CESARI, Nicolò
Nacque probabilmente a Ciciliano (Roma) verso la fine del sec. XIV, da Sante. Gli inizi della sua carriera sono strettamente legati all'ascesa al trono pontificio, sotto il nome di Martino V, di Oddone Colonna: il C. faceva parte del ristretto gruppo di familiari di quel pontefice, in gran parte originari dei feudi colonnesi di Genazzano. Dal 1427 in poi cominciamo ad avere informazioni più precise su di lui: in questa data il C. era ormai prete, aveva l'ufficio di scriba nella Cancelleria apostolica e già deteneva alcuni benefici: un canonicato a Roma nella chiesa dei SS. Celso e Giuliano e l'amministrazione di S. Angelo sopra Ninfa, monastero della Congregazione benedettina dei florensi nella diocesi di Velletri. Ma soprattutto il C. era allora tra gli amministratori di quella che più tardi si chiamerà la tesoreria segreta, cioè dei fondi di cui il papa si riservava l'uso al di fuori della normale competenza della Camera apostolica. Tale incarico era assai importante, in quanto Martino V aveva la decisa tendenza a servirsi più di parenti e familiari che degli organi tradizionali della burocrazia pontificia, i cui esponenti erano stati nominati prima della sua elevazione. Il 7 maggio 1427 Martino V lo designò vescovo di Tivoli, e gli accordò la commenda di S. Angelo e i redditi del priorato di S. Vito a Forca di Penne, nella diocesi di Valva.
Tre giorni più tardi (10 maggio) il C. ricevette una pensione di 100 fiorini sulla plebania di S. Andrea di Empoli, appena rassegnata da un'altra creatura del papa, Angelo Massi. Nel frattempo, mentre continuava ad occuparsi della tesoreria segreta, fu nominato cubicularius ed esentato, per espresso ordine di Martino V, dal pagamento delle tasse che doveva pagare alla Camera apostolica sui suoi benefici (23 luglio 1427); privilegio che s'aggiunse alla spedizione gratuita degli atti in suo favore, di cui beneficiò costantemente. Durante l'estate, il 13 agosto, gli fu concessa anche l'amministrazione delle chiese romane vacanti per la morte del cardinale titolare. Il 23 genn. 1429 il C. ottenne la lucrosa carica di registratore delle lettere apostoliche, che esercitò - come del resto il suo predecessore - per interposta persona. Il 31 agosto dello stesso anno il papa gli affidò la competenza esclusiva delle cause riguardanti Salomone Bonaventura, un ebreo di Città di Castello. Nel 1430 il C. aveva ottenuto anche l'amministrazione del vescovato di Velletri, ed era commissario pontificio per mantenere la pace nella cittadina. A Roma, dove risiedette costantemente, il C. alternò la sua attività di tesoriere ad una ostinata ricerca di benefici. Per sua istanza Martino V soppresse un monastero femminile nella diocesi di Tivoli, S. Agnese, e l'accordò al C. dopo averlo trasformato in beneficio secolare (16 e 18 apr. 1430); gli diede anche la commenda di S. Cleridona, che dipendeva da Subiaco. D'altra parte il C. si fece accordare in due tempi (9 febbr. 1430 e 9 febbr. 1431) le quietanze, nella forma dovuta, delle somme che aveva amministrato in nome del papa.
Nel momento in cui il pontificato di Martino V volge al termine, il C. appare come uno degli uomini di fiducia del pontefice, specialmente incaricato, insieme con il tesoriere Oddone de' Varri, dell'amministrazione dei beni privati del papa, la cui fama d'avarizia faceva credere che avesse accumulato un tesoro considerevole. Perciò, non appena incoronato, Eugenio IV pretese di vedere i conti, o almeno di assicurarsi sulle voci che correvano circa un tesoro accumulato dal defunto papa e nascosto dai suoi familiari. Egli ordinò dunque a Stefano Colonna, che per inimicizia contro i consanguinei aveva preso le parti di Eugenio IV, di condurgli il C. e il tesoriere. L'ordine del papa fu eseguito con un rigore superiore alle sue intenzioni: il 15 apr. 1431 Oddone de' Varri e il C., incatenati come ladri, furono condotti attraverso Roma e tradotti in prigione, mentre le loro case venivano saccheggiate dalla soldataglia.
Il papa si adirò contro Stefano Colonna per questi eccessi ed egli dovette rifugiarsi a Palestrina, dando così il segnale di quella aperta opposizione armata che caratterizzò i primi anni del pontificato di Eugenio IV; comunque, da questo momento in poi, il C. fu oggetto di misure vessatorie. La casa di Palazzola (dal nome del monastero di Palazzuolo che la possedeva un tempo e situata nel rione Pigna) e le vigne situate fuori della porta Appia che appartenevano alla sua famiglia furono confiscate per ribellione contro l'autorità papale (18 luglio 1431); alla fine dell'anno, il 3 dicembre, Eugenio IV riservò all'abate di S. Bartolomeo di Ferrara l'ufficio di registratore di cui il C. era ancora titolare. Nella primavera del 1432 la Camera apostolica, agendo su ordine formale del vicecamerario Francesco Condulmer, fece sequestrare l'argenteria depositata dal C. (non è molto chiaro se a proprio nome o a quello della Camera) presso alcuni banchieri di Roma. La situazione del C. continuò ad aggravarsi: fu privato della commenda di S. Angelo sopra Ninfa (23 marzo 1432), poi di quella di S. Cleridona (28 marzo), i cui redditi furono attribuiti all'abbazia di Subiaco.
