DORIA, Nicolò
Nacque a Genova nella seconda metà del sec. XII da Simone e da Anna, di cui si ignora il casato. Morto (1190 o 1191) il padre nell'assedio di San Giovanni d'Acri, a lui toccò il compito di guidare il ramo della famiglia, diventando il capo della consorteria che nel corso del secolo si era stabilita nella contrada cittadina di S. Matteo.
Il D. è ricordato per la prima volta nel 1184, quando assistette il padre nella riscossione di un prestito da un banchiere piacentino (18 aprile); nel febbraio 1188 intervenne alla pace tra Genova e Pisa; quattro anni dopo (15 gennaio) fu fideiussore in un contratto per l'acquisto di cotone e (7 marzo) garantì un mercante che aveva stipulato un cambio monetario per la Sicilia.
Proprio quest'isola dovette costituire l'obiettivo principale delle attività e delle iniziative politiche del D., come la Sardegna lo fu per il fratello Andrea. Venne così costituendosi una rotta privilegiata della famiglia verso i mercati d'Oriente, dove assunse fondamentale importanza lo scalo siciliano. L'appartenenza al partito imperiale, già evidente per suo padre Simone, dovette far si che il D. si adoperasse per quel brusco cambiamento di alleanze politiche che portò alla fine della tradizionale e fruttuosa amicizia tra il Comune genovese e il regno normanno e all'appoggio Concesso alla spedizione militare di Enrico VI per la conquista dell'isola.
Il D. dovette mirare, con poche altre famiglie cittadine, alla formazione di un monopolio commerciale privato in Sicilia, escludendone i gruppi economici protetti dal Comune genovese. Infatti la spedizione, avvenuta nel 1194, quando non a caso console in città era Guglielmo, zio del D., rappresentò una cocente delusione per Genova, che, impegnatasi militarmente a fondo a fianco dello Svevo, si vide da lui rifiutate, a conquista avvenuta, tutte le concessioni commerciali e territorialì promesse. L'oscuro accenno degli Annali genovesi al "diabolico suggerimento di alcuni cittadini" a Enrico, perché non rispettasse i patti, riguarda quelle famiglie, tra cui i Doria, che, pronte a svolgere una politica mediterranea autonoma, e talora in contrasto, rispetto agli interessi del Comune, dovettero continuare a frequentare i mercati siciliani, forti della proteziene imperiale.
Genova reagì all'insuccesso, proclamando il devetum di commercio con l'isola; tuttavia, nel 1197 un gruppo di mercanti decise ufficialmente di non sottostarvi ed armò alcune galee per condurle in Sicilia. Il podestà, il milanese Drudo Marcellino, impegnato nella lotta contro le consorterie cittadine più potenti, reagi, non appena il convoglio navale fece ritorno nel porto. Tra i nobili arrivati in città vi era anche. il D., già colpito da alcune misure urbanistiche decise l'anno precedente e forse l'organizzatore del colpo di mano, perché contro di lui si diresse l'opera repressiva del podestà.
Il D. si asserragliò nel suo borgo, invase il palazzo nuovo dell'arcivescovo e costruì un ponte di legno, in modo da impedire gli accessi alla contrada, difesa alle spalle dalla cinta muraria. Il podestà accettò la sfida, ma l'intervento dei parenti del D. (come sottolineano gli Annali) o, più probabilmente, il pericolo di uno scontro armato, il cui esito appariva incerto, fecero si che si arrivasse ad un atto di sottomissione, pili formale che reale, del D.; egli è segnalato dall'episodio per la prima volta come capo di una consorteria i cui interessi, concentrati nel grande commercio mediterraneo (scali essenziali erano le maggiori isole tirreniche, dove membri della famiglia stavano ritagliandosi cospicui possessi fondiari), non coincidevano sempre con gli interessi comunali.
