DORIA, Nicolò
Nacque attorno al 1520, primogenito del nobile genovese Gerolamo fu Agostino e di Luigia Spinola fu Battista.
Dopo il D. nacquero otto figli, tra maschi e femmine, quasi tutti poi imparentati con le grandi famiglie dell'aristocrazia assentista, armatoriale e finanziaria, necessariamente filospagnola (Minetta, sposata ad Agostino Salvago; Nicoletta, a Francesco Lomellini; Bartolomea, a Simone Pallavicini; Tomasina, poi marchesa Marcorina di Gattinara; Agostino, marito di Maria di Paolo Spinola; Pellina moglie di Girolamo Lomellini; Paolo e Brancaleone).
Il D. pareva destinato, per origine, legami e fortune familiari, a divenire in qualche modo protagonista nella vita politica e mondana della Genova cinquecentesca, tanto più che il padre nel 1528 era stato uno dei più accesi ed autorevoli sostenitori di Andrea Doria e aveva fatto parte del Collegio costituzionale dei dodici riformatori delle leggi. Inoltre, dopo la morte della moglie, il padre del D., per istanza personale di Andrea Doria, aveva ottenuto da Clemente VII la porpora cardinalizia (il D. stesso è spesso citato solo come "il figlio del cardinale Doria"). Ma, verso il 1535, i rapporti tra Gerolamo e Andrea si incrinarono, apparentemente proprio a causa del mancato matrimonio del D. con Ginetta Centurione.
Adamo Centurione intendeva infatti accasare la figlia Ginetta; Andrea Doria avrebbe garantito il D. come sposo, ritenendo di far cosa gradita a Gerolamo, da cui non si aspettava comunque un rifiuto in considerazione e della ricchissima dote di Ginetta e, sopra tutto, della porpora a suo tempo ottenutagli. Invece il cardinale mirava per il D. a Camilla Fieschi, figlia dell'ormai defunto Sinibaldo, nella quale la ricchezza si coniugava con l'antichissima nobiltà. Ma certo non fu tanto il prestigio "di sangue" a far apparire al padre del D. quest'ultimo matrimonio superiore a quello del pur ricchissimo Centurione dal passato di avventuriero: la sua scelta esprime piuttosto l'ottica della vecchia classe di governo, che o non aveva recepito pienamente il senso del nuovo corso instaurato da Andrea Doria o ad esso tentava di opporsi, cercando di costituire un nuovo polo di potere, e che infine avrebbe consumato la propria sconfitta appunto nella congiura del cognato del D., Gian Luigi Fieschi.
Il D. dunque verso il 1540 sposò Camilla Fieschi, da cui ebbe cinque figli ma non l'affetto, poiché essa rimase sempre sentimentalmente legata a Giulio Cibo (Cibo Malaspina) che avrebbe voluto sposarla, ma ne era stato impedito da Andrea Doria, che al Cibo imporrà invece in moglie Peretta Doria, figlia del defunto cugino di Andrea, Tomaso, e sorella di Giannettino (1546).
Queste e altre storie di politica matrimoniale, anche se non furono certo le vere cause della congiura del Fieschi e di quella successiva di Giulio Cibo, come la vecchia annalistica volle far credere, contribuirono a rendere teso il clima tra queste grandi famiglie negli anni in cui la presenza spagnola in Italia fungeva da elemento catalizzatore nella formazione e sistemazione dei nuovi gruppi dirigenti. E viceversa: a Genova, il clima già teso tra i gruppi filospagnoli legati ad Andrea Doria e quelli di opposizione al principe, meno omogenei in politica estera, si scaricò anche in queste infelici vicende familiari e matrimoniali, come confermano molti altri sgradevoli episodi accaduti tra il 1546 e il 1547, registrati nel Libro dei ricordi della famiglia Cibo.
Al di là delle interpretazioni familiari, di certo nella notte della congiura del Fieschi, il 2 genn. 1547, nella generale confusione seguita alla morte di Giannettino e alle voci incontrollate della avvenuta uccisione di Andrea, mentre gli uomini del Fieschi, di cui ancora si ignorava la scomparsa, tenevano le porte della città, il padre del D. corse alla villa di Fassolo per accertarsi delle condizioni di Andrea. Tale circostanza, tradizionalmente apprezzata come prova di sollecitudine, non è invece priva di ambiguità, considerati i rapporti di parentela del cardinale col Fieschi e soprattutto il ruolo svolto dal D. nell'ambito della congiura.
