NICOLO da Voltri
NICOLÒ da Voltri. – Figlio di Antonio, nacque, come indicato dalle fonti e precisato nelle iscrizioni inserite in alcune opere, nel borgo genovese di Voltri, probabilmente nel corso del primo lustro degli anni Sessanta del Trecento (Algeri, 1991, p. 519).
Secondo Algeri (2011, p. 276), la sua carriera prese avvio intorno ai primi anni Ottanta del XIV secolo in coincidenza «con la fase più tarda dell’attività di Barnaba da Modena, che si conferma come il principale modello di riferimento del linguaggio che egli elabora nella prima parte della sua lunga attività», posizione non condivisa da una parte della critica, che tende ad anticipare questo inizio all’alba del decennio precedente in concomitanza, al contrario, «con la prima attività genovese di Barnaba da Modena» (Migliorini, 1995-96, p. 1).
La prima notizia documentaria risale al 14 maggio 1386 (ibid., pp. 1 s.), giorno in cui si impegnò a Genova con il sacerdote Luchino de Suvero per realizzare alcune scene ad affresco, perdute, nella zona absidale della chiesa di S. Maria e S. Michele Arcangelo di Coronata, in particolare sopra l’altare maggiore.
Come puntualmente descritto in un’importante carta d’archivio rintracciata da Enrico Basso (ibid., p. 9), nella parte inferiore dell’insieme dovevano essere collocate 24 figure di santi dipinte su un campo azzurro «de Alamania» con l’inserimento di aureole in foglia d’oro, mentre nel catino superiore comparivano le rappresentazioni dei Quattro evangelisti stagliati su un cielo impreziosito da stelle di stagno dorato, decorazione che, secondo le dettagliate richieste della committenza, doveva proseguire anche nell’estradosso dell’arco absidale. Per il suddetto lavoro, da concludere entro il luglio seguente, Luchino da Suvero corrispose a Nicolò la somma di 28 fiorini.
Nel maggio 1386 era dunque in grado di affrontare una commissione complessa come quella relativa agli affreschi della chiesa di Coronata, elemento che permette di affermare che a questa data fosse una personalità pienamente formata e già ben inserita nel panorama artistico cittadino. Dal 1388 risulta affittuario di una propria bottega «nella zona più prestigiosa e ambita dai pittori genovesi di fine ’300»; il 20 luglio 1388 Nicolò «pictore quondam Antonii» compariva infatti come testimone in un testamento redatto nella sua bottega ubicata in prossimità del palazzo arcivescovile (Assini, 1995-96, pp. 19, 23).
Il 18 luglio 1394 il suo nome è presente in un complesso atto con il quale il pittore senese Taddeo di Bartolo manlevava il bandierario Benedetto d’Albenga da ogni vincolo derivante da una fideiussione a questi richiesta dal sacerdote Simone da Vercelli al momento della commissione di due polittici destinati alla chiesa di S. Luca di Genova, affidati a Taddeo il 15 marzo 1393 dal nobile Cattaneo Spinola per 50 lire genovesi con la clausola di terminarli entro il successivo 20 maggio (Alizeri, 1870, pp. 178-181). Come recentemente precisato (Assini, 1995-96, pp. 15-18), Nicolò aveva ricoperto, in questa occasione, il ruolo di garante di Taddeo di Bartolo, dettaglio che consente di sottolineare, oltre alla «posizione di rilievo di Nicolò nel panorama sociale e culturale di Genova», l’esistenza di un rapporto non superficiale fra le due personalità artistiche (Algeri, 2011, pp. 279 s.).
La successiva traccia documentaria risale al 5 giugno 1395, quando è citato in una carta d’archivio redatta a Genova presso la propria bottega come «pictore civibus Ianue» e segnalato in qualità di testimone in occasione dell’accettazione da parte di una certa Marietta Franca da Finale dell’eredità materna, testimonianza datata in precedenza da Federigo Alizeri al 5 giugno 1385 (Alizeri, 1870, p. 203).
La nuova lettura del documento (Di Fabio, 1988), se da una lato ha consentito di meglio precisare il profilo biografico dell’artista posticipando di ben un decennio la notizia riportata dall’erudito ottocentesco, dall’altro ha portato a un eccessivo avanzamento della sua produzione, proposta non condivisa, come già indicato, da Migliorini (1995-96, p. 1) e ora negata dai recenti rinvenimenti archivistici risalenti agli anni 1386 e 1388.
