DA PONTE, Nicolò
Nacque a Venezia il 15 febbr. 1574, ultimo dei figli maschi di Pietro di Alvise e di Soretta, o Fiordamor, Da Mosto di Gian Alvise di Domenico. Nulla sappiamo della sua giovinezza: il Cappellari Vivaro lo dice "gran letterato", ma su questa presunta cultura tutte le altre fonti osservano concordemente il silenzio. Certo è che né le cospicue ricchezze pervenute alla famiglia dopo il 1590, in seguito all'estinzione del ramo che discendeva dal doge Nicolò, né l'estrazione della balla d'oro lo spinsero ad intraprendere con decisione la carriera politica: dopo essere stato eletto alla Messettaria (25 nov. 1601) e più tardi alla Quarantia Civil nuova (19 sett. 1604), il D. sembra distogliere i suoi interessi dall'amministrazione dello Stato, pago forse degli onori che in quegli anni conseguivano i fratelli Antonio ed Alvise ed il padre, quasi sempre presente nel Consiglio dei dieci.
Nell'ambito dell'organizzazione famigliare, al D. toccò invece il compito di assicurare la continuità della casata, posta in forse dal matrimonio sterile di Alvise: si sposò quindi il 18 febbr. 1607 (pochi mesi dopo la morte del padre) con Chiara Foscarini di Marc'Antonio di Giovan Battista, dalla quale ebbe una figlia, Soretta. Quando, dieci anni più tardi, apparve evidente che non avrebbe avuto eredi maschi, decise di riprendere l'attività politica: nel 1618 fu tra gli elettori del doge Nicolò Donà, il 2 marzo '19 entrò a far parte, per due anni, degli Scansadori delle spese superflue; avogador di Comun dal 1º genn. 1621, due mesi più tardi era eletto duca a Candia per il periodo 2 dic. '21-1º dic. '23.
Il D. giungeva nell'isola nel corso di un "inverno famoso, e memorabile per la sterilità inaudita e continuata per doi anni", com'egli stesso ebbe a scrivere nella sua relazione, e si trovò subito di fronte al gravissimo problema di provvedere al vettovagliamento: "non havendo modo il più povero popolo d'acquistarsi il vivere, disperatamente mi si gettò in grembo, supplicandomi a sostenerlo in vita per l'amor di Dio. Quanta fosse all'hora la turbation del mio animo, angustiato dalla necessità che doppiamente m'affliggeva, non havendo quei miseri modo per acquistarsi il vivere, né io forze da sostenerli in vita, è impossibile alla mia penna il descriverlo, com'era impossibile al mio animo all'hora il trovar quiete". Si rivolse ai rettori ed ai consiglieri dell'isola, ma non trovò - o gli parve di non trovare - né collaborazione né obbedienza; anzi il camerlengo Mattio Zeno gli svelò tutta una serie di prevaricazioni, di malversazioni e di connivenze che facevan capo al "ragionato" Costantino Ambelicopulo, a suo dire principale responsabile della paralisi in cui versava la Camera fiscale.
Il D. era al suo primo rettorato: forse gli mancava la necessaria esperienza, o forse il suo temperamento intransigente e orgoglioso, unito all'alta opinione che aveva della sua carica (la cui autorevolezza era accresciuta dall'inquisitorato che proprio in quei mesi - estate 1622 - il fratello Antonio andava espletando nelle isole del Levante), non gli consentiva di tollerare riserve e resistenze da parte di quei funzionari dai quali invece s'era aspettato adesione e incoraggiamento. Si rivolse a Venezia, prima al Senato e poi al Consiglio dei dieci, senza ottenere risposta; credendosi boicottato, pensò che le sue lettere fossero intercettate da Nicolò Venier e Vincenzo Gussoni, rettori alla Canea.
Il 10 ag. 1622 scriveva loro in questi termini: "Hora io Duca ... devo dolermi d'una mala fortuna ch'incontrano le mie lettere quando passano per costà; sicché ho deliberato di farmi fare la riceputa per l'avvenire da quelli, ai quali consegno le lettere, che sarà cautella estraordinaria, et che ad altri miei Precessori non bisognò mai … Hora solo resta ... che è necessario l'avvertire i loro Cancellieri, Segretarii, od altri, che [ci] scrivono, affinchè non vadino alterando, e mutando le forme et i titoli usati ... ; non per alcun privato rispetto delle nostre persone, che niente pretendiamo, ma per l'importantissima preservatione della Pubblica forma...".