Infatti, anche se successive ragioni politiche lasciano cadere le dirette responsabilità del D., dalle relazioni diplomatiche toscane (Staffetti, 1891) e da documenti ispano-genovesi (Atti... Soc. ligure, 1868) risulta certo che egli fu presente almeno alla riunione di una quindicina di giovani nobili che, prima di procedere all'azione, il Fieschi aveva informato del progetto di congiura e di successiva sistemazione politica. E che il D., insieme con Paolo Spinola, abbia anche preso parte all'azione (mentre altri, come Battista Giustiniani e Veriano Bava, avevano rifiutato la loro adesione, e perciò erano stati rinchiusi nel palazzo del Fieschi) è confermato dalla sua partecipazione al successivo malaccorto tentativo di Ottobono Fieschi e del fratellastro Cornelio, nonché dalla fuga da Genova attuata insieme con loro, anche se proseguita poi per strade diverse.
Il D. andò direttamente a Venezia, da dove indirizzò una lettera ai reggenti della Repubblica di Genova in cui li rimproverava della loro sudditanza ad Andrea Doria e alla Spagna. E forse il D. contribuì anche a sollecitare in Giulio Cibo le velleità del congiurato: tanto è vero che il piano della cospirazione di quest'ultimo fu ideato a Roma, in casa del cardinale J. du Bellay, ivi convenuti Cornelio Fieschi e Paolo Spinola e forse il D. stesso.
Lascia perplessi l'impunità di cui il D. sembra godere, specie in confronto alla durezza della punizione di altri congiurati, anche solo indiziari. La stessa perplessità esprimeva Ferrante Gonzaga nelle sue note informative alle autorità spagnole (ibid.), in particolare all'ambasciatore spagnolo Gomez Suarez de Figueroa: il D., benché convocato dal governo genovese per giustificare la propria condotta, non si era presentato (e la stessa convocazione, invece della cattura, appariva piuttosto un avvertimento); invece era fuggito dalla città con congiurati certi; il padre cardinale, ancora nel marzo, assicurava - tra lo scetticismo generale - che avrebbe fatto presentare il figlio, il quale invece nel frattempo tramava impunemente col cardinale du Bellay. Secondo Ferrante Gonzaga, questa impunità del D. era il segno della debolezza di Andrea Doria, che non osava sfidare il potere acquisito da Gerolamo: e in effetti, benché non conoscesse la vera ragione di questo atteggiamento, il Gonzaga aveva parzialmente colto nel segno. La congiura del Fieschi aveva indebolito l'immagirie di Andrea e la Spagna intendeva approfittarne per limitare - ma non troppo - il potere suo e di Adamo Centurione, sostenendo un terzo personaggio, il padre del D. appunto, perché lo riteneva più malleabile sul progetto di costruzione di una fortezza spagnola in Genova: progetto sempre avversato da Andrea. Quest'ultimo dovette capire il gioco spagnolo e trovò preferibile una riconciliazione con Gerolamo: riconciliazione che infatti avvenne nel dicembre 1548.
Nei termini di questa riconciliazione certo rientrava anche il D., che si trasferì da Venezia (dove, ancora nell'agosto del '48, si abboccava segretamente con Ottobono Fieschi e altri congiurati sopravvissuti nella clandestinità) in Spagna, a Valencia. Il padre morì a Genova nel 1558 ed anche il D. deve esservi ritornato nello stesso periodo, o subito dopo la morte di Andrea Doria (1560). Di certo, ormai invecchiato e ricchissimo, reduce dagli anni spagnoli, egli doveva allora rappresentare, nell'ambito della "nobilità vecchia", proprio quel tipo di classe dirigente che aveva stigmatizzato negli anni giovanili: e infatti il suo nome, inconfondibilmente connotato dal vecchio patronimico, "quondam Reverendissimi", compare in testa all'elenco dei nobili Doria inseriti nell'urna del nuovo seminario uscito dagli accordi di Casale del 1576.
Dal matrimonio con Camilla Fieschi aveva avuto cinque figli: Gerolamo, poi marito di Maddalena Doria (figlia di uno dei tanti omonimi del D., un Nicolò fu Paolo); Battista; Sinibaldo (che avrebbe sposato Eliana del ricchissimo Nicolò Grimaldi e avrebbe continuato la discendenza); Giovan Maria e Luigia, poi moglie di Giovan Battista De Marini.
È ignota la data della morte.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. X, 2, 50: Notizie su Andrea Doria, c. 366; m. r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, c. 47; I. Bonfadio, Annalium Genuensium, a cura di B. Paschetti, Brescia 1759, p. 373; Documenti ispano-genovesi dell'archivio di Simancas, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, VIII (1868), I, pp. 97, 228-232, 236, 247, 258; L. Staffetti, La congiura del Fiesco e la corte di Toscana, ibid., XXIII (1891), p. 331; Id., Il libro dei ricordi della famiglia Cibo, ibid., XXXVIII (1908), ad Indicem; F. Donaver, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, p. 214; I. Luzzatti, Andrea Doria, Milano 1943, p. 202; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 158; E. Grendi, Andrea Doria, uomo del Rinascimento, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, XCIII (1978), I, pp. 114 s.