Favorevole era la posizione del borgo di S. Matteo, autosufficiente, organizzato in una "curia" e dotato di chiesa gentilizia con piazza antistante; protetto per buona parte dalle mura "del Barbarossa", di cui controllava la porta di Serravalle, fu ben presto fornito di palazzi con portici di rappresentanza. In piena crescita demografica (il "campetus fabrorum", dove si affacciavano le botteghe artigiane di proprietà dei Doria, divenne uno dei punti più animati della città), finì col costituire un "pezzo" di Genova controllato solo formalmente dalle magistrature comunali (almeno finché l'amministrazione della giustizia fu affidata a cittadini genovesi, e cioè sino al 1216, il consolato responsabile per il borgo, cioè per quella parte della città in cui si trovava il quartiere dei Doria, fu rivestito spesso da membri della famiglia, come Botario e Guglielmo; per tutto il secolo i palazzi dei Doria ospiteranno - e condizioneranno - magistrati del Comune; ancora alla fine del Duecento chi passava per il borgo doveva pagare un pedaggio). A differenza di altre contrade consortili cittadine, il borgo di S. Matteo venne acquistando una importanza demografica e urbanistica pari alle tradizionali "compagne" (o rioni) in cui il territorio comunale era diviso, diventando una sorta di capitale di uno Stato frazionato e non omogeneo a essa, costituito dalle signorie e dai territori che i membri dei diversi rami della famiglia cominciarono ad accumulare con la fine del secolo XII. I palazzi che furono costruiti sulla piazzetta antistante la chiesa gentilizia costituirono altrettanti centri direttivi: quello del D. per la politica mediterranea, quello di Daniele per gli interessi sardi della famiglia, quello di Oberto per gli affari cittadini.
Nel 1198 (28 agosto) il D., come capo della consorteria, fu presente all'accordo tra il Comune e Ugo di Bas, giudice di Arborea; nel 1200 (25 febbraio) fu teste al trattato tra Genova ed i conti di Ventimiglia. Nello stesso anno (23 marzo), sempre come rappresentante della consorteria, insieme con altri mercanti genovesi, si accordò coll'inviato della Comunità di Arras per rispettare le rappresaglie concesse dal re di Francia sui beni dei Fiamminghi.
Secondo il Poggi (Cronotassi, p. 325), il D. fu in quest'anno podestà di Savona; tuttavia il suo primo incarico pubblico a Genova risale al 1201, quando fu eletto console. La nomina non era casuale: l'atteggiamento intransigente del Comune verso la dominazione sveva in Sicilia era stato modificato dai turbinosi avvenimenti isolani che, dopo la morte di Enrico VI e della moglie Costanza, vedevano confrontarsi il partito imperiale e quello papale in una continua serie di colpi di scena. Dopo un primo tentativo per riallacciare i contatti tra Genova e la Sicilia nel 1200 (nel dicembre Guglielmo Embriaco ottenne un diploma, a nome del giovane Federico di Svevia, in cui vennero fatte larghissime concessioni al Comune, ponendo le basi per la supremazia genovese nell'isola, destinata a durare almeno ventlanni), l'anno seguente si decise a Genova il ritorno al consolato, guidato dallo stesso Embriaco. di cui il D. era collega.
Venne pertanto organizzata una spedizione verso la Sicilia: questa iniziativa, in cui obiettivi politici si intrecciavano a precisi interessi commerciali pubblici e privati (se ne vedano le complesse e, talora, ambigue vicende in V. Vitale, 1951, pp. 145 ss.), ebbe pieno successo. Come narrano gli Annali genovesi, ilD. non solo si vide riconfermate, come capo della spedizione, le larghe concessioni che erano già state fatte all'Embriaco, rimasto per l'occasione a Genova, ma poté versare nelle casse del Comune ben 1.500lire di genovini, parte di un assai più cospicuo guadagno diviso tra gli organizzatori della spedizione.