Firmato e datato «nicolaus de vulturo pinxit MCCCCI» è il polittico proveniente da uno degli altari della chiesa di S. Maria delle Vigne a Genova (Città del Vaticano, Musei Vaticani) e raffigurante nel registro centrale l’Annunciazione tra s. Giovanni Battista e s. Raffaele. L’opera, segnalata dallo storico seicentesco Raffaele Soprani (1674, p. 11) nella sacrestia della chiesa e verosimilmente allontanata dalla sua sede primitiva già nel corso del XVIII secolo (Algeri, 1991, p. 97, n. 70), rivela con chiarezza l’adesione al raffinato linguaggio figurativo importato a Genova dal senese Taddeo di Bartolo, alla stregua delle ulteriori testimonianze pittoriche risalenti alla fase più matura della sua esperienza artistica, come nel caso del polittico con S. Pietro in trono tra s. Paolo e s. Andrea (coll. priv., ripr. in ibid., p. 67, fig. 62) già nella chiesa di S. Pietro a Vesima (Genova).
Quest’ultima opera, recante lungo il bordo inferiore della carpenteria l’iscrizione «nicolaus de vulturo pinxit mcc[…]», è stata resa nota da Migliorini (1977, pp. 58-60) che ne propone una datazione al 1400 sulla base dell’interpretazione delle cifre romane componenti la data lacunosa, cronologia non accettata in più occasioni (Algeri, 1988, p. 48, n. 26; Id., 1991, p. 98, n. 77).
Il 14 dicembre 1401 acconsentì a eseguire per Antonio di Bonifacio, priore della cattedrale di Nizza, un monumentale tabernacolo ligneo dipinto in oro, argento, azzurro e «aliis coloribus», manufatto che, come descritto nel contratto di commissione (Alizeri, 1870, p. 206), doveva essere realizzato entro otto mesi per un compenso di 122 fiorini e trasferito a Nizza via nave entro il 15 agosto 1402. La successiva attestazione biografica relativa al pittore risale al 7 novembre 1415 quando partecipò alla riunione dell’arte dei pittori destinata a riformare alcune norme relative all’elezione dei consoli (Ibid., pp. 209 s.).
L’ultima notizia attualmente emersa risale al 7 marzo 1417 (Ibid., pp. 207 s.), giorno in cui ricevette la commissione da parte di due massari della chiesa di Sant'Olcese in Val Polcevera per la realizzazione di un polittico, disperso, rappresentante al centro il Santo titolare affiancato da altri santi. Per tale lavoro, da consegnare entro il maggio seguente, venne pattuito un compenso di 35 lire genovesi.
Dopo questa data non si hanno più notizie e si ignorano il luogo e la data di morte.
Tra le prime opere realizzate da Nicolò si segnala la Madonna col Bambino conservata nella chiesa di S. Rocco di Genova (Algeri, 2011, p. 276), riferita invece alla fine degli anni Ottanta del Trecento da Migliorini (1995-96, p. 5), la quale inserisce nella fase iniziale dell’attività del pittore la Madonna col Bambino dell’abbazia di S. Maria di Finalpia e il dipinto di analogo soggetto nel santuario di Nostra Signora della Costa a Sanremo, accostato anche al catalogo di Barnaba da Modena (ibid., p. 4). Opera ascritta al periodo giovanile è la Madonna col Bambino del santuario di Nostra Signora di Roverano a Borghetto Vara (Algeri, 2011, pp. 278 s.), mentre a un momento successivo risale la Madonna col Bambino di collezione privata genovese (ripr. in Id., 1991, p. 57, fig. 50), nella quale sono evidenti anche i rimandi scaturiti dalla presenza genovese di Taddeo di Bartolo (Id., 2011, p. 279). Appartenenti al periodo maturo sono, oltre al già ricordato Polittico di S. Pietro di collezione privata, la Madonna col Bambino della chiesa di S. Donato a Genova, caratterizzata dalla scritta «nicolaus de vulturo pin […]», gli elementi del polittico raffigurante S. Colombano in trono tra i ss. Bernardo, Giovanni Battista, Pietro e Benedetto (Genova, Museo di S. Agostino), conservato in origine nella chiesa genovese intitolata a S. Colombano, e il S. Giorgio e il drago di Termini Imerese (chiesa di S. Maria di Gesù) firmato in corrispondenza del fodero della spada «nicolaus de vulturo pinxit» (Algeri, 1991, pp. 56-58), oltre ai due frammenti di predella con gli Apostoli (rispettivamente a Genova, Museo dell’Accademia ligustica di belle arti e Albenga, Museo diocesano), «significativa testimonianza del progressivo orientarsi di Nicolò verso forme più monumentali e più solidamente costruite» (Id., 1991, p. 60). Da ricordare infine che Soprani (1674, p. 11) aveva segnalato la presenza di una tavola recante la firma «nicolaus opus» nell’antica chiesa genovese di S. Teodoro, di cui però non specificava il soggetto .
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