DALL'AQUILA, Nicolò
Figlio di Giovanni, di origine friulana, nacque probabilmente a Murano (Venezia) alla fine del sec. XV.
È, noto soprattutto per l'elogio che fece di lui il bolognese Leonardo Fioravanti, medico ed alchimista lungamente vissuto a Venezia, nel capitolo dedicato all'arte del vetro del libro I, relativo alle "arti liberali, et mecanice" dello Specchio di scientia universale (1564): "miracoloso, et divin maestro di tal'arte, quale è M. Nicolò dall'Aquila... percioche egli fa vasi di stupenda grandezza, et per fare vasi da lavorare dell'arte distillatoria, mai ha avuto pari al mondo, et questo senza che io lo dichi il mondo lo sa, per la gran copia di lavori da lui fatti, et mandati in diversi luoghi del mondo per lavorar d'alchimia et altre cose".
Dovevano corrispondere, almeno in parte, a verità le affermazioni del Fioravanti. Il D., in base alle carte muranesi e veneziane del sec. XVI, risulta effettivamente un vetraio ingegnoso ed evidente è la sua specializzazione in recipienti vitrei da utilizzare nell'arte distillatoria.
Nel 1561 il D. rivolse al doge la richiesta di un privilegio di trenta anni per la fabbricazione di una sua invenzione: "una bozza, over vaso o feral d'un solo pezzo, bello, comodo, utile et anche necessario, nel qual se mantiene il lume sicuro da venti e risplendente, cosa di poca spesa...". Non abbiamo la possibilità di verificare le caratteristiche del fanale del D., ma va rilevato che nella richiesta egli ricordava come titolo di merito la specializzazione della sua vetreria, che da generazioni lavorava al servizio della Zecca "in far le bozze e lambichi per far li sazzi et aqueforti per partir l'oro da l'argento, a beneficio etiam de la Città per far li solimati et ogni altra sorte di distillatione di tanto beneficio a corpi umani". Su parere favorevole dei provveditori di Comune, che accertarono sia la proficua collaborazione del vetraio con la Zecca sia l'effettiva novità del "ferale" da lui ideato, il Senato gli accordò un privilegio ventennale (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Terra, filza 35).
Un altro privilegio ventennale gli fu concesso dal Senato il 4 sett. 1568 per "bozze tutte fornite di spechio, da appicar in luogo dove possino ricever ogni sorte di imagine che fusse anche lontana due e tre miglia" (ibid., filza 52). L'idea non era frutto del suo solo ingegno poiché, il 29 marzo 1569 gli fu intimato da "Massimian et Isaach di Manachen, hebrei" il rispetto di patti relativi al privilegio in quanto ad Isaach principalmente andava il merito dell'invenzione (Ibid., Podestà di Murano, busta 214).
Il D. morì a Murano "de anni 86 in circa" il 7 marzo 1585 (Murano, Archivio della chiesa di S. Pietro, Arch. della chiesa di S. Stefano, Liber mortuorum, I[1578-1585], c. 75).
Il D. fu quindi vetraio noto ed abile, specializzato più che nelle raffinate lavorazioni dei vetri decorativi, cui si doveva la fama della Murano rinascimentale, in vetri utilitari da alchimia e da illuminazione. La vetreria della famiglia Dall'Aquila, estinta nel XVIII secolo, è ricordata per l'ultima volta nel 1597 in connessione con Vincenzo (1548?-1602), figlio di Nicolò.
Quanto agli ascendenti del D., non sembra di poter accettare la sequenza, fatta iniziare nel sec. XV, di Alvise, Biasio di Alvise, Alvise di Biasio, Giovanni di Alvise, Nicolò di Giovanni, quale risulta dalla consultazione della Mariegola dei vetrai muranesi, iniziata nel 1525 copiando la Mariegola precedente. I passi in cui compaiono questi fittizi vetrai Dall'Aquila, presunti antenati del D., risultano frutto di correzioni chiaramente visibili e gli stessi nomi non figurano nella Mariegola dei vetrai muranesi, redatta a partire dal 1441 ed usata fino al 1525, quando, lacera e vecchia, venne copiata fedelmente su un altro codice membranaceo.
Nella Mariegola quattrocentesca compare soltanto il padre del D., Giovanni, di origine friulana. Costui su incarico di Maria, vedova del vetraio Nicolò di Biasio (m. 1512), ne gestì e poi rilevò la vetreria che con lui acquisì l'insegna dell'aquila. Già con Nicolò di Biasio e Giovanni "furlan dall'Aquila" la fornace aveva prodotto vetri destinati ad usi alchemici. Il D., ereditando poco prima del 1535 la vetreria, continuò e sviluppò questa produzione. Trovò utile, quando fu gastaldo dell'arte nel 1552, crearsi una centenaria ascendenza muranese con tradizioni vetrarie, da vantare a scopo pubblicitario ed in occasione di richieste alla Signoria; ipotesi questa confermata da una controversia nella quale il D. fu implicato dopo la scadenza del suo mandato e che fu incentrata sulla manomissione di alcune pagine della Mariegola cinquecentesca.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Podestà di Murano, busta 60 (9 genn. 1553: il nuovo gastaldo chiede al D. la restituzione della Mariegola);ibid., Senato, Terra, filza 35 (24 genn. 1561: decr. a favore del D.); filza 52 (4 sett. 1568: decr. a favore del D.); ibid., Notaio G. P. Angelieri, busta 5 (17 giugno 1578: acquisto di un terreno a Murano da parte del D.); L. Fioravanti, Dello specchio di scientia universale libri tre (1564), Venezia 1572, libro I, cap. XXIX, c. 77rv; L. Zecchin, Vetro muranese nello "Specchio" di Fioravanti, in Giornale economico, XXXIX (1954), p. 577; A. Gasparetto, Ilvetro di Murano, Vicenza 1958, p. 97; Id., Due settori poco noti dell'antica verraria venggiana, in Giornale economico, XLIV (1959), pp. 1084 s.; L. Zecchin, Un vetraio del Cinquecento: N. D., ibid., pp. 1206-1210; Id., N. D. ..., in Vetro e silicati, XIII 1969), pp. 20-23; R. Barovier Mentasti, Il vetro veneziano, Milano 1982, p. 107 n. 29.