DONÀ (Donati, Donato), Nicolò
Figlio di Filippo di Mattio e di Cecilia Loredan di Alvise, nacque a Venezia l'11 apr. 1528, nella casa di famiglia in rio terrà di S. Fosca, una delle abitazioni che i Donà avevano nel sestiere di Cannaregio (alla Maddalena, in particolare, e a S. Marcuola).
Nel 1548 entrò in Maggior Consiglio grazie all'estrazione della balla d'oro il giorno di S. Barbara, senza aspettare l'età giusta. Il suo esordio politico avvenne nel 1553 quando fu chiamato a ricoprire la carica di ufficiale alla Messeteria, alla quale segui - quattro anni più tardi - quella di uno dei due masseri alla Moneda dell'argento.
Un esordio tranquillo, non particolarmente prestigioso. E prestigiosa non fu - nel complesso - la carriera del D., anzi abbastanza oscura e sedentaria. Nel 1566 però, il riaccendersi della minaccia ottomana lo condusse a bordo di una galea come governatore. Non dovette tuttavia cimentarsi in alcuna impresa bellica; invece l'anno seguente fu tra i patroni all'Arsenale in un momento di rilancio del complesso cantieristico e di interventi tesi ad accrescerne capacità ed efficienza. Nel 1570, a seguito del precipitare del conflitto tra la Repubblica di Venezia e i Turchi, il D. tornò sul campo, questa volta al comando di una galea da lui stesso armata. Partecipò allo scontro di Lepanto all'ala destra dello schieramento cristiano e si batté con onore. Anche a seguito di questo evento bellico, il D. poté entrare nel 1572 in Senato come ordinario; la sua carriera ne fu avvantaggiata e, dopo aver ricoperto un altro comando in mare in qualità di governatore di galeazza nel 1573, ottenne l'incarico di podestà e capitano a Crema, città importante, sia strategicamente sia economicamente.
Il D. vi restò per diciotto mesi, tra il 1575 e il 1577, occupandosi soprattutto di problemi concernenti l'organizzazione del territorio, delle finanze e del sistema difensivo. Nella sua succinta relazione, infatti, presentata alla fine del mandato, caldeggiò l'attuazione di un nuovo estimo per la città e il territorio che avevano subito nel corso degli anni cambiamenti di un certo rilievo, a seguito dell'espansione agricola e di estese bonifiche. C'era necessità di mulini, informava il D., di un sistema di approvvigionamento idrico più consono all'importanza del sito, sul quale bisognava sempre vigilare data la poco rassicurante vicinanza dello Stato di Milano. Difesa e sviluppo economico sono un problema unico - sottolineava - e l'attenzione dello Stato deve essere in sintonia con il soddisfacente livello dell'apparato militare della città che peraltro è "molto ben guardata dalla gran fede et singular devotione verso questo Serenissimo Dominio" dei suoi abitanti (Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XIII, p. 55).
Tornato da Crema, il D. rimase a Venezia ricoprendo vari incarichi amministrativi, tra i quali quello di sopraprovveditore alla Giustizia Nuova e nell'officio sopra l'Appellazione dei beni inculti. Fu anche nel Consiglio dei dieci e nel 1592 ottenne il posto di consigliere per il sestiere di S. Marco. Qualche tempo prima, nel 1587, era stato eletto provveditore alle Fortezze e in tale veste effettuò sopraluoghi nei territori del dominio veneto, di terra e da mar, ispezionando fortezze e città, da Corfù a Brescia. Non tralasciò di segnalare nei suoi rapporti, accanto alle necessità più importanti, anche quelle più piccole. Gli giunse nel 1593 la nomina a provveditore generale e inquisitore a Candia. Si impegnò in questa carica per oltre due anni, procedendo con spirito alacre e con decisione ad affrontare i molteplici problemi che quella terra presentava ad ogni magistrato veneto.