Nel 1202 (8 aprile), anche a nome del figlio Manuele, ebbe in concessione come feudo perpetuo da Alberto e Corrado Malaspina una quota del pedaggio riscosso in Valle Trebbia e Valle Borbera; si recò poi a Vercelli, dove, come rappresentante di Comita [II] giudice di Torres, stipulò gli accordi per il matrimonio di Maria, figlia del giudice, e Bonifacio, figlio di Manfredo Il di Saluzzo, garantendo anche il pagamento della cospicua dote (25luglio); fu, infine, teste all'intesa tra Genova e i marchesi di Gavi (16 settembre). Nel 1203, secondo il Poggi (Cronotassi, p. 330), fu podestà di Savona; fu poi teste all'atto in cui alcuni conti di Lavagna giurarono fedeltà alla "Compagna" genovese (4settembre). Nel 1204 fu presente all'atto in cui il Comune ribadì la sua giurisdizione sulla Avvocazia (28maggio); nello stesso anno (13 ottobre) Alberto, marchese di Gavi, anche a nome dei suoi nipoti, dichiarò di aver ricevuto una somma dal Comune genovese, in cambio della vendita di Gavi, e affermò di aver investito tale denaro, secondo i patti, nell'acquisto di una arca nel borgo di S. Matteo, cedutagli dal D., che, presente, confermò l'atto. Tuttavia, questo acquisto (che avrebbe intaccato l'omogeneità consortile del borgo, obiettivo che il Comune si proponeva di raggiungere) fu in effetti fittizio, perché negli anni seguenti il marchese risulta non risiedere in città. Nel 1207il D. divenne nuovamente console, guidando una flotta verso Cagliari, roccaforte pisana, dove cercò invano di bloccare le navi nemiche ancorate nel porto. L'anno seguente si recò a Lerici per partecipare alle trattative di pace tra il suo Comune e Pisa. Nel 1209 (20 giugno) fu teste all'atto in cui Corrado Malaspina giurò fedeltà a Genova. Nel 1210 (6 gennaio) si recò in Sardegna: alla presenza di Daniele Doria e di vari notabili isolani, il D. promise a Comita [II], giudice di Torres, che suo figlio Manuele avrebbe sposato lurgia (o Giorgia), figlia del giudice. Nello stesso anno (24febbraio) acquistò dai nipoti Pietro ed Enrico, figli del defunto Barca, alcune terre poste nella domoculta genovese. Nel 1211fu chiamato a far parte della magistratura degli Otto nobili e contribuì ad armare una flotta diretta contro Marsiglia; fu poi teste all'accordo tra il Comune e i signori di Passano (io novembre). Nel 1212fu eletto ancora una volta console, sottoscrivendo (6 luglio) una lega quinquennale coi consoli del Mare di Pisa. Nel maggio ebbe l'onore di ospitare per due mesi nel suo palazzo genovese Federico di Svevia, diretto in Germania; con decreto del 9 luglio 1212Genova si vide riconosciuti tutti i privilegi che le erano stati concessi dagli imperatori precedenti. Il trattato fu firmato solennemente nella "camera" del palazzo del Doria. Nel 1214assistette all'atto di infeudazione dei castelli di Dego e Cairo, concessi dal Comune ad Ottone ed Ugo Del Carretto (25 luglio); nel 1216fu teste al giuramento di fedeltà a Genova pronunciato da un piccolo feudatario (19 e 24 ottobre); nel 1218fu presente all'accordo commerciale tra Genova e Tortona (12 marzo); nel 1219intervenne alla composizione delle liti vertenti tra i signori di Porcaria e quelli di Carpena per il possesso del castello di Marola (13 giugno); nel 1222cedette all'Ordine dei domenicani un'area a Genova, posta nella domoculta, fuori delle mura cittadine, per costruirvi una chiesa, destinata ad accogliere le tombe di famiglia.
Il D. è ancora ricordato nel 1224, quando, come consiliator, assistette all'accordo tra il Comune genovese e i visconti di Narbona. Morì subito dopo, perché già nel 1226appare ricordato nei documenti come defunto. Egli aveva sposato Giacominetta Della Volta, da cui ebbe Manuele, Lanfranco, Ingo ed Antonio.