DUODO, Nicolò
Nacque a Venezia il 28 ott. 1527 da Giorgio di Vettore e Diana Querini di Antonio di Nicolò.
Il padre risiedeva in una casa d'affitto nel sestiere di Cannaregio e le sue esigue risorse economiche furono ulteriormente danneggiate in seguito al bando che gli venne comminato dopo l'omicidio, perpetrato nel 1530, di Marco Tiepolo di Donato. L'avvenimento relegò definitivamente i quattro figli maschi nella categoria dei "barnaboti", ossia tra quei patrizi, di infime o addirittura inesistenti fortune, che conducevano una vita precaria e non di rado frustrante al servizio dello Stato, esercitando per solito le funzioni di rettore nei centri minori della Terraferma o del Levante, senza alcuna prospettiva di carriera, in una dimensione per cosi dire orizzontale, dove l'ultimo incarico espletato non superava il primo in ordine di prestigio o importanza.
Tale fu l'esistenza del D. Il primo dato che possediamo sulla sua vita, dopo il conseguimento della maggiore età, è rappresentato dal matrimonio contratto nel 1549 con Elena Bembo di Marco di Gerolamo, che però dovette morire presto e senza avergli dato figli, dal momento che nel '57 egli si risposava con Giulia Salamon di Gasparo di Carlo; ma anche questa unione sarebbe risultata sterile.
Quanto alla carriera politica, dall'aprile del '53 al maggio '54 il D. fu podestà a Castelbaldo, quindi "saliner", ossia amministratore delle saline statali, a Chioggia, dal 19 luglio 1556 al 18 nov. '57, dopo aver rifiutato l'incarico di castellano e poi di camerlengo a Sebenico (rispettivamente il 1° e 17 genn. '56); in seguito declinò nuovamente l'invito a portarsi in Dalmazia (camerlengo ad Arbe, il 25 giugno 1559), preferendo optare per l'ufficio di camerlengo a Crema (9 genn. 1560 - 9 ag. 1562), dove sostitui Vittore Michiel.
Lontano dai grandi avvenimenti politici, culturali, religiosi di un'epoca pur segnata da intensi contrasti, emarginato rispetto ai centri decisionali del potere, le sue principali cure consistettero nella ricerca di nomine legate al conseguimento di emolumenti, con o senza l'esercizio di qualche brandello di autorità, in un incessante alternarsi di furbeschi rifiuti e di tempestivi assensi. Dopo aver declinato l'elezione a castellano della saracinesca di Padova (5 sett. 1568), dal 7 febbr. '71 al 18 luglio '73 resse la podesteria di Portole, nell'Istria; rimpatriato, fece parte del collegio dei venticinque savi, quindi soggiornò ancora a lungo nei territori dello "stato da mar", in qualità di conte a Pola (1574-75), conte a Curzola (1575-76) e podestà a Umago (1577-78). Cade in questo tomo di anni (ma la data non è esattamente precisata) un'annotazione, nei registri del Segretario alle Voci, che unisce il suo nome accanto ad altri due con questa perentoria riserva: "Non possino haver officii che maniza danari": formula con cui per solito si alludeva a qualche irregolarità di natura fiscale o ad illeciti finanziari.
Non risulta però che il D. abbia subito processi o che la sua attività politica ne sia risultata compromessa, giacché il 17 genn. 1580 veniva eletto podestà a Serravalle e due anni dopo entrava a far parte del collegio dei venti savi, magistratura con compiti prevalentemente giudiziari; fu poi podestà alla Badia (1583-84), esattore alle Cazude (1584-85) e podestà ad Asolo (1586-87). Né l'uomo doveva esser sprovvisto di talenti, se dopo aver fatto nuovamente parte dei Venti savi, il 27 ag. 1589 entrava nel novero dei cinque savi alla Pace; senonché la sua condizione di barnaboto lo ricondusse ben presto, e per sempre, alla inconcludente routine dei rettorati e delle magistrature minori: divenne cosi podestà a Monselice (1590-91), esattore all'ufficio sopra le Camere (28 ag. 1593 - 12 ott. 94), poi a quello delle Rason Nove (23 ott. 1594 - 8 marzo 96), quindi fu nuovamente saliner a Chioggia, fino all'agosto del '97.