A questo punto il Senato non poteva continuare a ignorare le denunce del D. e si risolse ad inviare nell'isola un provveditore generale e inquisitore, col compito precipuo di rivedere la situazione della Camera fiscale, "promettendose noi, che sia per passar tra voi quella buona reciproca corrispondenza che deve essere continuamente essercitata tra i nostri Rappresentanti". L'avvertimento - neppur tanto velato - dei Pregadi non venne però inteso dal D., tanto più che la persona prescelta per esercitare l'incarico fu quel Girolamo Trevisan di Francesco ch'era stato il suo più deciso concorrente nelle elezioni che l'avevano portato alla ducea, il 9 marzo '21.
Il Trevisan giunse a Candia nel gennaio 1623: di fronte a posizioni ormai inconciliabili, dovette scegliere tra l'appoggiare il D. o tutti gli altri rettori e funzionari dell'isola e decise per questa seconda soluzione, accusando il duca di prevaricazione e abuso di potere di fronte agli avogadori di Comun. Il D. non venne però rimosso dall'incarico: giunto a Venezia agli inizi del '24, si difese con una violentissima relazione, vero e proprio atto d'accusa contro il Trevisan, l'Ambelicopulo, i responsabili tutti dell'amministrazione dell'isola, citando testimonianze, adducendo prove, fornendo dati, nomi, cifre. Ancor oggi il quadro delle "afflittioni incomparabili di quei sudditi", taglieggiati da una nobiltà violenta e da funzionari rapaci, non manca di far presa sul lettore: a maggior ragione ne furono colpiti in Senato, per cui si decise che la cosa migliore, e più giusta da fare, era di non doversi procedere nei confronti del D. (ma, a dire il vero, neppure contro le persone da lui accusate).
Per qualche anno, prudenzialmente, egli non venne eletto ad alcuna carica, ma poi, a partire dal 1627, rientrò in pieno nel mondo della politica, come avogador di Comun inviato nel Polesine (6 sett. '27), come provveditore al Frumento nel Padovano e nel Trevisano (27 giugno '28), quindi come provveditore sopra Beni inculti (16 marzo '29). Gli ultimi anni della sua vita, infine, furono un susseguirsi di nomine prestigiose: savio di Terraferma (1630, '31, '32), provveditore alla Giustizia Vecchia (1630, '31, '38), revisore e regolatore dei Dazi (1631, '42), membro del Consiglio dei dieci (1635, '41), riformatore dello Studio di Padova (1639-40), savio del Consiglio (1634, '35, '36, '38, '40, '41, '42).
Morì a Venezia, nel palazzo di S. Maurizio, alla fine del 1642.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia: Misc. Codd. I, St. veneta 22: M. Barbaro-A. Tasca, Arbori de' patritii.., VI, pp. 201, 204; id., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, sub voce Da Mosto Soreta; Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 17 (= 8306): G. A. Cappellari Vivaro Il Campidoglio veneto, III,cc. 237v-238r. Sulla carriera politica: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni Maggior Consiglio, reg. 13, cc. 6, 154; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. 10, c. 120v; reg. 12, cc. 12v, 13v, 25v, 34v, 39v, 40v, 50r, 58v, 97v, 132v-133r, 172r; reg. 14, cc. 1a, 2a, 3a, 4a, 35a, 50a, 60a, 79a, 83a-p, 89a, 133a, 171a; Venezia, Bibl. naz. Marc., Consegli: Mss. It., cl. VII, 832 (= 8911), c. 63r; 833 (= 8912), cc. 47r, 225r; 837 (= 8916), c. 10r; 839 (= 8918), cc. 21v, 28v, 51r, 70v, 118rv, 159v, 191r, 211r, 239v, 252r, 255v, 297v, 329v, 332v. Per l'attività a Candia, Arch. di Stato di Venezia, Senato. Mar, reg. 80, cc. 133v, 200v-201r; reg. 81, cc. 90r, 165r; Ibid., Lett. rettori ai capi del Consiglio dei dieci, b. 286, nn. 175-178; Venezia, Bibl. naz. Marc., Mss. It., cl. VII, 332 (= 7777): Relatione di s. Nicolò da Ponte ritornato di Duca di Candia, cc. 183r-207v. Cfr. inoltre: F. Corner, Creta sacra, sive deepiscopis utriusque ritus…, II, Venetiis 1755, p. 441.