I suoi dispacci confermano la difficoltà dell'impresa: in una prosa asciutta e per certi versi distaccata descrive situazioni e cose, soffermandosi particolarmente su difficoltà poste da certe abitudini della popolazione e sul ruolo negativo svolto dai religiosi dell'isola - i papas - che definisce "villani e imperiti", un peso per l'amministrazione veneziana. Un peso che ebbe modo di evidenziare ancora quando scoppiò un'epidemia di peste e il D. dovette agire con determinazione per mettere in opera un efficace sistema di prevenzione e profilassi, scontrandosi con la passività della gente. Affrontò l'emergenza con determinazione senza risparmiarsi come ebbe modo di rilevare con un certo autocompiacimento nei dispacci al Senato: "Non si manca d'ogni provisione necessaria et io per questo mi trattengo dentro questa città, antePonendo il beneficio et la cura di essa alla mia stessa salute".
La buona prova che stava dando di sé lo aveva fatto eleggere nuovamente consigliere, nel '94, mentre ancora era a Candia, ma poté ricoprire la medesima carica più tardi, nel 1599. Erano anni difficili per la Repubblica; lo scontro tra le fazioni dei "giovani" e dei "vecchi" agitava la vita politica interna, mentre Venezia doveva guardarsi da molteplici minacce che le venivano dall'esterno e dalla congiuntura internazionale. Il D. non sembra comparire tra i protagonisti delle lotte politiche, negli schieramenti se ne stava sostanzialmente defilato, continuando la sua carriera in settori nei quali poteva vantare ormai una certa competenza. E il caso delle cariche di provveditore sopra l'Armar, alla quale fu eletto nel 1600, di provveditore sopra l'Artiglierie, nel 1602, e per la seconda volta di provveditore alle Fortezze, nel 1601. Quest'ultima gli dette modo ancora di ispezionare in lungo e in largo il sistema difensivo veneziano: da Budua a Corfù, da Traù a Candia, passando per Cefalonia e toccando anche la Terraferma da Serravalle a Legnago. 1 dispacci inviati al Senato ci confermano la sua attenzione anche per le minuzie in una visione globale del problema difensivo offerta con una prosa sobria ed essenziale, quasi notarile e senza accenti emotivi.
Ormai settantenne fu nominato per la terza volta consigliere, nel 1603, e in questa carica mori, il 13 novembre dello stesso anno.
Era rimasto scapolo e nel testamento lasciò eredi dei suoi pochi beni i nipoti e le sorelle. A Filippo, figlio di un fratello, toccò la casa avita di S. Fosca; il resto, alcuni "campi" a Piove di Sacco, nel Padovano e il denaro distribuito tra gli altri. A una delle nipoti, poi, fu assegnata una casa che il D. si stava facendo costruire a S. Salvador. Aveva condotto una vita al servizio dello Stato, con diligente sobrietà e senza clamori: "fu ballottato Procurator alcune volte - racconta Gerolamo Priuli nei suoi Pretiosi frutti del Maggior Consiglio - ma egli poco ambitioso poco anco se ne curò". Volle essere sepolto nella chiesa dei Servi, poco lontano dalla sua dimora, in un "deposito", per il quale aveva tenuto in casa "4 colonne di marmo", accanto ad altri membri della famiglia Donà che ivi riposavano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Libro d'oro, Nascite, II, c. 90; Ibid., Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, c. 351; Ibid., Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, reg. 5, cc. 30, 148v; reg. 6, cc. 29, 58; reg. 7, cc. 30, 31, 99; Ibid., Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 3, cc. 56v, 75v; reg. 4, c. 9v; reg. 5, c. 162v; reg. 7, cc. 2v, 3v; reg. 8, c. iv; Ibid., Provveditori alla Sanità-Necrologi, 831, c. 254; Ibid., Notarile-Atti, 223/1435; Ibid., Collegio-Relazioni, b. 79; Ibid., Senato-Provveditori da Terra e da Mar, filza 759, anno 1593, passim; Ibid., Senato-Dispacci-Napoli, filze 13-4, passim; Ibid., Dieci Savi alle Decime di Rialto, b. 97, dichiarazione n. 521 del 1537; b. 162, dich. n. 337 del 1582; Ibid., Capi dei Consiglio di dieci-Lettere dei rettori, b. 286, passim; Ibid., Provveditori alle Fortezze, bb. 36, 37, 38; Venezia, Archivio Donà dalle Rose alle Fondamente Nuove, b. 25, passim; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, c. 266; Ibid., Mss. Correr 464, passim; Ibid., Mss. P. D. 2013/33; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, Milano 1979, XIII, pp. XXXI, 55.