Dai margini della laguna passò ad esercitare la podesteria di Cittadella (1598-99), da dove tornò a Venezia ad espletare le mansioni di esattore all'ufficio dei governatori delle Entrade, quindi fu podestà a Murano, dal 4 genn. 1601 all'aprile dell'anno successivo; l'isola, pur vicinissima al centro storico, era vessata da soprusi e violenze, che il D. segnalò in alcuni dispacci al Consiglio dei dieci, chiedendo l'invio di armati contro i delinquenti che avevano trasformato locande ed osterie in veri e propri centri di tumulti e delitti di ogni tipo.
Terminato il suo incarico, il 30 giugno 1602 fallì l'elezione alla Quarantia civil vecchia, ma qualche giorno dopo fu nominato esattore all'ufficio delle Rason Nove; infine, ancora una volta esercitò le funzioni podestarili, a Portogruaro, tra il 1603 ed il 1604.
Mori a Venezia il 16 apr. 1605.
Due documenti, il suo testamento (4 marzo 1605) e quello della seconda moglie (23 marzo 1587), ci soccorrono nel tentativo di decifrare la personalità del Duodo. Nessun ricordo, nessun cenno al marito nelle ultime volontà della Salamon, dietro le quali si avverte, palpabile, una vita di stenti, amarezze, rancori: eredi i nipoti, esecutori testamentari due negozianti di agrumi a Rialto, ad uno dei quali lascia il magazzino che tiene in affitto, "per esser sta aiutata da lui de purassai danari, et per esser sta sovenuta per il passato et al presente da lui in tutte le mie calamità". Né molto diverso appare il tono del testamento del D., ove l'unico riferimento alla vita coniugale appare intriso di ringhiosa polemica: ai nipoti lascia la casa in cui abita, in corte Loredana, a S. Marcilian, una catapecchia ricevuta a titolo dotale, nella quale "non v'erano né terrazzi né finestri di veri se non rotti, et dissipati", tutto il resto (secondo la redecima del 1582, una ventina di campi a Rovigo e due casette alla Giudecca) toccava alla serva Apollonia: "Et perché detta Polonia portò in casa mia una cassa verde piena di vestimenti, voglio che questa lei habbi …, né gli sia aperta etiam se vi fosse dentro robba per miera di ducati"; e ancora un minuzioso elenco di disposizioni relative alla "robba" (vestiario e suppellettili, che devono essere vendute per pagare debiti) chiude nella sua arida eloquenza la vicenda terrena del Duodo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, p. 380; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoni, c. 119r; Ibid., Dieci savi alle decime. Redecima 1581, b. 162/303; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 7/267 (quello della moglie alla b. 157/461); sull'affitto di alcuni campi a Carpenedo cfr. Venezia. Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P.D. C2057/II; per la carriera politica, Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 2, c. 182; reg. 3, cc. 91, 131, 142, 149 s.; reg. 4, cc. 122, 151; reg. 5, cc. 108, 169, 171, 250; reg. 7, cc. 114, 177; reg. 8, cc. 127, 129, 152; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni dei Pregadi, reg. 5, c. 159; reg. 6, cc. 81 s.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 829 (= 8908): Consegli, cc. 63r, 266r; cod. 830 (= 8909), cc. 59r, 127r; cod 831 (= 8910), cc. 75r, 92r, 134r, 364v; cod. 832 (= 8911) sub 26 nov. 1595, 22 luglio 1597, 14 genn. 1599 more veneto, 30 sett. 1600; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. Venier, 68: Consegli, sub 30 giugno 1602, 7 luglio 1602, 19 marzo 1603. Per l'attività podestarile, Arch. di Stato di Venezia, Lettere di rettori ai capi del Consiglio dei dieci, b. 129, n. 43 (Badia, 1583); b. 154, n. 44 (Asolo, 1586); b. 117, n. 15 (Monselice, 1590); b. 113, nn. 68 s. (Cittadella, 1598); b. 78, nn. 40 ss. (Murano, 1601).
G. Gullino