CRASSO, Nicolò
Figlio di Alvise, appartenente alla cittadinanza originaria veneziana, e di Angela Paleologa, nacque a Venezia il 18 giugno 1523. Il padre, che esercitava la professione di medico fisico, e la madre, di origine greca, morirono quando ancora il C. era in tenera età. Le scarne notizie biografiche concernenti la sua giovinezza risalgono al 1547, anno in cui il C. veniva chiamato a deporre dal tribunale ecclesiastico di Feltre in un processo istruito per una promessa di matrimonio non mantenuta nei confronti di una giovane, Fiorenza dalla Croce, che egli aveva conosciuto sin dall'infanzia. Nella sua deposizione., raccolta il 21 marzo 1547, il C. afferma di essere "advocatus venetus" e di esercitare nel "Palazo de Venetia".
Egli si discolpa con abilità dall'imputazione addossatagli di aver diffamato con affermazioni e scritte calunniose, sotto lo pseudonimo di Fortuna, la reputazione della giovane, che intratteneva allora un rapporto amoroso con un nobile della città. Dalle deposizioni di alcuni testimoni, che gli attribuivano tale colpa, il C. ci appare come un giovane esuberante e privo di scrupoli. Uno dei testi, che l'aveva conosciuto quando egli aveva soggiornato a Feltre, lo definisce "persona de parolle assai" e che "rasonava assai".
Negli anni seguenti il C. abbandonava la carriera di avvocato nel foro civile per dedicarsi a quella più rischiosa del commercio marittimo. E questa nuova attività svolse con decisione e coraggio, come avrebbe ricordato molti anni più tardi il nipote Nicolò, illustrando un'intraprendente azione dell'avo contro una nave corsara che infestava i mari. Con il naufragio di una sua nave, che trasportava un grosso carico in Oriente, e nel quale salvò a stento la vita, egli fu costretto però ad abbandonare definitivamente le speculazioni mercantili. Il suo ritorno all'attività forense risale forse al 1559, anno in cui faceva valutare dai periti una nave che possedeva in comproprietà con il patrizio Domenico Avonal. E nel 1560 lo sappiamo iscritto alla celebre Accademia della Fama in qualità di legista nel campo civile. Le sventure non dovettero comunque prostrare l'iniziativa del C., poiché nel corso di pochi anni egli riusciva a raggiungere una posizione di primo piano tra la folta schiera degli avvocati che praticavano nel foro civile veneziano. Il Salomonio ricorda un'iscrizione scolpita nella villa di Arquà in memoria di una sua causa sostenuta a favore di quel Comune nel 1564. "Facondissimo oratore" lo definiva Matteo Franceschi, dedicandogli la Rettorica d'Aristotele (Venezia 1574) e ricordando come fossero assai pochi coloro che si vedevano "cotanto alto salire, massime in così poco tempo, come voi faceste". In effetti la faconda oratoria ed un'accorta e spregiudicata prodigalità gli permisero di raggiungere una celebrità e un prestigio che i contemporanei ricorderanno con enfasi. Risale forse al 1578 il dono che egli fece al Senato veneziano di un grande e prezioso tabernacolo d'argento ornato di cristalli, opera di insigni artisti europei, e per il quale il C. ottenne dalla Repubblica numerosi favori. Nel 1564 Ludovico Dolce gli dedicava con grandi lodi il Sommario di tutte le scienze di Domenico Delfino.
Il C. fu anche un accorto e tenace collezionista. Lo storico Natale Conti ricordava nel 1580 "l'elegante ingegno dell'uomo in perscrutare le antichità, il quale per nessune, quantunque gravissime spese, si ritraeva dal mettere insieme cose rare e che apportassero meraviglia". Nel 1561 il C. otteneva dai padri di S. Sebastiano la facoltà di poter costruire la propria sepoltura in una cappella della chiesa; in cambio egli s'impegnava di costituire una "mansionaria" di 15 ducati all'anno per la celebrazione d'una messa "in perpetuo". Nel 1593, a causa di "molti et diversi infortunij patiti", egli si ritrovava moroso nei pagamenti, ma in virtù delle molte "amorevolezze et serviti prestadi" a quei padri, addiveniva ad un accordo per il quale egli si impegnava a corrispondere loro una somma annua maggiore a titolo di risarcimento. In questa cappella nel 1563 il C. fece erigere un altare di marmo dedicato a s. Nicolò e commissionò al Tiziano una pala che rappresentava questo santo, nella figura del quale egli si fece forse ritrarre. Il C. fu, come ricorda il Ticozzi, un affezionato committente del Tiziano, avendogli questi fatto alcuni anni prima il ritratto ed alcuni dipinti, tra i quali quello "d'una gentil giovinetta avente in mano due panierini di frutti, nella quale si vuole che ritraesse Cornelia sua figliuola".
In una supplica presentata al Collegio nel novembre del 1601 per chiedere degli sgravi fiscali, il figlio Marco ricordava come il padre "per infirmità sopragiontali restò del tutto ciecho et per consequenza mutilissimo alla professione sua di advocato che con non picciolo guadagno essercitava".
Morì a Venezia nel 1595.
Dal matrimonio con Lucrezia Pellizzari ebbe quattro figli, Angela, Marco, Alessandro e Cornelia. Il figlio Marco intraprese la carriera di funzionario nella burocrazia statale e nel 1612 fu eletto cancelliere grande in Candia. Nella redecima del 1582, in cui si dichiara "dottor delle arti et medecina", il C. denunciava di possedere più di duecento "campi" posti nel Trevisano in villa di Riese, lamentando però la loro scarsa redditività dovuta alle "tempeste le quali ogni anno ne infestano, per li secchi che... abbrucciano il tutto". Il Tommasini (cfr. Cicogna) ricordava come esistessero presso il nipote Nicolò i manoscritti Consilia in iure N. Crassi sentoris, oggi perduti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cittadinanze originarie, busta 367, fasc.17; Ibid., Manimorte, Convento di S. Sebastiano, busta 6, processo 3; Ibid., Archivio notarile, Atti, busta 7819; Ibid., Savi alle decime, Condizioni di decima, busta 158, fasc. 880; M. L. Luisini, Dialogo intitolato la cecità, Venezia 1569, pp. 1-6 e passim;N. Conti, Delle historie de' suoi tempi, II, Venezia 1579, p. 429; G. N. Doglioni, Historia venetiana, Venetiis 1589, p. 936; N. Crassi Elogia patritiorum Venetorum, Venetiis 1612, p. 4; F. A. Superbi, Trionfo glorioso d'heroi illustri, III, Venezia 1628, p. 43; F. I. Salomonii Agri Patavina inscriptiones sacrae et profanae, Patavii 1696, p. 154; S. Ticozzi, Vite dei pittori Vecelli di Cadore, Milano 1817, pp. 234 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., IV, Venezia 1834, pp. 160-163; S. Savini Branca, Il collezionismo veneziano nel '600, Bologna 1965, p. 4; G. Corazzol-L. Corrà, Esperimenti d'amore. Fatti di giovani nel Veneto del Cinquecento, Vicenza 1981, pp. 191, 202.