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca Franzoniana, Mss. Urbani, 126: F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), I, sub voce; Ibid., Bibl. d. Società ligure di storia patria, P. P. M. Oliva, Ascendenza paterna e materna di Francesco Maria Doria (ms. sec. XVIII), cc. 134v, 135; Ibid., Biblioteca civica Berio, m. r. III, 4, 7: Foliatium notariorum (ms. sec. XVIII), I, cc. 62v, 64r, 66, 80r, 131, 132v, 140, 144v, 216v, 281v; III, c. 131r; Liber iurium Reipublicae Genuensis, a cura di E. Ricotti, in Monumum. historiae patriae, VII, Augustae Taurinorum 1854, docc. CCCCXIX col. 425, CCCCXXXIII col. 455, CCCCXXXVIII col. 466, CCCCXLIII col. 472, CCCCXLVIII s. coll. 488 s., CCCCLV s. coll. 494 s., CCCCLXVIII col. 512, CCCCLXXII coll. 518 s., CCCCLXXIV col. 520, CCCCLXXXIVs. col. 530, CCCCLXXXVI s. coll. 532 s., CCCCXCV col. 545, DV s. col. 564, DVII col. 566, DXVII col. 579, DXXXII col. 602, DLV col. 643, DCXIII col. 748; Codex diplomaticus Sardiniae, a cura di P. Tola, ibid., X, 1, ibid. 1861, sec. XII: doc. CXLVIII p. 283; sec. XIII: doc. XII p. 311, XXVIII p. 322; App.: doc. II pp. 87 ss.; Nuova serie di documenti sulle relazioni di Genova con l'Impero bizantino, a cura di A. Sanguineti-G. Bertolotto, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVIII (1898), ad Indicem; Codice diplomatico delle relazioni tra la Liguria la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, a cura di A. Ferretto, ibid., XXXI (1901-1903), ad Indicem; Liber magistri Salmonis, Sacri Palatii notarii (1222-1226), a cura di A. Ferretto, ibid., XXXVI (1906), ad Indicem; Documenti sulle relazioni tra Voghera e Genova (960-1325), a cura di G. Gorrini, in Biblioteca della Società storica subalpina, XLVIII, Pinerolo 1908, ad Indicem; Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia (946-1260), a cura di A. Ferretto, ibid., LI, Pinerolo 1909, docc. CLXXIX, CXCIV, CCIII, CCXVI, CCLXIV, CCXCV, CCCVIII, CCCXCVI; Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, a cura di C. Roccatagliata Ceccardi - G. Monleone, III, Genova 1925, ad Indicem; Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, II, Roma 1938, in Fonti per la storia d'Italia, LXXIX, ad Indicem; Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M. W. Hall Cole - H. G. Krueger - R. L. Reynolds, Genova 1938, ad Indicem; R. Doehaerd, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont, d'après les archives notariales génoises aux XIIIe et XIVe siècles, Bruxelles-Rome 1941, ad Indicem; Lanfranco (1202-26), a cura di H. G. Krueger - R. L. Reynolds, Genova 1951-1953, ad Indicem; Le carte di S. Maria delle Vigne di Genova (1103-1392), a cura di G. Airaldi, Genova 1969, p. 57; Ilcartulario del notaio Martino (Savona, 1203-1206), a cura di D. Puncuh, Genova 1974, ad Indicem; C. Manfroni, Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, I, Livorno 1899, pp. 360 s., 364; V. Poggi, Series rectorum Reipublicae Genuensis, in Monumenta historiae patriae, XVIII, Augustae Taurinorum 1901, cc. 990, 993, 996, 1116; Id., Cronotassi dei principali magistrati che ressero ed amministrarono il Comune di Savona, in Miscellanea di storia italiana, XLI (1905), pp. 325, 330; E. Besta, La Sardegna medievale, I, Palermo 1908, ad Indicem; C. Imperiale di Sant'Angelo, Genova e le sue relazioni con Federico II, Venezia 1923, pp. 4 s., 21 s., 184, 186 s.; L. Desimoni, Le chiese di Genova, I, Genova s.d. [1948], p. 188; V. Vitale, Guelfi e ghibellini a Genova nel Duecento, in Riv. stor. ital., LX (1948), p. 529; Id., Vita e commercio dei notai genovesi dei secc. XII e XIII, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXXII (1949), pp. 23, 27, 78, 83 ss.; Id., Il Comune del podestà a Genova, Milano-Napoli 1951, pp. 6, 13 s., 17, 42 s., 83, 131 s., 138, 145 ss., 173; Id., Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, p. 53; L. Tacchella, L'abbazia del Porale di Ronco Scrivia, Genova s.d. [1967], p. 4; T. O. De Negri, Storia di Genova; Milano 1968, ad Indicem; W. Piastra, Storia della chiesa e del convento di S. Domenico in Genova, Genova 1970, pp. 10 s.; C. Fusero, IDoria, Milano 1973, pp. 102-106, 109, III, 114, 116, 121 s., 124; J. Kohler, Accordi commerciali tra Genova e Narbona nei secoli XII e XIII, in Civico Istituto colombiano, Saggi e documenti, I (1978), p. 23; L. L. Brook-R. Pavoni, IDoria (genealogie), in Genealogie medievali di Sardegna, Cagliari-Sassari 1984, ad Indicem; G. Pistarino, Genova e la Sardegna: due mondi a confronto, in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, IV, Genova 1984, p. 212.