soviet, concepiti astrattamente, in netta contrapposizione con l'esperienza dei consigli di fabbrica (si veda al riguardo la polemica avviata sull'Ordinenuovo da Togliatti nel febbraio-marzo 1920) e le larvate simpatie per l'impresa dannunziana, in cui vide (l'espressione ricorre anche nel suo discorso di Livorno sulla situazione italiana e internazionale) il segno di un "dinamismo" storico e sociale, non ulteriormente analizzato e specificato.
Di qui il contrasto che, nel quadro del più profondo conflitto tra bordighiani e ordinovisti sotteso al processo di formazione di un più omogeneo e saldo gruppo dirigente del nuovo partito, si venne a determinare, in forma di questione personale, fra lui e la più solida e ideologizzata compagine comunista.
Già al congresso di Roma del marzo 1922 il B., che si accosta ora alla "destra" incipiente ed eterogenea di Tasca-Graziadei e si attesta peraltro sulle posizioni dell'Internazionale a favore del fronte unico politico, esce dal comitato centrale. Nel 1923 aderisce alla corrente di Tasca, ma nello stesso tempo solleva nei confronti tanto del partito quanto del Comintern problemi relativi al suo disagio finanziario. Si apre a questo punto una complicata vicenda disciplinare e procedurale, che si protrae per quattro anni, con una prima espulsione e una riammissione (1924) e con la definitiva estromissione dalle file del partito per opportunismo (1927). All'inizio di questa vicenda si colloca, fra l'altro, l'intervento alla Camera dei deputati sul trattato di commercio fra l'Unione Sovietica e l'Italia, in cui il deputato comunista aveva accennato a una convergenza politico-ideologica fra il comunismo russo e il fascismo italiano. Privato dell'appoggio sia del Partito comunista d'Italia sia dell'Internazionale e privato del mandato parlamentare (nel 1921 era stato eletto nella circoscrizione di Trieste), perseguitato dallo stesso fascismo (nel 1926 la sua casa di Roma fu devastata dalle squadre fasciste), dopo le leggi speciali di quell'anno si avviò a compiere atto di dedizione al nuovo regime. Come nell'estrema sinistra era stato, in fondo, un eccezionale campione del diffuso confusionismo del dopoguerra, così nel suo nuovo atteggiamento portò non poche derivazioni demagogiche del suo recente passato. Dopo un periodo di relativa inattività politica, utilizzando le sue vecchie conoscenze nel campo dei transfughi del movimento sindacalista e socialista, fondò, con un sussidio statale, la rivista La Verità (1936-1943), cui collaborarono, fra gli altri, G. Bitelli, T. Labriola, A. e M. Malatesta, W. Mocchi e E. Riboldi. Sulle colonne della Verità cercò di autenticare l'immagine di una Italia proletaria in lotta contro l'imperialismo capitalistico, ma senza successo, dato il ruolo di modesta copertura che la rivista assolse, proprio negli anni della guerra di Spagna e del secondo conflitto mondiale, rispetto al regime fascista e in contrasto sempre più ravvicinato con la polemica antifascista interna e internazionale.
L'ultima avventura tipicamente piccolo-borghese, ma in qualche modo conseguente del vecchio massimalista, ex compagno di Mussolini, si svolse infine sulla scena della Repubblica sociale. Nell'intricato rigurgito del fascismo di sinistra, il B. fu il principale ispiratore della Carta di Verona, che fu redatta insieme come manifesto programmatico del Partito fascista repubblicano e come piattaforma della Repubblica sociale italiana, che peraltro, una volta approvata da Mussolini, fu rielaborata anche da Alessandro Pavolini, per il partito, e da Gustav Rahn per la parte germanica. Si dovette soprattutto al B. se l'ultima incarnazione plebea e repubblicana del fascismo mussoliniano superò l'idea tradizionale e corporativa della collaborazione fra le diverse classi per richiamarsi invece, con un ultimo slancio verbale e demagogico, al concetto della "socializzazione". Fu allora pubblicato un suo opuscolo, dal titolo Questo è il comunismo, Venezia 1944, e scrisse sul Corriere della sera con lo pseudonimo di Giramondo. Divenuto consigliere di Mussolini. con Carlo Silvestri, nel disperato tentativo di un estremo accordo con il Comitato di liberazione nazionale, il B. seguì il suo conterraneo nella fuga da Milano. Catturato a Dongo dai partigiani, fu giustiziato il 28 apr. 1945.
Fonti e Bibl.: La Confederazione Generale del Lavoro, a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad Indicem; Il Partito SocialistaItaliano nei suoi Congressi, III, a cura di F. Pedone, Milano 1963, ad Indicem; Resoconto stenografico del XVII CongressoNazionaledel Partito Socialista Italiano. Livorno 1921, Milano 1921, ristampa Milano 1961, ad Indicem; P. Togliatti, Opere, I (1917-1926), Roma 1967, pp. 755-757; A. Malatesta, I socialistiitaliani durante la guerra, Milano 1926, pp. 167-173; F. Catalano, Storia del C.L.N.A.I., Bari 1956, p. 147; L. Ambrosoli, Né aderire né sabotare, Milano 1961, ad Indicem; P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italianonel 1923-24, Roma 1962, passim; F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini,il rivoluzionario, Roma 1965, pp. 20, 97, 368, 554 s., 588; Id., Mussolini, il fascista, Roma 1966, pp. 158, 564; N. S. Onofri, La grande guerra nella città rossa, Milano 1966, pp. 388-390; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, da Bordigaa Gramsci, Torino 1967, adIndicem; A. Tarchi, Teste dure, Milano 1967, p. 49; J. Humbert-Droz, Il contrasto tral'Internazionale e il P.C.I., 1922-1928, Milano 1969, pp. 62 s., 104 s., 113.