Non è escluso che durante questo periodo il C. sia stato tenuto prigioniero in Castel Sant'Angelo; comunque vi si trovava prima del 22 luglio 1433, accusato di lesa maestà. In questa data fu autorizzato a lasciare la fortezza per ragioni di salute, ma tale concessione non gli fu accordata prima di aver designato quindici nobili romani che si facessero garanti della sua persona per 10.000 fiorini. Ricondotto in prigione, il C. una notte riuscì ad evadere; l'episodio avvenne presumibilmente nel giugno del 1434, quando il papa fuggì da Roma. La reazione di Eugenio IV non si fece attendere: il 1º luglio il C. fu privato del suo ufficio di registratore. Ma egli aveva preso le sue decisioni, e si mise in viaggio per Basilea dove fece il suo ingresso il 19 novembre in compagnia di altri ex familiari di Martino V. Al concilio per prima cosa si dette da fare per riassestare la sua situazione: fece scrivere al papa in suo favore e ottenne che il cardinale di Lusignano fosse designato a giudicare la sua causa. Il concilio gli riconobbe il suo ufficio, designandolo magister del registro delle bolle. Il papa, senza dubbio poco convinto della difesa del C., gli tolse anche la pensione sulla pievania di S. Andrea di Empoli (27 dic. 1435). Il C. continuò a rivendicare i suoi diritti contro coloro che avevano occupato le sue cariche e benefici, e ottenne dall'assemblea generale del concilio la conferma delle sentenze definitive pronunciate in suo favore (27 luglio 1436). Oltre alla posizione importante che egli occupava alla Cancelleria la sua influenza crebbe con la designazione a presidente della nazione italiana, avvenuta nel corso del 1436: comunque la sua importanza seguì le fluttuazioni del partito costituitosi intorno al cardinal Cesarini. Il C. restò a Basilea fino a quando il papa trasferì il concilio a Ferrara dove il C. giunse l'8 marzo 1438, insieme con il cardinal Cesarini e Oddone de' Varri. Poi, al seguito del concilio, egli si trasferì a Firenze, dove sottoscrisse le bolle di unione dei greci (6 luglio 1439), degli armeni (22 nov. 1439) e dei conti (4 febbr. 1441). In questo periodo si ebbe la riconciliazione del C. con Eugenio IV, segnata dalla restituzione della casa di Palazzola che avvenne nel corso del 1441.
Il contenzioso con la Camera apostolica ebbe probabilmente fine con una bolla del 10 giugno 1443 che permise al camerario Francesco Condulmer di operare lo scarico di tutti gli effetti, come libri, anelli, vasi, gioielli e stoffe, ricevuti dagli antichi familiari di Martino, tra cui Prospero Colonna e Oddone de' Varri.
La fortuna del C. restò legata a quella dei Colonna: nel 1445 egli era procuratore del cardinale Prospero per rimettere nelle mani del papa la rinuncia a una commenda (28 settembre). È possibile che in questa data risiedesse a Tivoli, ma si ignora quasi tutto della sua attività in quella diocesi, se non che vi si trovava nel gennaio 1441 per ricevere il re d'Aragona, al quale consegnò le chiavi della città. La morte di Eugenio IV lo richiamò a Roma dove egli sperava certamente di riconquistare l'antico prestigio.
Il 31 maggio 1447 fu nominato governatore di Foligno e l'indomani stesso vi si recò con un seguito di 15 persone; mantenne quel difficile ufficio fino alla morte, sopravvenuta a Foligno nell'agosto del 1450.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Registra Later., 267, f. 188v; 268, f. 188; 272, f. 279; 276, ff. 217, 225 ss.; 283, f. 26; 295, ff. 38v, 243, 265v; 299, f.278v; 327, f. 24; Registra Vaticana, 351, ff. 84v, 34; 366, f. 84; 367, ff. 68, 274; 370, f. 45v; 371, ff. 88, 74; 372, f. 30; 374, f. 47v; 377, f.262; 381, f. 237; 406, f. 52; 411, f. 346v; 415, f.243v; 432, f. 52v; 435, ff. 80, 72v; Indice Garampi, 508, p. 1570; Introitus et exitus, 385, ff. 28, 131v, 55v, 156v; 389, f.101v; 390, f.56v; Armarium XXIX, t. 11, f.120; t. 16, f.204; t. 17, f.199v; t. 26, f. 20; S.Infessura, Diario della città di Roma, a cura diO. Tommasini, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, V, pp. 27, 44; B. Platina, Liber de vita Christi ac omnium pontificum, in Rer. Ital. Script., 2 ed., III, 1, a cura di G. Gaida, p. 314; Monumenta concil. generalium seculi decimi quinti, II, Vindobonae 1873, p. 974; III, ibid. 1882, pp. 5, 12; Concilium Basiliense, III, Basel 1900, ad Indicem; Concilium Florentinum. Documenta et scriptores, I, 2, Romae 1944, p. 137; I, 3, ibid. 1946, p. 64; III, 2, ibid. 1951, p. 29; VI, ibid. 1955, p. 263; A. Borgia, Istoria della Chiesa di Velletri, Nocera 1723, p. 352; G. C. Crochiante, L'Istoria della città di Tivoli..., Roma 1926, p. 93; G. Cascioli, Nuova serie dei vescovi di Tivoli, in Atti e mem. della Soc. tiburtina di storia e d'arte, VII (1927), pp. 197-200; P. Partner, The Papal State under Martin V, London 1958, pp. 138, 168.